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giovedì 6 agosto 2020

Il pagliaccio e la filosofia.

Il pagliaccio mima da sempre e con successo infallibile l’atto del pensare (Maria Zambrano).
Post di Rossana Rolando.
Immagini delle opere dell'artista Paolo Ventura (qui il sito)¹.

Paolo Ventura, Pagliacci 
(vedi nota 1).
In uno spot del canale Treccani viene presentata la situazione di un consiglio d’azienda presso il quale sopraggiunge un personaggio vestito da pagliaccio. Quand’egli comincia a parlare il suo linguaggio è così forbito da suscitare stupore ammirato nel direttore. Contemporaneamente il suo volto perde a poco a poco le sembianze del pagliaccio per assumere i tratti di un giovane uomo serio, affidabile ed autorevole. Lo spot gioca su un comune modo di interloquire, quando per esempio si dice “il tale è proprio un pagliaccio” e vuole indicare l’importanza della parola nel rapporto con gli altri e nella considerazione di chi ci ascolta.  Di primo acchito il video risulta molto efficace.
Un momento dopo però, non appena si comincia a riflettere, vien da pensare alla figura del pagliaccio nell’arte rappresentativa (pittura, scultura), nella musica, nel cinema, nella letteratura…, all’importanza attribuita alla clownterapia negli ospedali per l’infanzia… ed ecco che spunta la perplessità sull’uso della figura clownesca, come semplice richiamo dispregiativo ad una persona poco seria e per nulla credibile.
Paolo Ventura, Il clown
Vi è addirittura una filosofa prestigiosa del Novecento, Maria Zambrano, che del pagliaccio ha fatto il simbolo della sua concezione filosofica. In un articolo comparso su una rivista cubana nel 1953 si legge: “Il pagliaccio mima da sempre e con successo infallibile l’atto del pensare, con tutto quel che il pensare umanamente comporta: la vacillazione, il dubbio, l’apparente indecisione, il distacco dalla circostanza immediata che avvolge gli esseri umani… Mima la situazione peculiare di chi pensa e sembra stare in un altro mondo, muoversi in un altro spazio, libero e vuoto. Di qui l’equivoco, e anche il dramma”.²
La Zambrano si riferisce, in particolare, alla classica scena in cui il pagliaccio viene e va, inseguendo qualcosa che teme svanisca da un momento all’altro, fermandosi imbambolato, riprendendo la sua ricerca – che è un cammino privo di una direzione fissa e quindi vacillante - senza mai arrivare a stringere il suo oggetto, in un gesto mancato che ricorda la tartaruga mai raggiunta da Achille.³
Il pagliaccio-filosofo suscita nell’osservatore il sorriso o il riso, perché volendo guardare quello che è lontano o nascosto finisce per inciampare in ciò che lo circonda. Chi ride non scorge il movimento del pensare - dell’anelare, del cercare, dell'interrogare -: egli vede soltanto qualcuno che inciampa. Perciò l’atto dell’inciampo è la cifra del filosofo: indica il ritrarsi in un altro spazio, pur continuando ad essere nello spazio di tutti, allude all’apparire goffo nelle semplici cose ordinarie, divenute per lui  ostacoli. Così si racconta che Talete, il primo filosofo, mirando il cielo, con gli occhi rivolti verso l’alto, cadde in un pozzo, provocando il riso e lo scherno di una schiava tracia.
Paolo Ventura
Ma l’inciampo è anche indice dell’inettitudine cui è associato il pensare: “agli occhi della moltitudine, nulla è più simile a un imbecille che un uomo che sta pensando”. Il tempo dedicato al pensare viene avvertito come inutile, ozioso, alienante: “Ma smetti di pensare, andiamo a far qualcosa”.
Perciò il pagliaccio che inciampa in un pianoforte a coda inseguendo un soffione, una farfalla, un niente… risulta ridicolo visto da fuori, per chi non partecipa del suo godimento intellettuale e della libertà che solo il pensare può offrire.
❋❋❋❋❋
Giunti a questo punto si potrebbe quindi desumere che il parallelo tra il pagliaccio e la filosofia rientri, da una parte, nella consueta derisione dell’intellettuale ad opera della gente comune e, dall’altra parte, nella alterigia sprezzante dell’uomo di studio nei confronti dei più (come viene descritto l'enigmatico Eraclito, dispregiatore della folla).
Paolo Ventura
Ma Zambrano non procede in questa direzione, piuttosto universalizza la figura del pagliaccio filosofo considerandola “una delle forme più profonde di coscienza di sé che l’essere umano abbia raggiunto”. Egli rappresenta la maschera del tragico (il volto sbiancato è un calco della morte) che si espone al riso, perché si rida con lui e di lui. Ad entrare in scena, infatti, nella figura del clown, sono la goffaggine, l’imperfezione e la fragilità della vita umana in cui ciascuno può riconoscersi, almeno in parte, vedendo in essa l’eterno conflitto tra l’aspirazione alla verità e alla libertà dello spirito e l’impossibilità di dare ad essa compimento: “la libertà di cui non si gode attraverso il pensiero, la si conquista infine ridendo del proprio conflitto. Quando ridiamo, infatti, non ridiamo sempre un poco di noi stessi?”.
Il pagliaccio realizza in forma poetica e musicale lo sforzo del pensare che sa ridere di sé, della propria debolezza. A questo proposito è emblematica, per Zambrano, la scena finale del film “Il circo” di Charlie Chaplin, quella in cui Charlot, dismessi i panni del clown e rimasto solo e triste, in una situazione consapevolmente senza rimedio, compie un gesto che “vale da solo un intero trattato di filosofia: quel suo stringersi nelle spalle mentre i piedi tracciano una piroetta”, segno - questo - di allegria nella disperazione: “allegria per il semplice fatto di essere vivi e di poter soffrire e danzare”.

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Note.
1. Paolo Ventura è fotografo, scenografo, artista. Nato a Milano nel 1968, ha creato, tra le altre molteplici e apprezzate produzioni, la scenografia e i costumi per l'opera "Pagliacci" di Ruggero Leoncavallo, al Teatro Regio di Torino, collaborando con il regista Gabriele Lavia, nel 2016.
2. L'articolo Il pagliaccio e la filosofia viene riportato nel libretto con lo stesso titolo Maria Zambrano, Il pagliaccio e la filosofia, a cura di Elena Laurenzi, Castelvecchi, Roma 2015 ed è preceduto da un altro pezzo dedicato a Charlot. Il brano qui citato si trova a pagina 35. 
3. Ibidem, p. 34-35. 
4. Nel testo di Maria Zambrano si trova una riflessione particolare sul sorriso, legata anche alla figura cristologica. Il tema, non sviluppato in questo post, meriterebbe una riflessione a parte. Cfr. ibidem p. 33.
5. Ibidem, p. 37.
6. Ibidem, p. 38.
7.Cfr. Maria Zambrano, Charlot o dell'istrionismo, contenuto nel testo citato, p. 24.
8. Maria Zambrano, Il pagliaccio e la filosofia, cit. p. 38.
9. Maria Zambrano, Charlot o dell'istrionismo, contenuto nel testo citato, p.26. Il film Il circo, di cui si riporta in questo post il video della scena finale, è disponibile su youtube nella sua interezza (qui).

6 commenti:

  1. La figura del clown mi ha sempre trasmesso una tristezza infinita, un senso di pena cosmica da nodo alla gola perché è un monito tragico. Ridi pagliaccio del Rigoletto, vesti la giubba... per una corveé disumana: far ridere gli stolti avendo il cuore a pezzi. Certo è diventata oleografia, convenzione, cliché, una imposizione banale. Quello su cui riflette la Zambrano è intenso ed efficace, è il pagliaccio filosofico perturbato dal perturbante alla Marcel Marceau mimo, è una perfetta metafora del cuore smarrito che vorrebbe restar bambino ma è scivolato in una miriade di impicci da adulto.
    Grazie come sempre dei tuoi spunti à penser

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  2. Magnifico e calzante il tuo riferimento a Marcel Marceau, poeta del mimo che gioca con l'invisibile (come il pagliaccio filosofo, "in cerca di qualcosa che non è visibile", dice proprio Zambrano). Inserisco qui, sull'onda di questo tuo suggerimento, un breve eloquente video. Ti abbraccio.
    [video]https://www.youtube.com/watch?v=XEsfpRrfXf4[/video]

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  3. Interessante questo dupluce aspetto della figura del pagliaccio, e vero anche il discorso sull 'emblema della fragilità umana in cui ciascuno di noi può riconoscersi.
    A proposito poi dell'inettitudine a cui talora è associato il pensare, mi viene in mente una frase attribuita, se non erro, a Joseph Conrad e che suona così: "Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo dalla finestra sto lavorando?"
    Grazie di tutto, cara Rossana, e un abbraccio!

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  4. Bellissima questa frase che riporti... contiene tante suggestioni: la laboriosità dello sguardo che sa vedere, il tempo "inutile" dedicato alla "teoria" (osservare, guardare dentro, dietro, al di là della superficie), la condivisione del pensare... Un grande abbraccio.

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  5. Grazie di queste riflessioni. Se volessi farmi un'idea del pensiero di Maria Zambrano (apprezzata anche da altri amici filosofi), quale suo testo mi consiglieresti di leggere per primo? Buona domenica. Un abbraccio.

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    1. Sempre sulla linea breve de "Il pagliaccio" ti direi "L'idiota" (Castelvecchi editore), con una bella introduzione di Roberto Mancini. Se invece vuoi leggere un testo più ampio credo che "Filosofia e poesia" (Pendragon) potrebbe essere particolarmente significativo (in esso si coglie bene l'originalità del suo approccio filosofico). Un caro abbraccio.

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