Post di Gian Maria Zavattaro
La bellezza del “cum”, la solitudine dialogica,
l’apertura alla speranza.
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Victoria Semykina, Senza titolo
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All’interno del dibattito su cattolicesimo e cultura, da tempo avviato da Avvenire in Agorà - il cui obiettivo è contribuire a promuovere “un nuovo rapporto tra cattolici e cultura contemporanea”- ho letto l’intervista (7 luglio 2024, p. 21) di Gianni Santamaria al Prof. Ivano Dionigi Riscopriamo con il linguaggio la bellezza del “cum”. Provo a tentare alcune riflessioni, esplorando il “cum” di Dionigi e sfiorando pertinenti temi, come solitudine silenzio speranza, che ricavo da letture (Borgna) e da persone idealmente a me presenti sin dalla giovinezza (E. Mounier 1905-1950 e Ch. Péguy1873-1914).
Dionigi: “Dobbiamo riscoprire le parole con il ‘cum’. Comunicare deriva da cum-munus: ‘mettere in comune i doni’; cum-testari, contestare, non è andare in giro con i cartelli a fare casino, ma è ‘testimoniare insieme’; cum-petere, competere, non è usare i muscoli, ma ‘andare tutti insieme nella stessa direzione’. “Abbiamo stuprato il linguaggio” (1).
Per Aristotele l’uomo è parola. Don Milani chiama uomo chi è padrone della parola. “Con il rispetto dobbiamo capire la parola di ciascuno”. Tucidide dice di aver capito lo scoppio della guerra del Peloponneso, perché “avevano cambiato il significato delle parole”. "Se oggi ci fosse la parola della politica non ci sarebbe la guerra" (1).
Le parole: “il punto di incontro di tutti”. Oggi però sono sui social degradate a fake news, contro le quali la scuola dovrebbe fornire “non una cassetta, ma un’intera officina di attrezzi”. Social (senza la e finale: il contrario di “sociale”? Si pensi poi ai danni dello smart working e della didattica a distanza … (1)