Post di Rossana Rolando
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Illustrazione di Monica Barengo
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Oggi viviamo una profonda crisi pedagogica - dalla famiglia alla scuola alle altre agenzie educative -, tanto più evidente nella prospettiva di un largo uso dei mezzi tecnologici, certamente utili ai fini dell’informazione, ma in nessun modo sostitutivi della dimensione educativa. A questo si aggiunga un disorientamento valoriale che fatica ad individuare finalità, obiettivi di crescita ed umanizzazione - da proporre alle nuove generazioni – e che rimane imprigionato in alienanti logiche competitive, tutte tese al successo e al primato individuale. Al malessere diffuso, a livello giovanile, si reagisce delegando ai tecnici delle scienze umane - psicologi, pedagogisti, educatori di professione - cui si chiede di supplire alla diffusa inadeguatezza della figura educante, sperimentata in età adulta.Le domande ineludibili – che pongono questioni difficilissime, ma decisive per il nostro futuro – sono però le seguenti: chi è l’educatore/l’educatrice? Esiste un professionista dell’educazione? Educare è un mestiere? Una vocazione? Un ruolo dato dal ricoprire una certa posizione, ad esempio quella di genitore o di insegnante?
Come risulta chiaro, non intendo qui riferirmi a teorie pedagogiche, quanto piuttosto alla figura di chi educa, alle caratteristiche che deve avere, ai fini cui deve tendere, perché la sua azione lasci un segno.