Il compito di educare alla verità della vita
Post di Rossana Rolando
Illustrazione di Monica Barengo |
Le domande ineludibili – che pongono questioni difficilissime, ma decisive per il nostro futuro – sono però le seguenti: chi è l’educatore/l’educatrice? Esiste un professionista dell’educazione? Educare è un mestiere? Una vocazione? Un ruolo dato dal ricoprire una certa posizione, ad esempio quella di genitore o di insegnante?
Come risulta chiaro, non intendo qui riferirmi a teorie pedagogiche, quanto piuttosto alla figura di chi educa, alle caratteristiche che deve avere, ai fini cui deve tendere, perché la sua azione lasci un segno.
Illustrazione di Monica Barengo |
Ribaltando l’imputazione a lui rivolta – quella di corrompere i giovani -, Socrate dice al suo accusatore Meleto: “… tu dei giovani non ti sei mai dato pensiero… non ti sei curato mai di nessuna di quelle cose per cui dici di aver condotto me qui in tribunale”. Meleto parla dell’educazione “dando a credere che egli si occupa con serietà e zelo di cose delle quali in realtà non si è occupato mai”.¹
Un’arte. Già da queste affermazioni si comprende che, per Socrate, l’azione dell’educare non è frutto d'improvvisazione, non è comune a tutti gli uomini, è invece un’arte raffinata che richiede specifiche attitudini e competenze. Come per allenare i cavalli ci vogliono uomini che si intendono di questi corsieri, così per educare gli uomini sono adatti coloro che sono preparati a farlo, specialisti non solo in questa o quella disciplina, ma in umanità. Questi possono educare i giovani e renderli migliori.²
Illustrazione di Monica Barengo |
E la sua convinzione è così radicata da rivolgersi ai suoi stessi figli, per i quali non chiede – poco prima di congedarsi dai suoi accusatori – vita facile, successo e guadagno, ma lo stesso rigore da lui utilizzato per educare i figli degli altri, perché siano castigati e corretti, nel caso in cui non vivano in modo autentico per ciò che davvero vale.³
Il compito di educare alla verità della vita – non una verità qualsivoglia, ma una verità esistenziale, riguardante il bene, il giusto, il bello - è sentito da Socrate come una vocazione insopprimibile, tanto da rifiutare l’invito a starsene silenzioso e quieto, e sfuggire, in cambio, alla sua condanna.⁴ Per lui l’esistenza impegnata nel ricercare che cosa conta e ha davvero valore non può essere barattata con la vita pura e semplice. Perciò egli afferma che una vita senza ricerca [ἀνεξέταστος βίος, vita non esaminata] non è degna di essere vissuta.⁵
Note
1. Platone, Apologia di Socrate, trad. di Manara Valgimigli, Laterza, Bari 2000, pp. 23 e 21.
2. Cfr. ibidem, p. 23.
3. Cfr. ibidem, pp. 35, 63, 65.
4. Cfr. ibidem, p. 55.
5. Cfr. ibidem, p. 55.
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