Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Seguici tramite mail

Iscriviti alla nostra newsletter!

giovedì 2 gennaio 2025

La crisi della figura educante, specialista in umanità

Il compito di educare alla verità della vita
Post di Rossana Rolando
Immagini di Monica Barengo (qui il sito)
 
Illustrazione di Monica Barengo
Oggi viviamo una profonda crisi pedagogica - dalla famiglia alla scuola alle altre agenzie educative -, tanto più evidente nella prospettiva di un largo uso dei mezzi tecnologici, certamente utili ai fini dell’informazione, ma in nessun modo sostitutivi della dimensione educativa. A questo si aggiunga un disorientamento valoriale che fatica ad individuare finalità, obiettivi di crescita ed umanizzazione - da proporre alle nuove generazioni – e che rimane imprigionato in alienanti logiche competitive, tutte tese al successo e al primato individuale. Al malessere diffuso, a livello giovanile, si reagisce delegando ai tecnici delle scienze umane - psicologi, pedagogisti, educatori di professione - cui si chiede di supplire alla diffusa inadeguatezza della figura educante, sperimentata in età adulta.
Le domande ineludibili – che pongono questioni difficilissime, ma decisive per il nostro futuro – sono però le seguenti: chi è l’educatore/l’educatrice? Esiste un professionista dell’educazione? Educare è un mestiere? Una vocazione? Un ruolo dato dal ricoprire una certa posizione, ad esempio quella di genitore o di insegnante?
Come risulta chiaro, non intendo qui riferirmi a teorie pedagogiche, quanto piuttosto alla figura di chi educa, alle caratteristiche che deve avere, ai fini cui deve tendere, perché la sua azione lasci un segno.
 
Illustrazione di Monica Barengo
Penso ci sia un testo che, meglio di altri, può rappresentare una fonte perenne di ispirazione ed un’eventuale linfa per un cambiamento di rotta: è la difesa che il grande, amatissimo Socrate presenta ai cittadini di Atene, riuniti in assemblea per giudicarlo. Il fatto che egli, l’educatore per eccellenza, sia condannato a morte, è indicativo della impopolarità di un esercizio capace di infastidire molti, non solo i potenti, ma tutti coloro che si sentono messi in discussione dalla serietà dell’educare.
Ribaltando l’imputazione a lui rivolta – quella di corrompere i giovani -, Socrate dice al suo accusatore Meleto: “… tu dei giovani non ti sei mai dato pensiero… non ti sei curato mai di nessuna di quelle cose per cui dici di aver condotto me qui in tribunale”. Meleto parla dell’educazione “dando a credere che egli si occupa con serietà e zelo di cose delle quali in realtà non si è occupato mai”.¹
 
Un’arte. Già da queste affermazioni si comprende che, per Socrate, l’azione dell’educare non è frutto d'improvvisazione, non è comune a tutti gli uomini, è invece un’arte raffinata che richiede specifiche attitudini e competenze. Come per allenare i cavalli ci vogliono uomini che si intendono di questi corsieri, così per educare gli uomini sono adatti coloro che sono preparati a farlo, specialisti non solo in questa o quella disciplina, ma in umanità. Questi possono educare i giovani e renderli migliori.²
 
Illustrazione di Monica Barengo
Il fine. In cosa poi consista tale “renderli migliori”, si può comprendere in base alla gerarchia dei valori che Socrate suggerisce, ammonendo chiunque incontra e invitandolo a vergognarsi nel momento in cui pone al di sopra della cura della propria interiorità, il denaro o la fama o gli onori o la semplice esaltazione del corpo. Per Socrate il valore più alto, quello da cui dipende la felicità della vita e ogni sua grandezza, è la ricerca del bene e del giusto, per sé e per gli altri.
E la sua convinzione è così radicata da rivolgersi ai suoi stessi figli, per i quali non chiede – poco prima di congedarsi dai suoi accusatori – vita facile, successo e guadagno, ma lo stesso rigore da lui utilizzato per educare i figli degli altri, perché siano castigati e corretti, nel caso in cui non vivano in modo autentico per ciò che davvero vale.³
 
Il compito di educare alla verità della vita – non una verità qualsivoglia, ma una verità esistenziale, riguardante il bene, il giusto, il bello - è sentito da Socrate come una vocazione insopprimibile, tanto da rifiutare l’invito a starsene silenzioso e quieto, e sfuggire, in cambio, alla sua condanna. Per lui l’esistenza impegnata nel ricercare che cosa conta e ha davvero valore non può essere barattata con la vita pura e semplice. Perciò egli afferma che una vita senza ricerca [ἀνεξέταστος βίος, vita non esaminata] non è degna di essere vissuta.
 
Note
1. Platone, Apologia di Socrate, trad. di Manara Valgimigli, Laterza, Bari 2000, pp. 23 e 21.
2. Cfr. ibidem, p. 23.
3. Cfr. ibidem, pp. 35, 63, 65.
4. Cfr. ibidem, p. 55.
5.  Cfr. ibidem, p.  55.

Nessun commento:

Posta un commento