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giovedì 4 settembre 2025

La scuola: a che serve? Chi serve?

Post di Gian Maria Zavattaro 

Demetrio Casola, Il dettato, 1890
“Un popolo ignorante non è un popolo libero, non ha spirito critico, non è in grado di operare delle scelte consapevoli e responsabili”. 
 
“Il vero rischio della cultura contemporanea è il niente. Opinioni in libertà. Il caos non interpretato, mal interpretato, banalizzato. Per opporsi al niente bisogna ricominciare da capo: sapere su cosa possiamo contare… Tornare alla scuola del mondo e delle idee.” (M. Benasayag).
 
PREMESSA
La qualità della struttura scolastica è la prima condizione materiale del fare scuola, perché rende efficace e gradevole sia vivere nella scuola sia il coerente lavoro didattico. Purtroppo gli edifici scolastici non brillano per il loro splendore architettonico, ma per le carenze strutturali. Eppure tutti sanno che un ambiente inadeguato e scarsamente funzionale - dai docenti ed alunni percepito come estraneo e degradante - dà luogo ad una vera e propria riduzione delle possibilità educative. La condizione in cui versa l’edilizia della scuola pubblica è immediatamente rivelatrice della considerazione - valutazione - in sede politica e di governo - del suo ruolo sociale. In altre parole la pessima condizione edilizia di una scuola è indice, più che di scarsa considerazione, di grave sottovalutazione del suo ruolo: segno di un cattivo stolto irresponsabile governo.

mercoledì 13 agosto 2025

Gli anni dell'abbondanza

 Post di Rossana Rolando

“Non approfittare del dono, non speculare sull’abbondanza.
Un miracolo è tale ed è gratuito, guai a farsi pagare!”
(p. 330)
 
Copertina
Il libro d’esordio di Maria Costanza Boldrini, dal titolo Gli anni dell’abbondanza (Casa Editrice Nord, gennaio 2025), convince perché non è costruito con lo scopo di essere venduto, come accade per la produzione “artistica” asservita alle logiche del mercato, ma perché risponde alla vocazione profonda della scrittura e all’autentica volontà di saldare il debito di riconoscenza verso la propria famiglia e la terra d’origine.
Per questo non indulge a mode, ma respira nell’ampio filone dei classici, dal romanzo storico al realismo magico.
E’ la saga di una famiglia, con particolare riferimento alle figure femminili, lungo il corso di diverse generazioni, dalla fine dell’Ottocento agli anni ’80 del Novecento. La microstoria, in primo piano, si staglia sullo sfondo della grande Storia, con gli eventi drammatici in cui è coinvolta l’Italia, dalla Prima alla Seconda guerra mondiale, fino agli anni del terrorismo. Come nella tradizione del grande romanzo storico, le vicende e i ricordi legati ai singoli individui si innestano sulla trama della memoria collettiva.

L’abbondanza. Il titolo richiama una tematica che si snoda in tutta la narrazione. Così si legge nel blog “Una parola al giorno” che vede come collaboratrice la stessa Boldrini:

venerdì 8 agosto 2025

Se non è una trama, vi assomiglia

 Post di Rosario Grillo
 
«Sino a che questo oblio di una possibile alternativa avrà il sopravvento, contro la cecità allapocalisse (di cui scrisse Günther Anders, ) non ci sarà niente da fare». (Christof Türcke)
“è restata, infatti, la guerra senza il principio del conflitto […] una guerra ormai allo stato puro, come non s’era mai vista prima nella storia, una guerra con distruzione e morte ma, senza sangue né conflitto” (A. Asor Rosa, Fuori dell’Occidente )
 
Rosa dei venti, 1650
Ritorna in pompa magna il protezionismo.
Cala il sipario sul lungo periodo cominciato con la fine delle due guerre mondiali, intonato al libero commercio. Ne sono state tessute le lodi più sperticate, spesso sfiorando la retorica, in modo da combattere il fronte dei paesi comunisti, raccolti sotto l’insegna della URSS.
La polvere ideologica con la quale si è rivestito il fronte occidentale, nel quale gli Stati Uniti prendevano il testimone del comando, si serviva addirittura di un’impegnativa voce: democrazia. Contrapposta ad autocrazia.
In conseguenza, addirittura, fu coniato l’apposito marchio di Occidente: ne scaturì una dualità inconciliabile con l’oriente (ed i paesi orientali). Certo, sfuggiva ai più che la geografia non è scienza apodittica, anzi chiede il relativismo e se ne serve.
In esempio pratico, certi paesi che al nostro sguardo risultano ad oriente, ad uno sguardo diverso (prospettiva) sono terre d’Oriente. La terra non è piatta e la carta geografica è una rappresentazione strettamente convenzionale.
La democrazia, resa topos dell’Occidente, fu dichiarata figlia della Grecia antica (età di Pericle) e fu stretta in unione con il liberalismo dando origine alla liberaldemocrazia.
Essa si faceva forte dello spirito liberale con gli annessi diritti civili e partoriva, in integrazione, la sovranità popolare con il bagaglio dei diritti sociali. La relazione sembrò armonica: tra liberismo liberalismo democrazia sembrava correre una fluidità ineccepibile. La maglia si poteva stendere fino a comprendere la socialdemocrazia tanto che, in un certo angolo, fu anche imbastito il welfare (non universale, per carità!).
Fu decantato il piano Marshall, senza sospettare l’incipiente egemonia degli Stati Uniti. Si permise (accordi, contrattazione, concessioni) una certa decolonizzazione, sotto attenta vigilanza, con dentro la fumosità di un incombente neo colonialismo (mutatis mutandis: sempre colonialismo).

domenica 3 agosto 2025

Siamo tutti nomadi. Verso dove?

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini di Patrik Svensson (qui il sito instagram)
  
Patrik Svensson
“Saremmo fuori dalla civiltà e dalla stessa fede, se stabilissimo che è “naturale” far pagare agli “ultimi” la nostra voglia di vivere […]. L’Occidente è ad un bivio: o smette di dirsi umano e cristiano oppure “condivide” ciò che è ed ha: cultura, tradizione umanistica, diritti umani, fino a questa terra che è di Dio e dunque di tutti, questo pane che la terra ancora ci dona. Nessuno pensa che sia cosa da poco, ovvia e di immediata attuazione. Non è follia, è l’unica saggezza (F. Scalia SJ, Adista n.17, 9.5.2015).
 
Un ben pensare è più che pensare: così scriveva Morin a proposito della visione di Pascal circa la marginalità della nostra terra, terzo satellite di un sole astro perduto in una galassia periferica fra miliardi di galassie di un universo in espansione. Ciò dovrebbe ridimensionare il nostro incredibile gigantismo, sollecitarci a vivere la nostra precarietà con serena gioia, condividendo amore amicizia stupore tenerezza verso i nostri fratelli e sorelle (d’ogni razza età lingua ,d’ogni religione o nessuna) e verso ogni forma vivente. Sarebbe liberarci dalla frammentazione del nostro esistere per cogliere l’essenziale, magari fino a giungere alle soglie del Mistero.
Insomma semplicemente dovremmo “ben pensare”: non il pensare “prosaico” (esclusivamente dedito a compiti utilitaristici) ma il pensare “poetico” (dal greco poiesis) processo attraverso cui viene all'esistenza qualcosa che non c'era, azione che porta dal non-essere all'essere. Nel linguaggio comune si chiama poesia, votata alla gratuità, al kalòs kai agathòs, cioè al "bello e buono" .
Siamo tutti pellegrini, tutti nomadi, di passaggio, in viaggio. Il nostro è un pianeta nomade ed ognuno di noi è contrassegnato dalla sua “identità nomadica”, ognuna diversa, divergente, spesso anche opposta rispetto alle altre …. 

martedì 15 luglio 2025

Disfunzioni della famiglia

 Post di Rossana Rolando
 
“Sàlvati, lasciami per sempre” 
(p. 113)
 

Vivo un’estate all’insegna della cura, tra ospedali e riabilitazioni di miei familiari. E’ l’esperienza della famiglia come luogo di affetti profondi e di sollecitudine. Eppure, vi può anche essere un vissuto opposto, come quello che racconta l’ultimo Premio Strega, L’anniversario, di Andrea Bajani. 
 
Esso presenta - come una liberazione – la ricorrenza di una separazione definitiva. Non stupisce di per sé: la nostra vita è costellata di distacchi, spesso dolorosi, altre volte necessari. Quel che rende però peculiare la svolta di cui il libro tratta è la sacralità dei legami che vengono recisi, quelli che da sempre sono avvertiti come segnati dal destino e quindi intoccabili. Sono i vincoli che si instaurano all’interno di quella cellula sociale da cui tutti proveniamo – la famiglia – che pure può diventare deposito di mille tensioni e disfunzioni, tenuta insieme da una vera e propria “malattia psichica” (p.122). Di questo l’autore si occupa, non solo con chiari tratti biografici, ma anche nella sua professione di insegnante universitario, in Texas.

domenica 6 luglio 2025

Nella morsa del consumismo

Post di Rosario Grillo
 
Hilda Clark in una immagine pubblicitaria della Cocacola, 1900
Z. Bauman ha lasciato una ricca ed efficace disamina della società del consumismo, scritta nel 2007, quando ormai risultava articolata e composita la sua pianta. Aveva avuto modo di osservarla ed analizzarla applicando gli strumenti della sociologia critica, portandosi oltre una reazione strettamente morale.
La caratteristica che viene messa in rilievo ha un potere di assorbenza totale e coinvolgente, tanto da determinare: la liquidità delle relazioni, la centralità del motore individualista, la decadenza del pathos politico, la crescita onnivora del mercato, il definitivo crollo del mito del progresso…
Il perno attorno al quale gira il congegno: il feticismo della soggettività.
Bauman applica al soggetto il fenomeno della feticizzazione che Marx aveva limitato alla merce, tirando le conseguenze dell’argomentazione portata da K. Polanyi: il feticismo della merce impiantato sulla equivalenza lavoro-merce implica la feticizzazione del lavoratore, della sua volontà, che in definitiva non è più autonoma. Il soggetto andrà a trovarsi nello stato di oggetto (del mercato).
Viene così alterata la distinzione soggetto-oggetto; il soggetto è ridotto alla stregua di un oggetto. Una mutazione che sbandiera, alla superficie, la libertà di scelta del soggetto (consumatore); quella stessa libertà che, in concreto, è subordinata alla compulsione di scelte continuative, suscitate da bisogni futili.
Nel frattempo si è esaurito il tempo della società dei produttori: in essa persistente la qualità del produttore assieme a quella del prodotto manufatto con un marcatore di prestigio contrassegnato dalla durata degli oggetti accumulati (patrimonio). Si è instaurata poi la società dei consumatori: in essa bisogni inesauribili e un indicatore di prestigio fissato sul continuo movimento (volubilità ed effimero trionfano ).

giovedì 19 giugno 2025

Dialogo tra generazioni sulla pace...

Post di Gian Maria Zavattaro

Albert Anker, Nonno e nipote, 1893
“La pace non è assenza di guerra, è una virtù, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia. (B. Spinoza - 1632-1677 cfr. Trattato politico).

Ho letto a mio nipote undicenne il testo sopra citato. Abbiamo discusso a lungo. Riporto la sintesi della nostra discussione.

Siamo d’accordo: la pace non è assenza di guerra. Poi però per entrambi l’inizio del dialogo diventa impegnativo e laborioso: dobbiamo entrare in sintonia, spiegare l’uno all’altro con i nostri diversi linguaggi che cosa per ognuno di noi voglia dire la parola pace, “virtù, stato d’animo, disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia” e poi insieme attribuire un concorde significato univoco … Beh, abbiamo faticato un po’, ma non ci siamo arresi ed infine ci siamo accordati su un linguaggio per entrambi accettabile, sintetizzato nelle riflessioni di seguito riportate.

Quando Spinoza afferma  che “la pace non è assenza di guerra”, vuole  farci capire  che non basta dire ciò che la pace non è, ma ciò che è e deve essere. Certo, la pace è assenza di guerra: soprattutto oggi l’assenza di  guerra sarebbe necessaria perché le modalità di  distruzione  sono talmente imponderabili che non c’è nessuno in grado di controllarle e di impedire che l’umanità si dissolva, precipiti nel silenzio degli olocausti. e dei cimiteri….

Spinoza sapeva bene che la parola pace - in ebraico Shalom - vuol dire “ integrità, santità, buon ordine”: non un concetto negativo (semplice assenza di guerra) ma positivo: esplicita scelta quotidiana “virtuosa” che ognuno di noi liberamente costruisce e testimonia: “Virtù” che riguarda non solo i popoli ed i loro governanti, ma soprattutto ognuno di noi, come ci avverte la “Pacem in terris” (Papa Giovanni XXIII): “A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale”.

lunedì 16 giugno 2025

Il sentimento del bello e l'amore per la terra

Post e fotografie di Rossana Rolando

Dialogo, lungo il sentiero delle montagne liguri, tra due persone che non si conoscono, in una domenica di metà giugno:
 
-  [Mi sgorga dal cuore questa esclamazione] Che spettacolo!
- [Risponde, con saggezza, la signora che incontro] Gli uomini non hanno visto tanta bellezza, altrimenti non distruggerebbero la terra... 
 


 





mercoledì 4 giugno 2025

Tutto inizia per caso?

Post di Rossana Rolando
 
John Melhuish Strudwick, Un filo d'oro, 1885
Il caso
In un aneddoto della scuola scettica si racconta di un pittore greco, Apelle, che si ostina nel voler disegnare la schiuma alla bocca di un cavallo senza riuscirci. Alla fine, stanco e irato, per il suo fallimento, lancia la spugna intrisa di acqua e colori contro la tela e, così, casualmente, proprio quando ha rinunciato alla sua impresa, ottiene quello che cercava. Il caso ha fatto ciò che egli non ha saputo fare, sostituendosi alla sua inutile caparbietà.
L’espressione “per caso” (forte, in latino; τυχαίως, in greco) ha molteplici significati: nel racconto, appena citato, essa indica un accadimento fortuito, che capita senza essere previsto o programmato.
 
Caso o destino?
La filosofa Agnes Heller, vissuta lungo il corso del Novecento e oltre (1929-2019), ha dedicato al tema un suo libro autobiografico dal titolo Il valore del caso, vedendo nella coincidenza degli eventi ovvero nel caso, tutta la serie delle circostanze che non dipendono dalla libera scelta, siano esse favorevoli all’incremento della vita, o siano esse, al contrario, portatici di rovina.
Quello che noi siamo, il nostro carattere – come dice Eraclito – è il frutto di tante componenti innate, ma anche di elementi imprevedibili che, dall’esterno, contribuiscono a plasmare in un modo anziché in un altro le nostre inclinazioni. L’elenco delle condizioni non volute direttamente, ma trovate e vissute, è lunghissimo.