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sabato 7 ottobre 2017

Edmond Jabès, pensiero nomade.

La complessa figura del poeta Edmond Jabès (1912-1991) presentata a partire da "Il libro dell'ospitalità".
🖊Post di Rosario Grillo.

Edmond Jabès, 
Il libro dell'ospitalità
Edmond Jabès porta con sé il peso dell'origine.
Ebreo, in una famiglia radicata nella borghesia cairota, sente il lievito della sperimentazione delle avanguardie francesi (surrealismo e strutturalismo) all'atto dell'esilio in Francia.
Il chiodo, conficcato, rimane.
E lo spinge ad imbastire una fusione - lavoro di alambicco! - dalla quale fuoriesce una scrittura scabra, di scatto, fulminante quanto essenziale nella partitura.
Possiamo dire che Jabès rispecchia nelle “corde” più intime della sua scrittura lo iato, il diaframma, tra il Libro e il lettore, tra il Creatore e le creature, tra là Torah e i suoi interpreti.
In questa misura è un campione dell'ermeneutica.
Così la lettura della sua opera risulta nello stesso tempo appagante e sfuggente. Lascia l'amaro di un quid incomprensibile.
Direi che ciò è voluto: per un sottile ed enigmatico gioco, dove lo spazio pesa, dove il vuoto crea, dove il nero diviene entro la cornice dell’e-statico bianco.
Al suo interno: la dimensione, direi la funzione, del deserto, evocato da Jabès: purificare e rivelare.
“Luogo davvero di ogni presenza - diceva - è il deserto”.
Né passato né futuro
Dove sono
Il passato mi ha sottratto l'avvenire
Il nomade disse: tu sei nella tua memoria, la quale non è affatto legata
passato, come si potrebbe credere, ma è attaccata al presente
Al presente ch’essa crea.
Non ricordo nulla - gli risposi - Dunque non esisto
Tu esisti nel Nulla, disse allora il nomade.”
(Libro dell’ospitalità, pp. 102/103).
Pensiero nomade, il suo.
Arturo Paoli, 
La pazienza del nulla
Il mio pensiero, sollecitato, rimbalza e va al ricordo della solitudine cercata da San Francesco nel romitorio della Verna. Va all'itinerario spirituale di Arturo Paoli, dove il deserto segna il momento culminante del distacco dall’io incontinente.
“Il deserto è stato un passaggio fondamentale nella mia vita, nell'aver capito di non vivere più per me e che negli anni precedenti avevo vissuto con egoismo, anche se non me ne rendevo conto e magari venivo elogiato per il mio altruismo, ma dentro di me sentivo che agivo egoisticamente. La grande virtù del deserto è quella di spogliarti, di farti morire al passato e farti rinascere” (A. Paoli, la pazienza del Nulla, Chiare lettere pp. 8/9)
Evidente in Jabès la presenza di Dio, sentita secondo la spiritualità ebraica: quindi un Dio messianico (il Messia è di là da venire), Dio assente e, nonostante ciò, Guida occulta.
Rilevante il suo contributo secondo gli stilemi della teologia negativa: “Se Dio è nello stesso tempo fuori e dentro ogni essere, fuori e dentro ogni cosa, altrove e qui, assente dove  Egli si manifesta, presente dove noi non Lo riconosciamo, allora Lo si può pensare soltanto attraverso gli innumerevoli pensieri che l'impensabile alimenta, quell'impermeabile contro il quale ci troviamo sempre ad urtare. Eppure Dio non è l'impermeabile. È il singolare oggetto di tormento, di un pensiero avventuroso e arrischiato, ebbro delle sue vittorie e mal ridotto dai suoi clamorosi scacchi (p. 79).

L'ospitalità.
Edmond Jabès, 
Il libro delle interrogazioni
Proprio nel temperamento nomade si può trovare un ritratto genuino e puro dell'ospitalità.
Da non perdere il capitolo: l'ospitalità nomade (si fa per descrivere, rispettando la sua scrittura frammentaria).
Jabès, che si considerò per sempre un esule, pur essendo stato omaggiato e riverito in Francia ed altrove, conosce lo “scheletro” della ospitalità. Come scaturisce, la sua profondità, la gratuità.
Il libro, che porta questo titolo, si svela, ad una lettura attenta, (vale sempre il distinguo della libertà dell'interpretazione ch’egli invoca), un viatico dell’ospitalità.
Appaiono le sue angolazioni: il racconto ospite del Libro, i lettori ospiti, l'esistente ospite, Dio Ospite, la Natura Ospite.
Come altrove ho già scritto, ospitante-ospitato sono “facce” della stessa medaglia.
“Con uno strumento appuntito incideva nella pietra friabile la parola ospitalità” (p.101).
Tormento e dolcezza dell'ospitalità risultano non celate, perché hospes conserva la stessa radice di hostis  (rimando a U. Curi, Lo straniero).
Sul suo continuum corre la sorte (alcuni dicono destino) semplicemente declinata come cammino:
Emond Jabès, 
Uno straniero...
“Ciò che ogni giorno si uccide - diceva un saggio - non è la morte ma l’avvilente vita.
Avvilita
Incendiate il grano
Sotterrate il pane” (pp. 100/101)
Molto difficile la ricerca di una definizione riepilogativa, conclusiva, perché Jabès chiede l'incompiutezza.
Tra tutto scelgo: “L’Ospitalità va letta come una buona notizia” (p. 84).
A coronamento - e questa volta aggiungo da interprete: logica presenza - l’istante, misura del tempo.
Dove al tempo vien tolta incidenza per assegnarla allo spazio (altra inferenza logica).
“Dio ha l’eternità per compiere la Sua opera, l’uomo appena qualche istante.
E dunque chi si azzarderà a parlare di compimento? – diceva (p. 71).

Link.
Per una presentazione de Il libro delle interrogazioni si può vedere questo video.

5 commenti:

  1. Grazie del completamento, Rossana😊🍀

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  2. Caro Rosario, debbo ringraziarti di cuore per questo tuo post, che pone sulla strada di ognuno di noi, come segnali orientanti, le mille particelle che rispondono alle nostre domande con incessanti nuove domande (l'ultima risposta è quella di Dio), dispiegano le nostre scelte e compongono il senso della nostra vita: “il peso dell'origine”, il silenzio di Dio presenza assenza, l'ospitalità come lieta novella del reciproco donarsi, il deserto luogo-termpo insostituibile per la riscoperta di sé e degli altri (crogiuolo del proprio esistere, luogo di liberazione dalle tentazioni di un altruismo egoistico, tempo di ri-creazione), l'istante che solo ci appartiene e di cui disporre per non morire di “un'avvilente vita”, il nostro essere pellegrini e nomadi, tutti stranieri dunque, eppure tutti fedeli alla terra sino alla fine, senza pretendere alcun compimento (penso alla lettera a Diogneto!), Caro Rosario, buona domenica nel giorno della Beata Vergine Maria del Rosario...

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  3. "Così la lettura della sua opera risulta nello stesso tempo appagante e sfuggente. Lascia l'amaro di un quid incomprensibile".
    Un post davvero molto bello!
    L'interrogarsi è l'atto principe dell'emergere della coscienza, la sua ripetizione scandisce le età; confido nella risposta ultima e definitiva.

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  4. Grazie per la presentazione del pensiero di Jabès, autore a me sconosciuto. Buon fine settimana.

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  5. I vostri favorevoli commenti mi hanno commosso . Ho già detto a Gian Maria che la lettura di Jabes è stata una lenta degustazione di un elisir, dolce-amaro, inebriante . Sembrerà retorica, ma è una lettura che “ti prende” veramente, dove il vissuto traspare con cristallina evidenza. Grazie a voi tutti !

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