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giovedì 1 novembre 2018

Piero Guccione, orizzonti infiniti.

La densità filosofica e poetica del mare di Piero Guccione.
Post di Rossana Rolando.

Immagine tratta dal docufilm di Nunzio Massimo Nifosì, 
Piero Guccione, verso l'infinito
Piero Guccione, morto lo scorso 6 ottobre nella sua Sicilia (lavorava a Quartarella, tra Scicli e Modica), è stato anche denominato “narratore di orizzonti”. Dalla fine degli anni Sessanta il grande pittore siciliano ha dipinto instancabilmente il mare, nel suo congiungersi con il cielo, lungo una linea mobile e sottile: “In realtà, l’orizzonte non ha corpo, è una cosa infinita che cambia continuamente, ma fisicamente non esiste. E’ il luogo dove il nostro sguardo è portato, come luogo eterno. E’ un bisogno” (cfr. in questo post il video I colori del mare).
Il tema dell’orizzonte si carica di una forte suggestione filosofica e letteraria. Per Kant esso porta il segno della finitezza umana, nel doppio significato del limite - che indica un oltre nel tempo stesso in cui lo dichiara inaccessibile alla ragione - e non semplicemente del confine (inteso come chiusa circoscrizione di uno spazio). Perciò in Leopardi e nei romantici l’orizzonte diventa la linea che divide finito e infinito: Sempre caro mi fu quest’ermo colle / e questa siepe, che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. / Ma sedendo e mirando, interminati/ spazi di là da quella, e sovrumani/ silenzi, e profondissima quiete/ io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura¹.
Orizzonte come metafora dell’altrove, dell’inconoscibile, dell’oltre.
Quando Nietzsche vuole introdurre un’immagine per raccontare il percorso che conduce, nell’Occidente, alla dissoluzione del senso dell’esistenza, ricorre alla stessa metafora spaziale: “Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l’intero orizzonte?”². A questa perdita del fondamento ultimo Nietzsche lega il vagare dell’uomo contemporaneo, privo di ogni punto di riferimento.
Ma l’orizzonte svuotato non è segno esclusivo di un'irreparabile perdita.
Il “cielo vuoto” può non essere semplicemente il nulla di cui pure Nietzsche si fa profeta e anticipatore. Il bisogno di infinito, in quanto dimensione costitutiva dell’umano, può ancora rinascere. La letteratura novecentesca ne addita qualche traccia.
Per Calvino il sentimento di un’assenza spinge a cercare, a desiderare ciò che manca e ad inseguire il vuoto: “si scrive sempre partendo da una mancanza, da un’assenza”³. In Montale il varco si apre a sprazzi e a lampi: “forse solo chi vuole s’infinita,/ e questo tu potrai, chissà, non io”. In Buzzati l’esperienza dell’attesa – de “l’ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno” - è innestata nel cuore dell’uomo.
A questo anelito interiore si lega la contemplazione di Piero Guccione, avvolta nel silenzio, fuori da ogni moda e da ogni chiassosa pubblicità. Un’intima, profonda, ostinata ricerca della bellezza dentro la trama della realtà: “oggi, nell’arte, si privilegiano la bruttezza, l’arroganza, l’orrore persino. Io cerco, pervicacemente, la bellezza: e non mi importa nulla di essere moderno o no. Essere giudicato non in linea con la modernità mi è indifferente. Credo nella bellezza: anche se oggi sembra difficile dar ragione a Dostoevskij, laddove scriveva che “la bellezza salverà il mondo” (qui il testo dell'intervista).
Per il grande pittore siciliano, non credente in termini strettamente confessionali, la bellezza è la porta che dischiude il mistero, così come si rivela allo sguardo capace di vedere dentro e attraverso. L’altrove, infatti, è vicino, nell’azzurro del mare e del cielo, nella luce e nella mobile chiarità che dal celeste sprigiona. Ma l’altrove è anche lontano dalle brutture e dal turbamento, in quel mare che diventa così “risorsa e rifugio” in cui ritornare, come afferma Davide Lacagnina (qui il link).
Per questo l’interpretazione dell’arte di Piero Guccione, offerta dal suo amico poeta e scrittore Gesualdo Bufalino, in occasione della presentazione del libro di Marco Goldin, Piero Guccione. I colori del mare, Electa, 1995, risulta molto convincente. Bufalino distingue tra “vista” e “visione”, tra realismo (i pittori servitori del vero, come i fiamminghi) e sogno (i pittori veggenti, come Morandi, Soutine e lo stesso Guccione). Cita un bellissimo passo delle Lettere a Theo in cui Van Gogh rimprovera a se stesso il fatto di lasciarsi andare “a dipingere stelle troppo grandi” (aggiungendo quindi un elemento visionario, interiore, alla descrizione della natura). Ma accanto a vista e visione, Bufalino inserisce – attribuendolo specificamente a Guccione – il termine “visibilio”, per indicare l’estasi dello sguardo, la contemplazione dell’occhio innamorato del creato, come poteva essere la pupilla di Dio dinanzi all’opera delle sue mani, al termine de sei giorni, nel settimo giorno. Fa notare come la parola visibilium derivi dall’aggettivo plurale latino (visibilium omnium: di tutte le cose visibili) per diventare poi, in italiano, sostantivo singolare (andare in visibilio), volto ad indicare una bellezza che stupisce e dona gioia. La semplice descrizione naturalistica della natura - del mare - viene trasformata in musica e poesia, capaci di evocare il “tremito del sacro negli ingranaggi inflessibili della ragione”. Verità ed incantesimo: questo sarebbe il segreto delle tele di Piero Guccione. Un rapimento che non dimentica la distruzione introdotta dall’uomo nella natura, ma la supera nel riscatto affidato all’opera pittorica: “l’immondizia delle plastiche sulla sabbia e insieme il miracolo di un idillio, di una redenzione ancora possibile”.  “La pietà per un mondo offeso dall’uomo” convive con “una sete insaziabile di innocenza” in una tensione capace di assumere anche un valore politico e civile (qui la lettera di Gesualdo Bufalino).

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Note.
1. Giacomo Leopardi, L'infinito.
2. Friedrich Nietzsche, Gaia scienza, Adelphi, Milano 1984, p. 129 (libro terzo, paragrafo 125).
3. Italo Calvino, Eremita a Parigi, Mondadori, Milano 2004, vol. 3, p. 102.
4. Eugenio Montale, Casa sul mare, in Ossi di seppia.
5. Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari.

18 commenti:

  1. Tra memoria e speranza questo interessante articolo, che fa vibrare l'azzurro che, più o meno consapevolmente, ci abita nel profondo. Articolato e ricco nella documentazione, il testo conduce in un altrove, come una tela di Guccione. Grazie.

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    1. Mi pare che, oggi, la necessità del linguaggio artistico e poetico risieda proprio nella sua capacità di condurci "altrove", mantenendo desto questo bisogno che "ci abita nel profondo".
      Ho gradito molto il suo commento. Buona giornata di festa.

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  2. L'orizzonte come metafora dell'oltre a cui l'uomo tende.
    A partire dall'esperienza della perdita.
    L'ho espresso in questi versi.

    M'hai tenuta tra le braccia
    e dal tuo seno
    ho succhiato avidamente.
    Poi l'incanto si è spezzato.
    M'hai fatto scendere
    dalle tue ginocchia
    e sola
    ho camminato nel deserto,
    senza sapere la meta
    senz'altro eco
    che il grido muto dell'anima.
    Eppure a tratti,
    dolcissimo,
    il ricordo delle tue carezze
    s'è fatto sentiero,
    luce di un passato
    che deve ancora venire,
    promessa di una gioia
    al di là dell'orizzonte.
    1986

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    1. Grazie per questi versi che evocano un particolare orizzonte, doloroso e misterioso insieme: quello che separa da una persona amata e, nello stesso tempo, presagisce - attraverso il sentiero intimo di ricordi presenti e vivi - un oltre.

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  3. Per me è una specie di dono : la Sicilia, un siciliano, il commento di Bufalino, le incantevoli contrade di Scicli.
    Ma la testimonianza è universale e conduce alle vette del Mistero...🌈🌈🌈

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    1. Sì, per un siciliano, amante della sua terra, penso possa essere motivo di grande gioia.
      Piero Guccione è davvero un gigante e, come tu scrivi, sa portare "alle vette del Mistero". Un abbraccio.

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  4. Grazie,davvero molto interessante.

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  5. Le emozioni non hanno limiti..... Grazie....le grandi emozioni non si studiano.... non si imparano.... grazie agli artisti le incontriamo....

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    1. Gentile Teresa, è proprio così. Di fronte ai dipinti di Guccione si prova una profonda "emozione", si sente lo stupore che l'artista stesso deve aver provato di fronte al mare, verità e metafora dell'immenso, del sublime.

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  6. Mariangela Romanisio (Zaza)1 novembre 2018 alle ore 16:34

    Lo sguardo all'orizzonte è proprio di ogni uomo, è davvero un bisogno, una ricerca, un destino, una risposta...

    Ringraziando per gli spunti offerti dai grandi interventi citati nel pregevole post di Rossana Rolando, partecipo col mio acrostico Libertà,
    a proposito di quanto a me suggerisce l'Orizzonte:

    Libertà

    Lontano l’orizzonte
    Interrompe l’oltre
    Bisogna immaginarlo
    Ed è quello che vuoi
    Rifrange quel che sei
    Tutto quel mondo
    Ancora da liberare in te

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  7. Finalmente può di nuovo intervenire su questo blog! E' interessante questo ulteriore aspetto che viene suggerito nei suoi versi. L'orizzonte può rappresentare il margine di libertà-liberazione che attende ciascuno, come possibilità ancora da compiere. Anche questa è una forma di trascendimento e di oltrepassamento. Grazie, un caro saluto e buona festa!

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  8. Grazie Rossana, un post molto bello. Ho saputo dell'esistenza di Guccione da pochissimo, da un omaggio di Rai Storia, al pittore del mare, proprio in occasione della sua scomparsa. Mi ha subito attraversato il fascino del misterioso legame degli occhi del pittore per la massa dei blu dei verde e di tutte le nuances del liquido colore della massa d'acqua chiamata mare. Del resto siamo il pianeta azzurro e gli occhi votati al visibilio sono lo strumento dello stupore e dell'incantamento. Grazie anche delle interviste postate che rivelano un uomo fuori da onnipotenze ed esibizioni manieristiche (vezzi narcisistici così comuni e irresistibili), una persona molto presente al reale, con la libertà di lasciarsi guidare dall'emotivo ed attrarre dal mistero disseminato attorno.
    ��

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    1. Un sentire tradotto in colore e potenza pittorica (“Quello che mi nutriva era il sentimento che mi provocava… da un lato rifletto sulle cose, sul mondo, dall’altro sono principalmente investito dal lato emotivo… quello che mi fa partire è sempre il rapporto con la visibilità…”, sono alcune sue affermazioni).
      Cara Laura, come tu noti, quello che conquista – di Piero Guccione - è lo sguardo che sa vedere e far vedere, ma anche la statura intellettuale e umana, insieme al l’autenticità che lo ha tenuto fuori, in larga misura, dai circuiti mediatici. Sono felice della condivisione di questi pensieri. Un caro saluto e un grande abbraccio.

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  9. "L'azzurro di cui parlava Mallarmè riproduce la consistenza dell'anima dell'uomo moderno di fronte alla natura, di fronte all'infinito" viene detto nel secondo video. Grazie, cara Rossana, per aver presentato questo pittore siciliano che non conoscevo. Mi ha colpito l'azzurro dei suoi occhi: così simile a quel colore del mare che cercava di rappresentare nelle sue tele in tutte le sue sfumature e suggestioni. Grazie ancora. Buon fine settimana.

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  10. Proprio in questi giorni la natura sembra ribellarsi e mostrare il suo volto più duro (in Liguria, qui da noi, in Veneto, in Sicilia...). Guccione ha saputo tenere insieme l'aspetto della denuncia (la natura offesa dall'uomo) e la contemplazione della bellezza, lasciandoci una grande eredità. Un forte abbraccio.

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  11. Commossa meraviglia. E che calore si è acceso negli interventi, nelle tue risposte! Grazie. Piero Guccione mi era totalmente sconosciuto.

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  12. Grazie a te Gianni! Sono proprio contenta che tu abbia visto il post su Guccione. Ci tenevo. Mi spiace solo di non aver potuto inserire immagini dei dipinti. Comunque girando sul web si trovano diverse raffigurazioni del suo stupendo mare. Un caro saluto.

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