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sabato 21 novembre 2020

Le cose amate.

Le cose non sono semplicemente oggetti di cui ci serviamo, “come taciti schiavi”. Sono molto altro e molto di più.
Post di Rossana Rolando
Immagini di Kristina Kemenikova (qui il sito instagram, con gentile autorizzazione).

Kristina Kemenikova, Ufficio a casa
Il covid costringe a rimanere per molto tempo in casa. Lo slogan della prima ondata suonava proprio “Io resto a casa”.

✴️ “Casa” vuol dire stanze, disposizione degli spazi, per chi è più fortunato significa terrazzo, forse anche giardino. Per tutti comunque rappresenta un luogo circoscritto che limita, ma nello stesso tempo protegge dal contagio. Certo non da altri mali. Può diventare un inferno, quando le relazioni intra familiari siano logorate o peggio ancora ferite, turbate. Può essere la prigione in cui si prova l’angoscia opprimente dell’isolamento. Solo nei casi migliori, diventa il rifugio sicuro nel quale si gode della compagnia più intima e si loda la possibilità di stare insieme, mangiare insieme, scambiare parole vive, non essere soli.

✴️ “Casa” indica certamente le persone (e cani e gatti... se ci sono), ma anche i muri e le cose. Questi non sono semplicemente oggetti di cui ci serviamo, “come taciti schiavi”¹. Sono manifestazione dello spirito, direbbe Hegel.

Kristina Kemenikova, Da qualche parte, sulle colline
Lo esplicito così: questa mia abitazione che tanto amo, edificata nei primi anni del Novecento, porta in sé le tracce di chi l’ha voluta e l’ha fatta costruire, è l’esteriorizzazione di un pensiero, il prolungamento della dimensione spirituale di chi l’ha progettata. Così le cose: la scrivania sulla quale appoggio il mio computer e scrivo, il tavolo su cui ceniamo, la stufa accesa che scoppietta in veranda, la luce soffusa della lampada… tutto questo rientra nella sfera allargata della nostra interiorità vivente.

Per quanto possano risultare seriali le cose - come sono spesso oggi, nell’epoca mercificata della facile usura - esse, una volta entrate nella nostra casa, diventano nostre, portano i segni del nostro vivere. Dice Ludwig Wittgenstein, nelle sue Ricerche filosofiche: “la sedia pensa tra sé e sé”, attribuendo alla sedia una certa somiglianza con l’uomo.²

✴️ Le cose poi ci sopravvivono. Lo sa bene chi conserva gelosamente le lettere, i vestiti, le suppellettili delle persone care, di coloro che ci hanno preceduto e lasciato. Tracce che parlano di loro. Ma anche per noi vale questa circolarità: ciò di cui ci circondiamo è una sorta di estensione della nostra mente. L’amore per le cose può essere così intenso da indurci a guardare con malinconia, quasi con sgomento, al termine ultimo in cui dovremo staccarcene. Mi capita di pensare ai miei libri - spesso sottolineati, annotati, contrassegnati - con un senso struggente di attaccamento. Mi sorprendo ad immaginare dove finirà questa parte di me, dopo di me.

Kristina Kemenikova, Notte dopo notte stupore
✴️ Nel suo saggio La cosa, Heidegger afferma che le cose non sono semplici presenze, ma intrecci di significati che vengono a noi. Il filosofo assume come esempio una brocca, sulla quale scrive pagine densamente poetiche, in cui la “cosa brocca” non è tale per la forma che essa presenta o per la descrizione che scientificamente se ne può dare – un recipiente contenente aria, sostituita da un liquido, quando viene riempito – ma è un vuoto in cui si raccolgono i mondi dell’ospitalità, della convivialità, della natura. Leggiamo per esempio: “Nell’acqua che viene offerta permane la sorgente. Nella sorgente permane la roccia, e in questo il pesante sonnecchiare della terra, che riceve la pioggia e la rugiada del cielo. Nell’acqua della sorgente permangono le nozze di cielo e terra. Questo sposalizio permane nel vino, che ci è dato dal frutto della vite, nel quale la forza nutritiva della terra e il sole del cielo si alleano e si congiungono. Nell’offerta dell’acqua, nell’offerta del vino permangono ogni volta cielo e terra. L’offerta del versare, però, è l’esser-brocca della brocca. Nell’essenza della brocca permangono cielo e terra”.³

✴️ Altri filosofi del Novecento hanno riscoperto il significato delle “cose”, sepolto sotto “l’inerte anonimità degli oggetti”: da Georg Simmel a Walter Benjamin, da Remo Bodei a Roberto Esposito.

Remo Bodei, in particolare, nel suo La vita delle cose, offre un’affascinante trattazione tematica che si apre con l’analisi etimologica del termine “cosa”, intesa come contrazione del latino “causa” (per cui si dice difendere la causa, combattere per essa), ben distinta dalla parola “oggetto”, fatta derivare dal latino “obicere” (“gettare contro”, nel senso di ciò che si contrappone al soggetto, al suo dominio).

Kristina Kemenikova, Illustrazione per una libreria antiquaria
Il percorso si snoda lungo i sentieri della filosofia, della poesia, della letteratura, fino a giungere al capitolo finale dedicato all’arte, laddove le cose sono definitivamente sottratte alla caducità del tempo e al loro essere semplici oggetti utilizzabili, per divenire simboli perfetti ed eterni di una vita silente (Stilleben, still life), immobile (stilleven), come si definisce, in altre lingue e in modo ben più evocativo, la nostra espressione “natura morta”.In particolare, è la pittura olandese del Seicento che “santifica le cose” (Ortega y Gasset), le piccole umili cose per le quali sembra adatta un’osservazione meravigliosa di Plotino: “Andiamo con stupore di fronte all’inconsueto; mentre avremmo ben ragione di stupirci ancora delle nostre comuni esperienze” (IV, 4, 37).⁷

✴️ Concludo con un passo di Walter Benjamin. Esso segna contemporaneamente la vicinanza e la lontananza che ci legano alle cose quando le lasciamo vivere nella loro alterità, senza fagocitarle e consumarle: “Tutte le cose necessarie e costruite con tanto amore conducono una vita propria, emergono in un paese sconosciuto e nuovo e di qui tornano indietro con noi”.⁸

Kristina Kemenikova, Pensieri
✴️ Note.
1. Espressione tratta dalla poesia di Jorge Luis Borges, Le cose, contenuta in Elogio dell'ombra, raccolta edita nel secondo volume di Tutte le poesie, I Meridiani Mondadori, Milano 1985, a cura di Domenico Porzio, p. 297. Ecco il testo nella sua interezza: Le monete, il bastone, il portachiavi,/la pronta serratura, i tardi appunti/che non potranno leggere i miei scarsi/giorni, le carte da giuoco e gli scacchi,/un libro e tra le pagine appassita/la viola, monumento d’una sera/di certo inobliabile e obliata,/il rosso specchio a occidente in cui arde/illusoria un’aurora. Quante cose,/atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,/ci servono come taciti schiavi,/senza sguardo, stranamente segrete!/Dureranno piú in là del nostro oblio;/non sapran mai che ce ne siamo andati.
2.  Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1995, p. 150.
3. Lo scritto La cosa di Martin Heidegger è anche consultabile in rete: qui.
4. Cfr. Remo Bodei, La vita delle cose, Editori Laterza, Bari 2011, p. 42. 
5. Ibidem, pp. 11-21.
6. Ibidem, p. 93.
7. Ibidem, pp. 97,99,100.
8. Ibidem, p. 116.

11 commenti:

  1. Rosario ti scrive, cara Rosanna, che ha respirato a pieni polmoni l’ossigeno del tuo post, ricco di Generatività, come si conviene sempre e in ispecie nel tempo della pandemia. Finisce la tirannia di un Soggetto accentratore e così le cose prendono anima e comunicano, nel tempo e oltre il tempo. Grazie.

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    1. Grazie a te caro Rosario, sempre generoso e gentile.
      Sì, questo aspetto che sottolinei: "le cose prendono anima e comunicano, nel tempo e oltre il tempo" è proprio il segno di un mondo segreto che ci supera. Seppur venata di sottile malinconia, mi piace tanto la chiusa della poesia di Borges: "Quante cose,/atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,/ci servono come taciti schiavi,/senza sguardo, stranamente segrete!/Dureranno piú in là del nostro oblio;/non sapran mai che ce ne siamo andati."

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  2. Meraviglioso questo tuo post, cara Rossana, che fa affiorare - anche nell'ottica della filosofia - il valore delle cose che abbiamo intorno e la vita che esse assorbono da noi fino a divenire "l'esteriorizzazione di un pensiero, il prolungamento di una dimensione spirituale".
    S'intreccia con esse un rapporto di vicinanza che le fa vive per i ricordi o le situazioni che ci richiamano. E l'arte le sottrae poi alla caducità con certe splendide nature morte (vita silente), proprio come hai scritto.
    Aggiungo un ricordo. Quando ho dovuto sbaraccare la mia vecchia casa, mi sono portata via, tra l'altro, quanto restava di un servizio da tè che mia mamma usava la domenica, se avevamo ospiti. Ma non erano solo piattini e tazze quelli che mi sono portata a casa, ma l'atmosfera dei pomeriggi di festa della mia adolescenza, le luci, i gesti e persino il profumo di confetteria del mobile in cui stava il servizio. Tutto un mondo di vita che semplici cose mi hanno restituito!
    Grazie con tutto il cuore e un abbraccio grande!

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  3. Cara Annamaria, grazie del tuo commento affettuoso e del ricordo, dal sapore proustiano, del servizio da tè. Molto bello quello che aggiungi: le cose portano in sè il nostro passato e lo custodiscono aspettando che noi lo riportiamo alla mente. Atmosfera, luci, gesti profumo... tutto in un servizio da té.
    Un grande abbraccio.

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  4. Carissima, carissimi,
    vi seguo ormai da un anno con grande interesse e arricchimento personale, ogni volta che leggo quello che con tanta disponibiltà e generosità condividete anche con degli "sconosciuti" come me.
    Leggendo le riflessioni di oggi, così intime e così sentite anche da me (simpatia, empatia...), mi è venuta in mente quell'espressione virgiliana così difficile da comprendere nel suo reale significato, così misteriosa, e per questo anche malinconica e struggente: "Sunt lacrimae rerum"

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    1. Gentile Emanuela, grazie a lei per l'interesse che esprime nei confronti del nostro impegno sul blog. Ci sprona a continuare per riflettere - insieme a chi lo desidera - sui temi che ci stanno a cuore.
      Grazie anche per l'espressione di Virgilio che ha ricordato e che mi pare mantenga tutto il suo "mistero" - in riferimento al tema delle cose - nell'originario latino più che nelle traduzioni. "Sunt lacrimae rerum" (e continua: "et mentem mortalia tangunt").
      Buona domenica!

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  5. Le cose amate, così fondamentali nell'arte del vivere. Accomuna, soprattutto noi donne, credo, con la nostra innata devozione alla casalinghitudine (di cui diceva Clara Sereni) alla filosofia delle piccole cose (di cui parla Francesca Rigotti) ma ciascuna di noi ha le sue risorse, le sue attitudini, le sue vocazioni. Sono sensibile a ciò perché ne ricavo beneficio e conferma dei poteri espansi di ciò che io stessa voglio quali talismani.
    Grazie Rossana, del tuo interrogarti e delle tue risposte e della ricerca, densa di pensiero sempre.

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    1. Salve, Laura. Mi riconosco nel suo commento. Saluti cordiali, Maria D'Asaro

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    2. Cara Laura, in questo post ho inserito le immagini di Kristina Kemenikova che ho conosciuto grazie alla tua pagina facebook. Sono illustrazioni di una casalinghità lieta, in cui lo spazio dell'interno - che separa dall'esterno - è poetico, fiorito, infantile, allegro, senza traccia di costrizione per chi lo abita. Hai anche aggiunto un aspetto ulteriore che non avevo in mente scrivendo il post: una possibile, particolare propensione femminile per le cose, le piccole cose.
      Tante volte ho colto la tua finissima sensibilità per i "poteri espansi" dei dettagli. Di tutto ti ringrazio.
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  6. Incredibile la comunione di accenti che sento con le tue riflessioni. Anche a me ad esempio, riguardo ai libri che tanto amo e "abito", viene da pensare, con quieta e rassegnata malinconia: "Chissà in quale macero finiranno, tra qualche anno..." Stupenda la poesia di Borges indicata nella nota n.1. E preziose le altre citazioni. Grazie di cuore, cara Rossana.

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    1. Devo imparare dalla tua "quieta e rassegnata malinconia". L'affinità dei nostri pensieri e dei "gusti" poetici, culturali, filosofici... è sempre un dono.

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