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domenica 8 novembre 2020

Lo sguardo al tempo del covid.

Il linguaggio degli occhi apre i mondi interiori. Leggere negli occhi.

Post di Gian Maria Zavattaro.

Antoon van Dyck (1599-1641), Autoritratto (1613), dettaglio

Nel tempo delle mascherine obbligatorie e delle metriche distanze pare tramontato il faccia a faccia (vis à vis, face to face) che era sancito dalle strette di mano oggi poste al bando. Che cosa rimane della irruenza non verbale dello sguardo, adesso che è estrapolato dal volto ed esiliato dal tatto? Le mascherine non nascondono gli occhi ma celano i tratti individuali identificativi del viso (mento labbra bocca gote colorito naso), contesto che immediatamente connota lo sguardo e lo rende decifrabile.

Ma è ancora possibile nella situazione attuale decifrare ed essere decifrati?

Leonardo da Vinci, Mona Lisa (tra il 1503 e il 1506), dettaglio

Eppure ben conosciamo il potere poliedrico dello sguardo, mai neutrale od asettico: appassionato e tenero, indifferente o partecipe, ribelle critico minaccioso, luminoso o tenebroso, limpido o velato, rispettoso o insolente, amorevole od ostile, sognante nostalgico realistico, servile o libero, propositivo o imperativo, pudico o impudente, sfacciato o schivo, captativo seduttivo o promettente, possessivo o oblativo… ed altro ancora. È in ogni caso sempre uscire da sé nella multiforme varietà delle comunicazioni: sottomettersi e perdersi negli altri; oppure volontà di dominarli; oppure aprirsi all’“ottica” dell’agape ed assumere anche solo per un momento le gioie ed i dolori altrui; oppure rifiutare l’altro e di fatto comunicare di non voler comunicare. Mi succede quando ad es. io fuggo gli occhi altrui o faccio finta di non vedere chi m’importuna per l’elemosina; nello scompartimento del treno zeppo di persone e di virus vagantes anche il mio sguardo vaga dappertutto ma non sui volti; nell’ascensore, all'ospedale, poso gli occhi insistenti sui pulsanti e non sui pochi altri pressati a fare altrettanto e ad evitare ogni prossimità.

Rogier van der Weyden, Deposizione (1435 circa), dettaglio

Che ne è oggi dei nostri sguardi e dei loro messaggi non verbali?

Un nuovo codice dei comportamenti visivi e gestuali si sta di fatto imponendo nelle relazioni sociali e negli incontri. Lasciando agli esperti ogni interpretazione psicosociologica analitica antropologica, mi pare che nuove modalità siano comunque sorte (una per tutte: l’inglorioso gomito-gomito) ed altre sorgeranno, perché è impossibile non comunicare anche con i nostri volti mascherati.

In realtà stiamo andando tutti, forse più di prima, magari sottecchi, a caccia di sguardi. Il covid stimola la riscoperta dello sguardo, anzi di nuovi sguardi diversi rispetto a dieci mesi fa, frenati indubbiamente dalla mascherina ma non più offuscati dall’abbagliamento di troppi riflettori: sguardi oggi costretti ad una selezione che ci riconduce a rispettare i nostri limiti e a non confondere lucciole per lanterne. Insomma anche gli sguardi possono contribuire a salvarci dal covid e dalle nostre paure sottese.

Sandro Botticelli, La nascita di Venere (1485), dettaglio
Occorre però abbandonare senza riguardi quella fobia dello sguardo e quella miopia che erano dominanti fino a dieci mesi fa, quando guardare non era vedere e si vedeva solo quello che si voleva (non vidi ergo non est!) o che altri ci facevano vedere e c’era chi per mestiere si industriava a distrarci, a non farci vedere (e ancor oggi continua con lo snobbare o il negare il covid), a velarci di cataratta ed impedirci il tragico stupore della consapevolezza. Forse qualcosa in molti di noi sta cambiando, forse stiamo apprendendo che non bisogna mai chiudere gli occhi di fronte alla realtà, come struzzi. Chiudere gli occhi al covid vuol dire perdersi e perdere, dannarsi e dannare. E anche “chiudere un occhio” assume prepotentemente il significato di vile complicità.

Solo in un caso vale la pena chiudere gli occhi: quando non è assentarsi dal mondo ma vederlo meglio per meglio viverlo ed abitarlo, perché non bisogna semplicemente vedere, occorre anche pensare con gli occhi per ritrovare se stessi. In altre parole in questo tempo sospeso guardiamo prima di tutto in noi stessi (intus-legere, sguardo interiore,“conosci te stesso”) ri-prendiamoci, ri-possediamoci: condizione per vedere il mondo e socializzare senza infingimenti. 

Albrecht Dürer, autoritratto (1498), dettaglio
Allora si è pronti, nonostante la mascherina, ad aprirci agli altri, allo sguardo che reclama anche in questo nostro temporeggiare il primato della vista che si identifica da sempre nel conoscere, riconoscere, com-partecipare, com-patire,  accogliere.

La mascherina  difende dal covid, non è trinceramento dall'altro, semmai è il suo svelamento.

E’ ora di andare ad esplorare gli sguardi altrui che indicano sempre nuovi indizi di avvicinamento alla realtà, che inducono ed incoraggiano sguardi reversibili, cioè possibili almeno virtuali incontri.

Non voglio rinunciare allo sguardo altrui. Ogni volta che dovrò uscire di casa e nel rigoroso rispetto dei limiti deambulatori imposti dalle recentissime normative, continuerò imperterrito a vedere gli altri, sicuro che prima o poi seguiranno gesti parole interazioni: fascino tutto speciale dello sguardo mascherato in cui captare una sommersa o implicita attesa di gesti ospitali e non ostili, immagini di compartecipazione e accoglienza, di fraterna speranza che rifiuta di sommergere se stessi e gli altri nell’anonimato.

Tiziano Vecelli, ritratto equestre (1548), dettaglio

Continuerò per strada, a qualsiasi distanza, quasi riflesso condizionato, ad incrociare, apertamente e anche a volte sfrontatamente, il mio sguardo con quello di altri (amici, conoscenti, soprattutto sconosciuti) e dirò a me stesso che non si può essere reciprocamente indifferenti, che ci siamo e, per quanto estranei, possiamo sostenere i nostri sguardi che oggi più che mai segnano in modo irripetibile il nostro stare insieme nel mondo.

Se la nostra finitudine ci colloca tra presenza ed assenza, io preferisco gridare “Presente!”. “Non possiamo aspettarci di raccogliere i fiori che non abbiamo mai piantato” (V. Havel).

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10 commenti:

  1. Lo sguardo è capace di aprire la porta su un mondo imprevedibile e meraviglioso.

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    1. E’ profondamente vero, gent.le Maria Paola ed ognuno di noi può da subito – da sempre - contribuire ad “aprire la porta su un mondo imprevedibile e meraviglioso”. Grazie.

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  2. Interessante e profondissimo questo post: un invito alla riflessione corredato da significativi esempi di sguardi colti dai grandi pittori. Ma belle anche le canzoni!
    Grazie di cuore!

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    1. Grazie a lei, gent.le Annamaria. Naturalmente il merito della scelta delle belle canzoni e degli sguardi colti dai grani pittori è tutto di mia moglie Rossana.

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  3. Bellissimo articolo, tanto vero. Guardiamoci negli occhi che esprimono molto di più di quanto possano esprimere le parole. A sostegno di questo vorrei raccontare che in occasione del mio volontariato ho accolto una persona: ho fatto parlare, ho parlato. Poi, a un certo momento, a bruciapelo, l'assistito mi ha chiesto se fossi credente. Ho risposto di sì. Lo immaginavo, ha replicato. E, a quel punto incuriosita, gli ho chiesto perché lo supponesse. Risposta: per il modo in cui mi guardava parlandomi... Questo mi ha rafforzato nella mia idea fissa: nell'accoglienza si può essere gentilissimi e accoglienti, ma se lo sguardo è neutro o assente, l'accoglienza non viene percepita. La mascherina protegge noi e gli altri, lo sguardo parla per noi.

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    1. Gent.le Maria Teresa, guardarsi negli occhi è proprio svelare il proprio essere per gli altri. Come credente ammiro la sua bella significativa esperienza, ben sapendo che non è facile vivere (testimoniare) e far percepire la differenza tra lo sguardo chiuso nell’orizzonte dell’immanenza e lo sguardo di coloro che - come recita la lettera a Diogneto – “ dimorano sulla terra ma sono cittadini del cielo” (V, 1-11) e nel contempo credono e giudicano FRATRES OMNES…

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  4. Ciao Gian Maria! Grazie per questo bellissimo post e della vostra ricerca che mette a disposizione ormai centinaia di riflessioni, commenti, sintesi, immagini di opere d'arte, un patrimonio di bellezza gratuitamente offerto e condiviso! Davvero un grande servizio! Con affetto e riconoscenza! Giuseppe Grosso

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    1. Caro Giuseppe, grazie per quanto hai scritto, anche se non so, non sappiamo, quanto meritato. Lo dico convintamente, ben consapevole della mia povertà. Ma è stimolo per continuare a rimanere fedeli al nostro servizio al quale ci siamo sentiti chiamati sette anni fa (fine maggio 2013), nonostante tutto, soprattutto in questo tempo ferito in cui ognuno di noi sa di essere messo alla prova. Rossana ed io con cuore fraterno salutiamo (in senso etimologico…) te e Patrizia.

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  5. Grazie per queste riflessioni ricche di pathos e di profonda umanità. Assai stimolante la chiusa con l'affermazione di Havel, che invita ciascuno a piantare nella terra delle relazioni umane i fiori profumati dell'impegno, dei progetti responsabili, della condivisione feconda. Grazie ancora.

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    1. Gent.ma Maria, con tutto il cuore raccolgo e rilancio il suo invito-appello rivolto a ciascuno “a piantare nella terra delle relazioni umane i fiori profumati dell’impegno, dei progetti responsabili, della condivisione feconda”. Grazie a Lei, carissima Maria.

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