La poliedrica figura di Ėjzenštejn nella storia del cinema e non solo.
Post di Rosario Grillo.
Dziga Vertov, L'uomo con la macchina da presa, 1929 |
“Ogni bambino per bene fa tre cose: rompe gli oggetti, sventra bambole orologi per sapere cosa c’è dentro, tortura gli animali...Io ero un bambino cattivo. Da piccolo non ho fatto la prima cosa né la seconda né la terza... E questo è certamente molto negativo. Poiché è probabile che sia proprio per questo motivo che sono diventato regista”. (1)
Un buon manuale di psicologia non può che confermare. Un grande concentrato di sapere!
Della psicologia: in merito alla meccanica della psiche infantile; del l’antropologia: in merito al procedere della civilizzazione; della gnoseologia: in merito al rapporto tra il fare e il conoscere; della epistemologia: laddove si è sottolineato che “verum ipsum factum”.
Ora, con la spinta di Didi-Huberman, lo applico alla cinematografia.
Nella sua opera (Popoli in lacrime...) Didi-Huberman esamina al microscopio il cinema di S. Ėjzenštejn, in modo particolare: La corazzata Potemkin, arrivando a svelare, dietro la cornice estetica e tecnica, la filosofia dialettica assieme alla filosofia dell’arte e della politica del grande regista russo.
Come si sa, il film si sofferma sulla sollevazione che diede origine alla rivoluzione del 1905.
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Ėjzenštejn fu convinto sostenitore della rivoluzione bolscevica e, in un primo tempo, voce ufficiale della politica culturale del regime. La libertà dell’intellettuale, confortata da una poetica, che strideva con gli schemi ortodossi del “realismo” imposti da Stalin, portarono poi alla crisi, già annunciata (ed in parte, provocata) dal suo giro in Occidente.
✴️ Lo stile di Ėjzenštejn.
Il regista russo arrivò al cinema attraverso il teatro; poté fruire sia del ricco fervore dell’ambiente culturale russo sia dello spessore “pirotecnico” del frangente culturale, tra fine ‘800 e metà ‘900.
Conobbe il pensiero di Nietzsche, si catapultò sulla psicanalisi freudiana, divorando gran parte delle opere, assorbì creativamente le intuizioni delle avanguardie artistiche e letterarie.
Approdò al formalismo di V. Sklovkij (2) e ne assorbì l’humus fino a respingere la cultura impacchettata in canoni, propagandata su interesse degli stati totalitari.
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✴️ Il clou del suo stile si ritrova nella tecnica del montaggio (3).
Proprio qui: il “perno” dialettico. Perché, non di stretta tecnica si tratta, ma di un’intuizione geniale, dietro la quale si nasconde Dioniso (4). “Ci viene in mente Dioniso. I miti e i misteri di Dioniso. Dioniso che viene dilaniato, e le sue membra che di nuovo si compongono in un Dioniso trasfigurato” (5).
In sostanza,Ėjzenštejn va in cerca del “fenomeno originario” (Urphänomenon), bandolo della creazione e del pensiero.
Il concetto deriva da Goethe, nella cui “filosofia della natura” è l’archetipo, principio di metamorfosi, perché la natura fenomenica non può ridursi a “quantità” ed urto di parti meccaniche (6). È passato in W. Benjamin, che ne parla come protofenomeno, intessendolo con gli effetti a lui giunti dal barocco e dalla Parigi dei “passages”.
“Con l’atteggiamento del flaneur, che a zonzo va a spasso per la città, e crea connessioni fra i più svariati oggetti che di sfuggita gli si appalesano, così la storia deve per Benjamin collezionare le macerie e le tracce lasciate dal passato. La verità è qualcosa di concreto e sensibile quale può essere solo un’immagine”. (7)
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✴️ Abbiamo così gli elementi per comprendere il laboratorio di Ėjzenštejn.
Rompere ogni concatenazione deterministica, ibridare il fatto oggettivo (realismo) con lo “scatto” soggettivo (ideale). Attraverso il montaggio verticale, lasciare emergere il momento estatico (da ek-stasis: fuori di sé ) (8), trovare il punto di giuntura tra la sconfitta e la vittoria e cioè: tra le fasi lente della prostrazione, conseguente all’uccisione di Vakulincuk con la lamentazione e il rapido scatto rivoluzionario della sommossa.
Così facendo, la storia stessa è passibile di discontinuità: si presta al ritorno indietro e alla spinta in avanti, è pregna di lacrime e di trionfi..
La dialettica, nel frattempo, esce dallo schema rigidamente logico-economico per assumere il pathos emotivo. (9)
In ultimo - ma è trait d’union - va sottolineato il peso attribuito all’antropologia. Lo scrupoloso studio di autori come Mauss, Levy-Bruhl, per citarne alcuni, fu di immenso aiuto: ossigeno per le intuizioni di Ėjzenštejn.
✴️ Note.
(1) Da Memorie di Ėjzenštejn, riportato in Didi-Huberman Popoli in lacrime.
(2) Sul Formalismo russo si consulti Wikipedia.
(3) Ėjzenštejn girava chilometri di pellicola che poi tagliava e montava soggettivamente, immettendo ritmo e giocando sulla dinamica.
(4) Vedi Ėjzenštejn: la nascita del montaggio. Dioniso.
(5) Riportato in Didi-Huberman cit. p.120.
(6) R. Steiner, in proposito, scrisse: «Persino nel fenomeno più semplice, l'urto tra due corpi, s'introduce un elemento antropomorfico quando si pronuncia qualcosa in proposito. Il giudizio: un corpo urta l'altro, è già antropomorfico. Poiché non appena si voglia andare oltre la mera osservazione del processo, si deve trasferire su di esso l'esperienza che il nostro proprio corpo ha quando mette in moto un corpo del mondo esterno. Tutte le spiegazioni della fisica sono antropomorfismi mascherati.» Le opere scientifiche di Goethe, p. 152
(8) Il regista russo fu attento studioso delle “esperienze estatiche” (Ignazio di Loyola Teresa di Lisieux eccetera). In Messico ingoiò molte suggestioni dalle culture precolombiane.
(9) Da sottolineare la prossimità alla tensione rivoluzionaria eterodossa, emblematica in Rosa Luxemburg con la rivoluzione spartachista, in Trockij, celebre autore di una ricostruzione della rivoluzione del 1905.
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Grazie, Rosario. Ho letto il tuo post d’un fiato con attento piacere, mosso da una curiositas fatta insieme di ignoranza e di sapere di non sapere. Ci ammannisci sempre nuove sorprese e non scontati cadeaux. Interessante e coinvolgente “il laboratorio di Ėjzenštejn e la verifica piena del “pathos emotivo” quando mi sono precipitato a visionare su youtube il film completo restaurato con sottotitoli in italiano. Grazie.
RispondiEliminaGrazie ( non rituali, ma sentite ) del tuo benevolo commento. Dietro al tuo insegnamento, cerco di porgere in virtù del vostro “ considerato “ blog occasioni di conoscenze, di esperienze e riflessioni ( per la maggior parte a sfondo etico spirituale, ma anche di vario genere, cercando di tenere “ una quota “). Sono andato dietro al libro di Didi-Huberman, che cito. È un testo ricco, che riguarda la cifra dell’espressione artistica , teatrale o cinematografica ma alla larga di sostanza letteraria. L’approccio è particolare, visto che si interroga psicanalisi semiologia e critica letteraria sulla ragione estetica ( nel senso più universale del termine) dell’indifferenza le emozioni. Molto intrigante l’inclusione del piano storiografico.
RispondiEliminaCon ciò, mi sono sforzato di evidenziare la relazione tra il bello il vero il bene.
Mi offri l’occasione per ringraziare Rossana, alla quale tocca un lavoro improbo, che riso e ogni volta, anche questa ed in ispecie, alla grande.Grazie 🌹👍🤗🍀🌈🎆
Correggo il correttore automatico ( che poco sopporto) . Dove è scritto dell’indifferenza le emozioni si deve leggere : di indurre emozioni
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