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domenica 1 maggio 2022

Insegnamento-apprendimento "significativo".

La scuola, dopo gli anni difficili del covid.
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Andrea Ucini (qui il sito instagram).

Insegnare non è riempire un vaso, ma accendere un fuoco (Montaigne).
 
Andrea Ucini, Museo del fuoco
In base alla mia esperienza di docente e soprattutto di preside, si può essere d’accordo, almeno a parole, sull’affermazione che l’apprendimento scolastico per divenire “significativo” non deve mortificare né angosciare, pur esigendo fatica e rigore.
I due anni trascorsi di covid hanno prodotto un'abnorme situazione di emergenza (1) - contraddistinta per  quanto riguarda la scuola  da  reiterate improvvisate misure non sempre coerenti e da discutibili palliativi (banchi a rotelle, mascherine inutilizzate o inutilizzabili…) - che  ha colto tutti impreparati e impietosamente ha evidenziato luci e ombre circa “il problema dell’insegnamento - apprendimento”. (2)  La “dad” non è stata “luogo” di  tutti e di ciascuno, anzi spesso si è trasformata in “non-luogo” (3) per nulla gratificante, in cui si sono prodotti servizi scarsamente efficaci e funzionali, contestabili offerte di valore aggiunto, effimere relazioni educative e conseguenti apprendimenti ben poco “significativi”.
Non parlerò delle tecniche e tecnologie oggi di moda per indurre apprendimento che si presume significativo: le lascio agli addetti ai lavori ed a quanti si assumono la responsabilità di introdurle, diffonderle e ritenerle significative.
Andrea Ucini, La motivazione allo studio
Parlerò invece della conditio sine qua non in questo tempo di crisi: la necessità di un sotteso progetto educativo a fondamento di qualsiasi didattica che aspiri ad essere “significativa”, progetto che prospetti un processo di auto ed etero educazione, di conoscenza di se stessi e dell’altro, capacità e volontà d’incontrare capire le persone, comunicare ed interagire con linguaggi verbali e non verbali, con scambi di continue reciproche valutazioni, all’interno di una precisa definizione del contesto in cui ci si  ritrova.
Concretamente: quale tipo di definizione contrassegna la relazione di chi in-segna con chi apprende? Una comunicazione disturbata produce relazioni altrettanto patologiche. Se l’in-segnante non sa “in-segnare”, non sa comunicare, non ha consapevolezza delle interazioni verbali e non verbali proprie di ogni relazione di aiuto, la sua didattica è già in partenza perdente: non ci sarà apprendimento “significativo” che produca cambiamenti, che solleciti chi apprende ad assumere consapevolezza dei propri limiti e possibilità, che guidi la sua crescita, sottolinei il valore formativo di qualunque conoscenza o competenza acquisita, gli faccia compiere un passo in avanti rispetto a idee valori abilità prima possedute.
L’insegnamento-apprendimento significativo è quello che promuove crescita nella irripetibilità e diversità di ciascuno; quello che consente di riconoscere e scoprire il proprio volto autentico anche attraverso la pedagogia degli errori; quello che rende accessibile e praticabile a tutti il diritto alla pari opportunità ed al ben-essere nel contesto in cui operano; quello che favorisce l’integrazione dei più deboli (provenienti da culture diverse, socialmente svantaggiati, portatori di handicap) e nel contempo cura l’eccellenza come possibilità offerta a tutti di vivere serenamente la propria autostima, di sviluppare tutte le proprie potenzialità ed offrire il meglio di sé per sé e per gli altri, nell’ottica di una sana emulazione, il contrario della competizione di mercato intesa a liquidare l’altro; quello che  promuove cittadinanza attiva, cultura della legalità, convivialità e solidarietà, rispetto delle leggi scritte (regole della comunità in cui si è inseriti) e non scritte (dettate dalla propria coscienza e dal corretto giusto uso della propria libertà).
Andrea Ucini, La gioia di perdersi
La più grande sfida di oggi  è  trasformare l’apprendimento da “non-luogo” in reale “luogo” (Marc Augé!) di relazioni stabili e continuative. In quel tempo può avvenire in tutti ed in ciascuno, giovani e adulti, qualcosa di “significativo”: crescita di umanità che ci raggiunge anche se l’argomento o l’evento che stiamo gestendo è impervio ed ostico, anche se ci scontriamo con difficoltà che insieme si possono superare. L’apprendimento scolastico forse è ancora uno dei pochi luoghi della società odierna dove è possibile passare dall’insignificanza al significato: il fattore più educativo che esiste.   
Viviamo oggi in una strana inedita crisi che ha incidenza obiettiva sul modo di trascorrere la nostra vita quotidiana. Ma viviamo anche tempi interessanti, per certi versi meravigliosi anche per l’apprendimento significativo. “Crisi” non è una brutta parola: significa (gr. krinein) distinguere discernere giudicare, può essere occasione irripetibile di cambiamenti e processi di trasformazione personale e sociale.
Anche in questo tempo dell’incertezza divenuta stabile l’apprendimento può e deve essere significativo, a condizione che il contesto in cui si situa abbia un’anima segnata da condivise attese aspirazioni partecipazione, a condizione che  riappaia la parola più autentica:“Io ci sono”. Il nucleo centrale dell’apprendimento significativo è proprio “Io ci sono”: il  valore della persona riconosciuto dallo sguardo di chi in-segna e affermato come valore inestinguibile. Sguardo che sa fare i conti con la fragilità propria e altrui, perché è l’imperfezione il luogo dell’apprendimento significativo: imperfetto perché vivo, perché fa crescere insieme, perché non tollera l’irrilevanza di nessuno. “Le cose migliori nascono dalla riflessione e dalla riparazione degli errori”: perciò bisogna ascoltare  riparare in un turbine di dare e ricevere, sbagliare e correggersi, anche a volte ferirsi  e perdonarsi. Il che succede quando ci si incontra sul serio e nulla è più come prima.
Andrea Ucini, Pazienza

Chi è allora in-segnante? Non semplicemente chi ha acquisito la patente ministeriale di docente, ma chi ogni giorno impara che “insegnare non è altro che imparare”. Non è un mestiere privato, un lavoro di ripiego per barcamenarsi. È nobile mestiere con un codice deontologico rigoroso: è professione (dal lat professus,da profiteri, composto di pro-davanti e fateri intensivo di fari-parlare), propriamente colui-colei che dichiara, anzi apertamente declara con i fatti il proprio ruolo pubblico, la propria scelta di vita, la sua vocazione di come stare al mondo. Non è cosa da poco: indica  un “sentire” (“to feel”) gli altri che rinnega ogni permissività, indifferenza, neutralità, noncuranza. È “congruenza” direbbe C. Rogers. Congruente è chi è coerente con se stesso, è lo stesso sia interiormente sia esteriormente perché  ciò che sente è ciò che esprime; è chi vive il paradosso per cui l’incondizionata attenzione all’altro è possibile solo se è  capace di tale sentimento verso se stesso e viceversa. 
Non a caso l’incongruenza è tra le più diffuse “tipologie comuni”, anche nella scuola: discrepanza tra valori conclamati e comportamenti effettivi, dogmatismo e rigidità mentale come difese dall’incapacità di instaurare rapporti costruttivi. Eppure la congruenza è decisiva  nel rapporto con lo studente.
Agli amici ed amiche del nostro blog, a chi oggi ci legge, specie se insegnante, lancio una provocazione dettata da C. Rogers (3): “Ogni persona non può parlare francamente per difendere le proprie idee che dopo aver riesposto le idee ed i sentimenti della persona che ha parlato prima di lei, esattamente  e con piena soddisfazione di quest’ultima. Vedreste che cosa ciò significherebbe. Significherebbe semplicemente che, prima di esprimere il vostro punto di vista, sarebbe necessario assimilare il quadro di riferimento dell’altra persona, comprendere i suoi pensieri  ed i suoi sentimenti sino al punto di riassumerli in vece sua. Ciò sembra facile e semplice, non è vero? Ma se farete questo tentativo, scoprirete che è una delle cose più difficili che abbiate mai tentato di fare”.
 
💥 Note.
Andrea Ucini, La dimensione dell'intelligenza
1. Emergenza=
momento critico, situazione di estrema pericolosità pubblica tale da richiedere interventi immediati ed eccezionali.  Educare = ex-ducere, condurre fuori dalla frammentazione, dal caos, dall’insignificanza, appunto in-segnare (lat. insĭgnare,  imprimere e lasciare segni, produrre cambiamento). Apprendimento = processo attraverso il quale gli esseri umani acquisiscono o modificano le proprie capacità, abilità, conoscenze o comportamenti. In altre parole processo di formazione dell’esperienza e di adattamento per le occasioni future, grazie all’esperienza diretta, lo studio e l’istruzione scolastica.
2. Le luci: la fedeltà al servizio  di tantissimi docenti e presidi. Le ombre: il meccanismo contorto della dad.
3. cfr. Marc AugéNonluoghi. Introduzione a un'antropologia della surmodernità, Elèuthera, 2009.
4. cfr. Carl Rogers (1902–1987), Freedom to learn, trad. it. Libertà nell’apprendimento, Giunti-Barbera,1973.

2 commenti:

  1. Percepisco una sorta di respiro dell'anima quando leggo riflessioni come le sue, prof. Zavattaro... Grazie.

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  2. Gentile Maria, bellissimo il suo “respiro dell’anima”! Continuiamo, ognuno dal suo osservatorio, ad esplorare il mondo della scuola che non cessiamo, imperterriti, di amare, lontano dalla cupezza del conformismo, partecipando al patire e gioire dei tanti docenti che umanizzano la terra senza presunzione, con l’umiltà di chi esercita l’arte della maieutica. Le sue parole, come le nostre, sono fatte di speranza nel richiamare senza tregua ogni persona libera a riscoprire la gratuità inutile, l’arcano della meraviglia, senza arrenderci al nulla, guardando noi stessi e l’altro con empatia. Grazie.

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