Post di Rossana Rolando
Illustrazione di Emilano Bruzzone (qui il sito).
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Emiliano Bruzzone, Gli inaffondabili
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Pensare la politica come professione può, di primo acchito, suscitare un sentimento di insofferenza, riconducibile allo squallore di una politica spesso ridotta alla poltrona, in cui quel che conta è mantenere una qualche carica e rimanere a galla. E tuttavia, da questo spettacolo indecoroso, può nascere una tentazione altrettanto dannosa, eppure sempre ricorrente, fin dalla nascita della democrazia: pensare che chiunque, in qualsiasi momento, con o senza formazione specifica, possa fare politica, al fine di favorire il periodico ricambio e di evitare il carrierismo immorale. Lo slogan “uno vale uno”, senza riferimento a competenze e conoscenze, è sorto all’interno di questo sentire e ha trovato, nella precedente tornata elettorale, ampio consenso.
All’avvicinarsi della nuova scadenza del voto, leggere e rileggere la conferenza-saggio di Max Weber, La politica come professione,¹ può essere d’aiuto, indipendentemente dalla posizione partitica di ciascuno.
Elaborata nel 1919, subito dopo la grande guerra, in un momento drammatico per la Germania, la conferenza è rivolta ai giovani studenti rivoluzionari e mette in guardia - profeticamente - dagli esiti di una cattiva politica, esposta al rischio di rigurgiti reazionari (come tragicamente avverrà nel 1933, con la Germania nazista, più di un decennio dopo la morte di Weber, nel 1920).
Ben consapevole del possibile deterioramento della democrazia, spesso divenuta macchina elettorale – in cui la gestione del voto è finalizzata alla distribuzione e al mantenimento delle cariche² - la riflessione di Weber rifiuta però la via qualunquistica del dilettantismo, per chiarire bene il significato del termine professione, applicato all’ambito politico.