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domenica 13 agosto 2023

La porta per uscire.

Ferragosto è tempo scabroso per chi vive lo scandalo della solitudine e delle povertà.
Post di Gian Maria Zavattaro.
Illustrazioni di Giulia Pintus (qui il sito instagram)
 
Giulia Pintus, L'anima della festa
Nessuno è solo
“In questo stesso istante c’è un uomo che soffre,
un uomo torturato solo perché ama la libertà.
Ignoro dove vive, che lingua parla,
di che colore ha la pelle, come si chiama,
ma in questo stesso istante, quando i tuoi occhi leggono
la mia piccola poesia, quell’uomo esiste, grida,
si può sentire il suo pianto di animale perseguitato
mentre si morde le labbra per non denunciare
i suoi amici. Lo senti?
Un uomo solo grida ammanettato,
esiste in qualche posto.
Ho detto solo? Non senti, come me,
il dolore del suo corpo ripetuto nel tuo?
Non ti sgorga il sangue sotto i colpi ciechi?
(José Augustin Goytisolo,1928-1999, poeta e scrittore spagnolo del “Gruppo catalano”, traduttore di Pavese, Quasimodo, Pasolini).
 
In questo nostro mondo miliardi di persone viventi formano un tentacolare gigantesco turbinio, stranamente affascinante e conturbante: intreccio ambivalente  di anonime storie di solitudini e di quotidiani gesti di fraternità, compresenza di tante disperazioni individuali e di altrettante speranze,  misterioso  spettacolo di  vortici di lutti e di gioie spensierate. Umanità  che si agita in balia  di una febbre oscura dove tutto passa: guerra, pace, amore, rabbia, speranza, disperazione…
Eppure, a ben vedere, ognuno di noi  può sempre aprire squarci di luce, ritagliare spazi e tempi dove  incontrare volti non anonimi, tendere mani  per insieme sperare.  
Giulia Pintus, Ascoltarsi
“Solitudine” è parola equivoca, può significare diverse e divergenti realtà. 1) Qui mi riferisco esclusivamente alla solitudine come dimensione asociale-antisociale (isolamento, abbandono, dannazione, emarginazione): solitudine, con implicanze e costi assai diversi, che riguarda ognuno di noi anche in questi giorni di ferragosto. Da una parte si risponde alla solitudine con il bagno di folla nel solleone di ferragosto, al mare, in montagna, ai laghi, in una frenesia competitiva e mimetica, dove tutti soggiacciono ad un medesimo modello-processo di competizione-consumo. Dall’altra si decreta più o meno tacitamente la sospensione dell’attenzione a farsi carico della sofferenza di chi è nella solitudine-povertà: migranti e annegati, malati, vecchi, carcerati, uomini donne bambini vittime di ogni guerra (circa170) sparsa nel mondo e gli schiacciati invisibili di cui le nostre città sono piene. Si sospende più o meno provvisoriamente il proposito di lasciarsi interpellare da loro  in questi giorni in cui vige la prassi di vivere un periodo di sovraffollato ottundimento quotidiano, possibilmente al mare o in montagna, senza patire il fastidio permanente delle miserie altrui. Ma la solitudine-isolamento degli schiacciati resta, insieme al loro silenzioso grido ed alla loro disperazione ed abiezione.  Non è frutto di un ineluttabile infausto destino, esce da mani umane: è lo sconfinato mare dello sfruttamento, dell’alienazione, della lacerazione, della frattura, della incomunicabilità rispetto agli altri esseri umani e dell’indifferenza globale. È un monito per tutti, vicissitudine eventuale che potrebbe cogliere ognuno di noi.
Giulia Pintus, Ricordi
A me interessa oggi,  alla vigilia di ferragosto, sottolinearne l’aspetto tragico come angoscia della derelizione e dei muri visibili ed invisibili, come impotente consapevolezza che non si è padroni del proprio destino, terrore paralizzante del vuoto, della propria esistenza inutile, greve di inesorabile minaccia. Penso alle migliaia di morti nel Mediterraneo, ed ai 41 “dimenticati” annegati  pochi giorni fa: la traversata doveva essere il momento di finirla con le tante notti dell’esistenza, il grido, l’invocazione, l’implorazione che la vita tornasse a dare un senso, che magari un volto amico giungesse, perché un margine rimane finché non è disfatta la speranza.   Mistero terrificante delle nostre libertà: voler “vedere” o guardare altrove, retrocedere o andare avanti, costruire o demolire, optare per l’intensità della vita a favore di tutti (nei centri di accoglienza, nel mare alla ricerca inesausta di chi può essere salvato, nei gesti del volontariato) o per  la  trafila della selezione dei labirinti burocratici, mortificanti e mortiferi.
 
Non voglio fare il  menagramo, semplicemente perorare che in ogni città, a partire dalla mia Albenga, ci si approssimi alle situazioni concrete degli “schiacciati”; che i media  e  i giornali tutti - non solo Avvenire e ben pochi altri - riconoscano e urlino che la solitudine -povertà si va presentando drammaticamente con volti inediti e nuovi. Sarebbe un modo concreto di  scorticarci almeno un poco le mani e di reagire all’indifferenza che non è solo mancanza di partecipazione emotiva  e non-volere-sapere, ma considerare insignificanti  persone la cui esistenza non c’importa affatto. Non  si tratta di cercare di commuovere o commuoverci, piuttosto  di “fare entrare a forza nelle nostre preoccupazioni quotidiane la presenza permanente dell’ingiustizia  e della sventura” (E. Mounier) e rammentarci e rammentare che “la povertà non si rivela se non a colui che la vuole sopprimere” (P. Ricoeur).
Giulia Pintus, Cedi la strada agli alberi
Ferragosto è tempo scabroso per chi vive lo scandalo della solitudine e delle povertà. Essere con chi è solo e povero esige, specie in questi giorni, formule pratiche che ciascuno deve trovare nei limiti delle sue condizioni, ma a tutti si può richiedere il coraggio di andare controcorrente, di sfidare il conformismo estivo, di riconoscere che anche in questi giorni la nostra società continua a presentare  vaste zone d’ombra, sacche di povertà-solitudine ed esclusione sociale, che anche in questi giorni non provengono  da  misteriosi destini, ma affondano le loro radici nella nostra società con i suoi  meccanismi di esclusione e portano le stigmate  della sofferenza di miriadi di anonime persone senza volto. 
Sia chiaro: non significa affatto rinunciare alle vacanze. Con mia moglie, i parenti e gli amici, vivrò  con gioia queste giornate di festività religiosa e secolare,  doverose per chi in questi mesi ha cercato di dare tutto se stesso per gli altri. A tutti auguro di scalare non senza fatica dirupi montani, di inebriarsi  di paesaggi che levano il respiro; di buttarsi dalle nostre ardenti spiagge nelle onde del mare; di godere le opere d’arte sublimi e le testimonianze di passate civiltà; di  frequentare sia luoghi di preghiera e di meditazione sia luoghi di svago e di divertimento; di incontrarsi  tra persone lasciandosi coinvolgere dalle loro storie di vita; di degustare bevande e cibi, sopportare le code in autostrada… Ma nel contempo di chiederci  che cosa ogni uomo ed ogni donna possano aspettarsi dalla vita, con lo sguardo attento  e consapevole che ogni tempo può essere tempo del “kairos”: tempo che si ha a disposizione per se stessi, per gli altri e, se si è credenti, per Dio; tempo per interrogare ed interrogarci, dare senso al nostro nomadismo esistenziale, senza rinunciare al compito di vegliare, secondo modalità che ognuno di noi deve saper ritrovare, sulla solitudine altrui: uomini e donne, integrati e disadattati, ricchi e  poveri, lavoratori e disoccupati, sfruttati e sfruttatori, giovani ed  anziani, immigrati ed autoctoni, malati e sani, disabili ed atleti, carcerati e carcerieri, sfruttatori e sfruttati, corrotti e corruttori, santi  e peccatori…
 
Giulia Pintus, Tutto cade giù
Un’ultima parola sulle Carceri: strage  silenziosa, mai così tanti suicidi dal 2009 ad oggidonne e uomini che non ce la fanno e non ce l’hanno fatta a resistere, anche a pochi giorni dalla scadenza detentiva. Sovraffollamento, presenza dei piccoli con le mamme detenute, lunga catena di suicidi (già centinaia), problema della salute mentale: ferite aperte dall’emergenza del sistema carcerario. Inoltre promesse mai mantenute d’introdurre nelle carceri italiane 2000 psicologi e urgenti riforme strutturali, investimenti per organici preparati e motivati.  
Non c’è bisogno di trovarsi dietro la grata di una cella per capire quanto sia difficile restare liberi.  Prima o poi arriva il momento  per tutti di accorgersi che c’è una porta che non riusciamo ad aprire, forse perché piegati  dall’infelicità e  solitudine  o forse  soffocati dal successo e dal benessere.
 
“C’era una porta, ma non la sapevo aprire.
Non arrivavo neppure alla maniglia.
Perché non potevo uscire dal mio carcere?
Che cosa è l’inferno?
L’inferno è l’uomo stesso, solo.
Non c’è niente per cui si possa fuggire,
non c’è luogo dove si possa andare.
Si è sempre soli.”
(THOMAS ELIOT).
 
Note.
1. a. Solitudine come dimensione asociale (isolamento, abbandono) oppure antisociale (dannazione, stigmatizzazione, emarginazione dei malati vecchi carcerati stranieri migranti, del binomio indissolubile solitudine-povertà).  b. Solitudine che rimanda alla storia personale e sofferenze psichiche di ciascuno,  fino a sconfinare nella patologia e/o in morbosi egocentrismi. c. Solitudine legata all’identità irripetibile di ognuno di noi, segno di interiorità, mezzo  per trovare se stessi e andare oltre se stessi: polarità costruttiva della dimensione sociale, condizione di autentica relazione con l’altro (il tu) che non ha il suo punto di partenza nel monologo ma nel dialogo, nella fraternità, nell’apertura all’amore tanto che un buon matrimonio è quello in cui ognuno dei coniugi affida all’altro il compito di vegliare sulla sua solitudine” (R.M. Rilke).
 
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4 commenti:

  1. Rosario: Ricco di umanità, senso di appartenenza, suscita con la riflessione una partecipazione empatica. È il minimo, caro Gian Maria, della risposta ad un problema, che con il tempo si aggrava sempre più, visto che, come dice il Papa, questo modello di società crea volutamente gli scartati. Tra di noi, oltretutto, circola un benefico spirito ( non coinvolgo lo Spirito Santo perché lo condividiamo nella Fede) di condivisione anche se non abbiamo molte occasioni di incontro. Apprezzo in modo particolare quel che scrivi del grave problema dei carcerati e spezzo una lancia in suo favore. Nel prosieguo delle ore ho ascoltato la canzone di Brunori Sars “ la verità liquida” ed ho confermato tutta la sintonia sul disagio di subire questo peso.

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  2. Grazie Rosario per il prezioso suggerimento! Inserisco qui il video:
    [video]https://www.youtube.com/watch?v=52puh32B4OI[/video]

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  3. Proprio in questi giorni sto "approfondendo la conoscenza" di Don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta. E nelle tue parole, Gianmaria, ritrovo tanto di lui, della sua attenzione, del suo amore per gli ultimi, non pietistico, rassegnato, ma attivo, "combattivo", teso a contrastare le ingiustizie del mondo qui e ora, originate da quella eccessiva attenzione per l'interesse neramrnte economico, per il profitto a qualunque costo. Grazie per questo "cortocircuito"

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    1. Grazie. Mi capita di rileggere sovente di don Tonino Bello le pagine di "Alfabeto della vita" (ed. Paoline, Mi, 2010) e cercare di capire e praticare la "tenerezza della carità"

















      (Don Tonino Bello, Alfabeto della vita, ed. Paoline, Mi, 2010)

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