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lunedì 4 novembre 2013

Oggi, giorno della vittoria o della pace?



La retorica della propaganda
prima della guerra.


La retorica dopo la guerra.
Qualcuno vorrebbe che il  4 novembre fosse per tutti giorno d’esultanza e di celebrazioni della vittoria.  Io non ci riesco. Quale vittoria? Mio nonno è morto sul Carso nel 1916, lasciando una vedova 22enne (mia nonna), mai risposatasi, e due piccoli figli (mio padre e mio zio).  Da allora la mia famiglia è stata segnata per decenni, e lo è per certi versi ancora oggi, da questo tragico irreversibile  e per noi assurdo e inconcepibile lutto. Così è stato per centinaia di migliaia di famiglie in Italia e per milioni nel mondo. 
  

Sacrario di Redipuglia
 
Uno dei tanti soldati ...

Non ho nessuna voglia di celebrare questa vittoria, solo di ricordare il pianto  di vedove ed orfani prematuramente privati degli affetti più cari. Che cosa c’è da celebrare  a ricordo di questa ”inutile strage”? 



Sacrario di Monte Grappa, particolare.

Sacrario di Monte Grappa.


Il biennio rosso? La fame e la miseria? I calci nel sedere a mio padre, costretto a 10 anni a cercar lavoro, da parte del suo  cosiddetto “principale”, a Cuneo?  La crisi del 29?  La rivoluzione russa?   L’avvento del  fascismo? No, non ci riesco. E non è solo questione  di essere o non  essere pacifici e pacifisti. Certo lo sono:  pacifico, ma non pacificato  e non liberato  dalle guerre di ieri e di oggi.  
  


La risposta ad un appello ...
 

... che costò 10 milioni di morti

A Cuccaro Monferrato, paese natale di mio nonno  la mia famiglia  partecipa   all’inaugurazione del nuovo parco dedicato alla memoria dei caduti, a  nome dello strazio di centinaia di migliaia di famiglie italiane.

La trincea, simbolo
del primo conflitto mondiale.
E non si tratta di ricordare solo i caduti, vorrei ricordare anche  il ritorno a casa dei combattenti rimasti vivi alla fine del conflitto. La guerra, oltre ad impegnare ed esaurire tutte le disponibilità economiche e finanziarie dei paesi in guerra, li aveva costretti, nella quasi totalità, a gravarsi di debiti pesantissimi; le industrie presentavano il problema della riconversione da industrie di guerra ad industrie di pace, con l’aggravante di manodopera qualificata falcidiata dalla guerra; le campagne, che avevano fornito agli eserciti il maggior numero di combattenti, presentavano  il desolante aspetto delle terre abbandonate. Nei paesi vinti  ancor più drammatica la situazione a causa delle  dure condizioni imposte dai vincitori. Ovunque  i fenomeni tipici del dopoguerra: inflazione, scarsità di beni di consumo, rincaro spaventoso dei prezzi. Scampati dalla morte in guerra, i reduci e le loro famiglie dovettero affrontare una quotidiana lotta per l’esistenza,  non meno tragica.
Più drammatico ancora il ritorno dei mutilati e degli invalidi.


Invalidi di guerra.

Per loro la distinzione tra chi aveva vinto e chi aveva perso non ha  senso:  per tutti l’inserimento nella vita familiare e civile comportò  implicazioni materiali psicologiche e morali che sconvolsero  e resero angosciante l’esistenza   quotidiana.    Problematico e difficile il destino di tanti mutilati ed invalidi condannati a vivere giorni stentati e dolorosi,  incapaci di riprendere il loro posto nella vita civile e spesso anche nella stesa vita familiare.  

 
Lizzana, frazione di Rovereto,
alla fine del primo conflitto mondiale.

Rimangono amarezza e  sgomento per le celebrazioni tronfie di una ipocrita retorica che non costa niente, se non ai contribuenti. La memoria, quella vera profonda,  decisamente si è affievolita. Amo il mio Paese, l’Italia,  non per la vittoria di 95 anni fa,  ma per la capacità della sua gente – i nostri tris/bisnonni,  nonni e  padri -, anche di fronte alle sconfitte,  di non arrendersi mai, di   operare e sperare in  un domani migliore per le nuove e future generazioni.





2 commenti:

  1. Giorno della pace. E del bene comune.
    Penso che questo debba essere il senso con cui vivere questa giornata.
    Conoscere il passato, per comprendere il presente e progettare un avvenire di giustizia e pace. Ricordare, a partire dalle giovani generazioni (sin dalle scuole elementari) che la guerra è "un'inutile strage" e che "nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra".

    La mia personale testimonianza ed esperienza, invece, è questa: come sa, tra le altre cose, mi occupo, in parrocchia a Ranzo di preparare le celebrazioni liturgiche. Come è annuale tradizione, nella domenica o nella giornata precedente al 4 novembre in cui vi è congruo concorso di popolo viene benedetto il monumento ai caduti. Nel rito che ho preparato, estratto e adattato dal "Benedizionale", abbiamo pregato con il salmo (85, 9-14) e proclamato, come responsorio, "beati gli operatori di pace".
    E poi pregato per il bene comune e perché il nostro Paese faccia memoria concreta di principi-valori come la solidarietà che costitutivamente ne segnano l'identità. Celebrare la giornata dell' Unità Nazionale- anche come comunità ecclesiale- è, secondo me, questo.

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  2. Il post formula un duplice giudizio: quello storico sulla grande guerra, le cui conseguenze hanno condizionato gran parte del Novecento (non si capirebbe la seconda guerra mondiale senza la prima) e quello sulla ricorrenza del 4 novembre, giornata della vittoria, secondo una dicitura trionfalistica, o della pace, come qui si suggerisce. L’intervento di Marco Rovere coglie entrambi gli aspetti, muovendosi in piena sintonia con quanto espresso nel post, sia in ordine al giudizio sulla guerra, sia in relazione alla personale e ricca esperienza sul senso della festività. Penso tuttavia che in un pubblico, immaginario dibattito, molte – e forse anche accese – sarebbero le posizioni discordanti su questi temi.

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