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lunedì 12 giugno 2017

La scuola è inclusiva?

La scuola oggi: tra inclusione, competizione, integrazione scuola-lavoro.
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Franco Matticchio.


Franco Matticchio
“Che vergogna! Essere stati contemporanei di papa Giovanni, di don Mazzolari, di don Milani; anzi, essere stati loro amici e commensali, e non avere imparato. E non essersi convertiti. Ed essere quelli di sempre. Peggio di sempre! Sì, perché si viene dopo un concilio, si viene dopo queste lotte furibonde dei poveri contro i ricchi, lasciando soli i primi e “fornicando” sottilmente (ma poi non tanto segretamente) coi secondi. […] Fin quando la chiesa, una “certa chiesa”, non trova il coraggio di dire che anche don Lorenzo Milani è un santo, questa chiesa non impara! Vuol dire che non cambia, non si converte neppure di fronte alla”lezione” di Dio; vuol dire che non ha compreso i “segni dei tempi”; anzi non ha “temuto Dio che le attraversava la strada. […] Non si dichiara santo uno che abbia “esercitato le virtù teologali e morali in grado eroico”? Uno che sia un modello di fedeltà a Cristo, alla sua chiesa, ai poveri? Allora c’è da sfidare chiunque a trovare altri che sia più fedele, nei nostri tempi, di don Lorenzo Milani. Chi può essere un esempio più efficace ai nuovi credenti, ai giovani inquieti che cercano il regno più di quanto noi conformisti riusciamo a immaginare?” (D. M. Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium ed., Sotto il Monte BG,1997, pp. 28, 41-42).

Scuola e inclusione.
Franco Matticchio
La recente ricerca OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha confrontato gli esiti degli studenti 15enni UE sottoposti ai test PISA nel 2000 (comprensione del testo, matematica e scienze) con quelli ottenuti dagli stessi nel 2012 (test PIAAC), in teoria ormai inseriti in attività lavorative. La scuola italiana sarebbe la migliore d’Europa per quanto riguarda l’inclusione sociale, ma solo fino ai 15 anni, poi, specie in Italia, si osserva un allargamento della forbice a sfavore di chi proviene da famiglie svantaggiate. La scuola riduce le disparità, ma i poveri restano.
Lo si vede bene dal rapporto annuale ISTAT 2017: in povertà assoluta 1,6 milioni di famiglie, il 28,7% a rischio di povertà o esclusione sociale. La disuguaglianza aumenta: i figli della classe dirigente diventano classe dirigente, i figli dei laureati diventano laureati, gli altri lasciano la scuola presto. Lo si vede bene dall’esercito dei Neet (Not in Education Employment or Training), circa 2,5 milioni di giovani tra i 16 e i 30 anni esclusi da scuola e lavoro: il 96% provengono da famiglie svantaggiate, soprattutto dagli istituti professionali e dal Sud. L’inclusione della scuola è transitoria se non illusoria. La verità statistica non mette in evidenza la complessa problematicità dell’inclusione, non coglie realmente le trame ed i risvolti della quotidiana varietà delle esclusioni. 
Franco Matticchio
Prendiamo ad es. i disabili che meriterebbero un discorso a sé: il d.m. 378, che si fa coraggiosamente carico della “Inclusione scolastica degli studenti con disabilità”, è tuttavia intessuto di troppi auspici e di realistici ottativi “di norma” (classi con non più di 20 alunni e un solo disabile per es.) e di fatto metacomunica che la realtà è e sarà ben diversa. Prendiamo in particolare il bullismo dilagante. Una ricerca recente (EU NET ADB su un campione di giovani europei tra 14-17 anni) rivela che il 21,9% degli intervistati è stato vittima dei bulli! E' di qualche giorno fa la legge di contrasto al cyberbullismo: ben vengano, quando necessario, le norme repressive, i tutor, gli interventi del questore e quant'altro, ma rimane il problema della prevenzione intesa come mirata educazione alla cittadinanza e ad un'etica pubblica condivisa (1).
Prendiamo il “Rapporto Giovani 2017-La condizione giovanile in Italia” dell’Istituto Toniolo, basato su un campione di 6172 giovani tra i 18-32 anni: il lavoro e la situazione economica generale (bassi salari, precarietà, difficoltà a trovare lavoro) per oltre il 70% dei giovani italiani hanno nell'ultimo anno impedito l'uscita dalla casa dei genitori e la conquista dell’autonomia.
Franco Matticchio
Percentuali equivalenti si riscontrano anche rispetto al rinvio permanente della nascita del primo figlio per giovani coniugati. Determinante sarebbe il percorso formativo. La categoria più penalizzata è quella dei Neet; seguono i lavoratori a tempo determinato. Insomma i ventenni Neet si stanno trasformando in trentenni Nyna (Not Young and Not Adult)! E c’è la punta estrema dei Neet: circa 120.000 giovani
hikikomori (così li chiamano in Giappone, da noi autoreclusi) il cui numero cresce ogni anno, che rifiutano qualsiasi contatto con l'esterno. Secondo M.Lancini, psicoterapeuta, presidente Fondazione Minotauro, è una silenziosa epidemia: un bel giorno "scelgono di tagliare con il mondo perché vittime di bullismo o perché rifiutati dai coetanei" e non escono più dalle loro stanze di adolescenti, in cui si confinano giorno e notte, con la Rete come unico ponte verso l'esterno, in fuga da un mondo da cui sentono emarginati. "Forma estrema di protesta sociale, grido di dolore, per non sentirsi adeguati ai propri coetanei, incompresi a scuola, schiacciati dalla competizione. A questi ragazzi ipersensibili, spesso intelligentissimi, sembra l'unica salvezza da un mondo che li fa soffrire” (2). 


Integrazione scuola-lavoro.
Franco Matticchio
Si capisce allora l’attenzione per l’integrazione scuola-lavoro. Avere un lavoro (avete presente la lezione che ha impartito al mondo politico ed imprenditoriale Papa Francesco a Genova sabato 27 maggio?), riappropriarsi cioè della propria dignità ed essere liberi da ricatti e sudditanze, è premessa essenziale per l’effettivo esercizio dei diritti-doveri di cittadinanza. E irrinunciabile compito della scuola essere aperta e radicata nel proprio contesto territoriale e globale, con cui interagire (meglio dunque parlare di integrazione più che di alternanza...) e di cui conoscere i risvolti socioeconomici, compresi i concreti sbocchi occupazionali. Qui è ancora il richiamo alla testimonianza di don Milani: fortissima l’aderenza della sua scuola dentro la trama e l’intreccio di tutti i problemi della società, in costante e critico dialogo con la realtà politica, sociale, lavorativa. E pensate ai suoi laboratori. Ma la priorità non era far acquisire un sapere specialistico, bensì formare la persona, il cittadino capace di esercitare i propri diritti-doveri, la responsabilità verso se stesso, gli altri, l’ambiente.
Positivo certamente l’obbligo, introdotto dalla riforma “Buona Scuola”, di raddoppiare le ore di tirocinio degli istituti tecnici e professionali, oggi a quota 400, e di introdurne 200 nei licei. Nel 2014/15 273.000, 652.641. Nel 2015/16 gli studenti coinvolti, con partecipazione  record dei liceali; oltre 1.000.000 quest’anno, nel prossimo sono previsti 1.500.000. Giustamente il MIUR è orgoglioso di questi risultati. 
Franco Matticchio
Un po’ meno i docenti (ancora una volta oberati di nuovi oneri e di pletoriche pratiche burocratiche, relazioni, modelli da compilare ecc.) ed i sindacati della scuola (una ricerca della Cgil sul primo anno di attuazione della legge 107, che ha coinvolto 205 scuole in 87 province con 180.335 studenti intervistati, evidenzia il rischi di molte esperienze: 1 su 4 è fuori da percorsi di qualità, il 10% ha partecipato solo ad attività propedeutiche, l’80% delle esperienze sono state fatte almeno in parte nel periodo estivo. Il picco degli studenti non inseriti si registra al Sud, nelle isole e negli istituti professionali. L’81% delle scuole si sarebbe comunque orientato sulla base delle proprie vocazioni curriculari: gli istituti tecnici verso le imprese (98%), i licei verso enti pubblici (91%). Il modello organizzativo sarebbe “ancora poco collegiale”...). Un dato invece sicuramente interessante e positivo, pur a fronte di percentuali minime per ora sociologicamente poco significative, è il raddoppio in questo a. sc. della alternanza scuola-lavoro nel volontariato: più di 8.200 studenti, con 441 docenti di 237 istituti, in progetti realizzati dalla rete dei CSV in collaborazione con 656 associazioni. Il volontariato si avvia ad essere sempre più realtà che promuove la cittadinanza attiva fra i giovani, occasione di crescita professionale, terreno di sperimentazione anche per le associazioni. Vogliamo a questo punto parlare della competizione a scuola? Quale?

Competizione a scuola.
Franco Matticchio
Competizione è una parola equivoca, dai contrastanti significati. E’ che oggi il significato dominante è quello mediato dalla spirale del mercato, il cui motto si potrebbe tradurre così: “Ciò che conta è il successo. Sii sempre vincitore! E ricorda: per le ineluttabili leggi di mercato mors tua vita mea!”. Competizione a braccetto con l'esclusione. Nella scuola la com-petizione non può tradire il significato etimologico del latino cum-petere: tendere verso, insieme ricercare ed insieme chiedere e domandare. La scuola è extraterritoriale rispetto al modello neoliberistico e alla cultura dello scarto, che sono prodotti storici e nulla vieterebbe di trasformare il modello e la prassi attuale in un pensiero sistemico di convergenza, in una economia di comunione, in un mercato equo e solidale… Competizione a scuola dovrebbe significare piena realizzazione di tutte le potenzialità e talenti differenti e differenziati di ognuno, offrire cioè a tutti solide “competenze”, educare a porre insieme domande ed insieme ricercare la via delle risposte, nel dialogo e nella inclusione, non nell'esclusione, evitando attentamente di favorire una cultura del voto fiscale, dove uno vale per il voto che prende (Che cosa ne pensano i docenti che consegnano i compiti in classe 2 o 3 mesi dopo, in tal modo metacomunicando una prassi di voto puramente fiscale e non una cultura della valutazione formativa e promozionale, volta a migliorare sia l'apprendimento sia l'insegnamento? E, peggio ancora, quelli che aspettano gli ultimi giorni dell'anno per riempire con eroico furore il registro di voti, visto che la normativa richiede un numero “congruo”?). 
Franco Matticchio
La realtà però si presenta diversamente, se si riflette sullo stress degli studenti per il voto. Il citato rapporto Pisa (programma di valutazione triennale degli studenti quindicenni realizzato dall’Ocse) mostra come la scuola italiana sia tra le più stressanti al mondo per l’ansia da prestazione causata da interrogazioni, compiti in classe, brutto voto. L’ansia comunque scende quando gli insegnanti si dimostrano inclini all’ascolto e al dialogo, quando riescono a far capire, e soprattutto lo testimoniano nella loro prassi quotidiana, il significato non fiscale ma formativo-promozionale dei voti. Compito arduo, visto che il 55% degli studenti italiani dichiara di condividere l’affermazione “Voglio essere il migliore, qualsiasi cosa faccia“: espressione che può essere sia oggetto di benevola interpretazione sia di malevola presa d'atto di una strisciante cultura del successo anche a scuola, con ogni probabilità introiettata dall'extrascuola e dalle famiglie che programmano i figli ad essere sempre vincenti. Se per gli studenti non vanno bene le cose, per gli insegnanti non vanno meglio: in una sua ricerca l’Università La Sapienza ha evidenziato che, oltre agli stipendi bassi, i servizi scarsi, il rapporto conflittuale con presidi, colleghi e genitori, i docenti italiani maggiormente esposti a rischio burnout sono quelli con classi molto numerose, con più di 25 alunni (cosiddette classi pollaio) che aumentano in misura esponenziale il loro stress e rischiano di ridurre conoscenze-competenze. 
Franco Matticchio
Proviamo a scorrere una “giornata tipo” di un prof. tra lezioni da preparare ed effettuare, riunioni di dipartimento-consigli di classe con e senza i rappresentanti dei genitori ed alunni, collegio docenti, registri elettronici da riempire, valutazioni Invalsi con l’annesso tempo prezioso per allenare gli studenti alle risposte standard dei quiz, infinite  procedure burocratiche (Bes, Dsa, moduli per l’autovalutazione della scuola, relazioni a non finire…) e poi le ore cedute per l’alternanza scuola-lavoro (viste, in mancanza di una progettualità creativa da parte propria e da parte del legislatore, come pura e semplice sottrazione a scapito delle conoscenze e competenze disciplinari) e i modelli da compilare, assemblee mensili di istituto e di classe, simulazioni tre volte all'anno di evacuazione-fuga per terremoto o incendio e cento altre cose...
Allora ecco l’appello “contro il declino dell’ italiano a scuola” del Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità, sottoscritto da 600 docenti universitari. “Gli studenti italiani arrivano all’università senza sapere leggere e scrivere. Non sono capaci di fare discorsi secondo una logica compiuta, sono un branco di analfabeti”.
Lasciando ad altri la facile tentazione di rispondere per le rime (quis custodiet custodes?) e restituire al mittente quanto dovuto, diamo una occhiata alla ”buona scuola”... (continua nel prossimo post).

Franco Matticchio
“Don Lorenzo Milani. Come tutti i profeti, lo disse il Signore, egli è morto lapidato moralmente (se fosse nato quattro secoli prima, forse anche fisicamente); egli è entrato immediatamente nella coscienza (e nella storia) con la stessa violenza con cui ne è stato rifiutato. Nel faticoso travaglio del rinnovamento della società e della Chiesa italiana è stato l’escluso, vilipeso, portato dinanzi ai tribunali ecclesiastici e civili; ma egli rientra con la forza del profeta. I profeti, si sa, hanno un compito non tanto di indottrinarci, quanto di mettere la nostra coscienza a un bivio, al bivio del sì e del no, dal quale bivio dipendono non solo l’orientamento culturale e la civiltà dei popoli ma, se siamo credenti, dipende la stessa nostra salvezza eterna” (Ernesto Balducci, Io e don MiIani, ed. S. Paolo 2017, pp. 60-61).


  Per le note al post cliccare qui.

Questo articolo è un estratto della relazione tenuta a Sassello, presso il Campo Scuola Agesci 2017, sotto la guida degli amici Donatella Mela e Fabrizio Coccetti.

9 commenti:

  1. Gian Maria , trascinato dalla sua rievocazione di don Milani, ci offre un saggio della sua competenza professionale ( ex preside) ma soprattutto la prova concreta della sua passione per la scuola "centro dell'educazione dell'uomo".
    Tutto si concentra sulla parola paideia. Se si parte da lì ( e la scuola italiana ultimamente se ne dimentica ) discende il percorso maieutico, il dialogo, l'attenzione individuale a ciascun discente, le corrette riforme, mai dettate da contingenze è sempre ispirate ai principi umani.
    Grazie, Gian Maria ! Una testimonianza per i docenti !

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    1. Ognuno ha le sue deformazioni professionali ed anche per questo, caro Rosario, ci somigliamo. Discorrere della scuola vuole dire semplicemtne discorrere del presente e del futuro dei nostri figli e nipoti, delle speranze ed attese,  sconforti e promesse, del vissuto dei nostri docenti ed alunni.  Non vuol dire solo esprimere sensazioni  soggettive,   ma stabilire precisi rapporti e riferimenti con le dinamiche sociali, con il territorio in cui siamo inseriti, con le attese dei cittadini, con la politica scolastica locale e nazionale,  con il modo di intendere la  cultura, con la necessità soprattutto in questo momento di rilanciare insieme,  giovani ed adulti, i valori della cittadinanza, solidarietà, pace, giustizia, accoglienza reciproca – parole troppo spesso abusate -  perché la scuola va dove la vogliamo far andare e dove va la società. E così partire, come suggerisci, entrando nel cuore della paideia, fatta di utopia e di speranza.

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  2. Io non sono un insegnante. Mi sarebbe piaciuto molto esserlo, ma la mia conoscenza del mondo della scuola è limitata all'esperienza diretta sui banchi e nella assistenza nei loro percorsi scolastici alle mie due figlie oggi laureate e precarie in ambiti lavorativi non congrui.
    Ho letto con molta attenzione il post precedente e ho atteso questo. Come dice Rosario traspaiono competenza e passione, solidità di pensiero e attenzione al sociale, ma questo era già fuori discussione. A me sembra, però, di non essere rappresentato a sufficienza pur non mancando i momenti critici alla tendenza a lasciar cadere i residui e agli atteggiamenti non ottimali dei docenti. Quello che ho trovato abbastanza avvilente, nel percorso scolastico delle figlie (una liceo classico l'altra scientifico), tralascio di ripensare a me per mia evidente colpa, è la incapacità della scuola di suscitare interesse vero partecipazione sincera proprio al processo formativo. Servono nuovi programmi e soprattutto docenti univeritari in grado di far sbocciare ottimi insegnanti, come voi. Ancora grazie.

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    1. Caro Gianni, il tuo commento merita una risposta meditata e perciò non breve... Dico subito che, come genitore, ho vissuto anch'io uno smarrimento analogo al tuo: quante magagne nella scuola, quanti problemi irrisolti, quanta incapacità di emozionare, trascinare perchè privi di autentico I Care. Come preside ho avuto a che fare con tantissimi e validissimi docenti, ma anche – e non pochi - docenti cui si potrebbe applicare il famoso frammento di Eraclito:“presenti essi sono assenti”. Eppure oggi come ieri le ore intense di lezione dei docenti possono decidere, come è successo a me liceale, del futuro e della vita di un ragazzo o di una ragazza. Il rischio dello smarrimento appartiene alla nostra scuola, nomade, in cammino, sempre alla ricerca di un’offerta formativa rispondente ai bisogni dell'oggi, una scuola che non sia solo specchio passivo della società, ma anche luogo di anticipazione del dover essere, luogo e tempo dell’annuncio e della denuncia. E' che oggi la scuola non è più l’unica agenzia formativa e neppure la più importante e decisiva di fronte allo strapotere dei media e delle cosiddette agenzie parallele, troppo spesso veri e propri pesuasori occulti di tutti noi e soprattutto dei nostri figli e nipoti, i quali passano mediamente 4-5 h al giorno a scuola per 8/9 mesi, ma molte di più, circa 6 e per 12 mesi, davanti a  tv, internet, videogiochi. Non mi meraviglia che la scuola sia lo spazio dell'ìmperfezione: imperfetta perché viva. Proprio per questo, con tutte le sue fragilità istituzionali e personali, può divenire sia tempo e luogo di relazione, comunicazione, inclusione, integrazione, e-ducazione, crescita totale, dove i docenti si caricano del destino di gioia e di sofferenza dei loro alunni (entro una comunità di persone, di volti, senza rifiutarsi a nessuno, anche se avverso) sia tempo e luogo di alienazione intesa proprio nel senso hegeliano di estraniazione (perdita della propria identità, propria essenza, propria autostima, dove è difficile guardarsi negli occhi). Sta indubbiamente ad ogni docente - e non c'è decreto ministeriale che tenga – fiutare i segni dei tempi e dare senso alla sua professione in questa nostra Italia ed Europa frantumata: uomini e donne che nella scuola si ritrovano per aiutare i giovani a dare risposta positiva ai loro bisogni di conoscenza, di correlazione, creatività, radicamento ed orientamento, identità, in una relazione di aiuto in cui l’altro è centrale e percepisce la comprensione empatica del docente che non recita ma vive il suo ruolo con imprescindibile congruenza. E poi ogni studente, dopo, faccia pure le scelte che vuole. Ogni docente (e anche ogni preside che si rispetti) diventa una promessa: da “pro-mittere”, mandare innanzi, far crescere, garantire, annunziare, presagire, sottoporre allo sguardo, trasmettere libertà... E' qualcosa che ormai solo la scuola può fare. In questo contesto l’insegnamento, qualunque cosa si faccia, è sempre proposta di conferimento di senso e grande è la responsabilità di ogni docente. Hai perciò ragione: questa prospettiva richiede docenti di alto livello, reclutamento severo, valutazione severa, stipendio serio. Tralascio il mio giudizio caustico sull'università. Piuttosto penso alla responsabilità politica  dei nostri governanti: stiamo parlando del  futuro dell’Italia. Il riconoscimento a parole del  primato dell'educazione (anche di quella degli adulti!) non può limitarsi ad un puro esercizio retorico, ma dovrebbe implicare una strategia operativa di flussi di risorse verso il sistema formativo, investimenti per l'innovazione, impegni di tutte le forze politiche ad una coerente attenzione alla scuola. Ma qui la speranza rischia di trasformarsi in un'impossibile utopia....Grazie per il tuo bel commento. Buona giornata.

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    2. Grazie per l'accoglienza. Buona giornata anche a te, Gian Maria.
      Che belle le illustrazioni di Matticchio!

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  3. Francesco Maria Ballero12 giugno 2017 alle ore 20:17

    Evidenzio: "Fin quando la chiesa, una “certa chiesa”, non trova il coraggio di dire che anche don Lorenzo Milani è un santo, questa chiesa non impara! Vuol dire che non cambia, non si converte neppure di fronte alla”lezione” di Dio; vuol dire che non ha compreso i “segni dei tempi”; anzi non ha “temuto Dio che le attraversava la strada".

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  4. Pronuncia la parola scuola e Gian Maria vien dietro con un profluvio di parole sagge, meditate e prospicienti...La risposta a Gianni è da se' un nuovo post!
    Nella relazione maieutica è un reciproco insegnare-apprendere. La scuola, casa del Sapere, accende gli animi ( non nel senso negativo), in quello positivo di passione per la Libertà, per la Vita, per il Bene.
    E qui mi fermo!🔥

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  5. Citerò il suo post, con tanto di link, nella mia relazione finale al Collegio Docenti come referente per la Dispersione scolastica nella scuola dove opero. Ancora grazie.

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