Filosofia e poesia: tra dicibile e indicibile.
Post di Rosario Grillo
Immagini delle illustrazioni di Anna Paolini (qui il sito).
Ma anche: il gesto può supplire l’impossibilità della parola.
Quando il linguaggio giunge al luogo della incomunicabilità, sfera dell’ineffabile, cifra della testimonianza, il gesto viene incontro ed è come stare sulla soglia.
Giorgio Agamben parla così della testimonianza, fuori della parola o senza parola. Indica il testimone come colui che frequenta il nulla, soglia tra l’essere e l’inesprimibile. “E tuttavia il testimone non dispone per la verità di un altro luogo, di un’altra possibile via d’accesso che non sia il linguaggio. Egli crede nelle parole, malgrado la loro fragilità, resta fino all’ultimo filologo, amante della parola. Ma della parola non come asserzione: come gesto” (1).
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La stessa vibrazione dentro la filologia, da cui non una tonalità di ottimismo facile bensì un senso tragico, è stata di recente indagata ed illustrata da Massimo Cacciari nell’opera La mente inquieta.
Ivi, difendendo lo spessore filosofico dell’Umanesimo, il filosofo veneziano sfoglia le sfaccettature problematiche: non esclusivamente per linea positiva, molto spesso per via negativa. (2) (3)
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Anna Paolini, Chiudi i tuoi occhi, illustrazione per logosedizioni |
Il logos deficia?
A meno che non si esplori la “multitudo in uno” del Logos - sfioriamo pure la Trinità - per riuscire a dare voce all’ineffabile.
La poesia potrebbe essere in grado di dare, portare in dote, tale voce: il divino.
“Il poeta è, in questo senso, per eccellenza, un testimone. La lingua della poesia è, infatti, la lingua che resta quando tutte le funzioni comunicative e informative sono state disattivate, quando egli non può rivolgersi a nessun altro - nemmeno a se stesso - ma unicamente alla lingua. Il poeta si trova allora meravigliosamente e irreparabilmente solo con la sua parola, può testimoniare”. (4)
Un poeta, rasentando la follia, è andato dietro a questa “missione”; a lui Agamben dedica una delle sue ultime opere: Hölderlin. “Questo è il senso dell’ostinata critica alla riflessione di Hölderlin, l’esperienza che lo separa dai suoi compagni, Schelling e Hegel”. (5). Con loro due, il poeta aveva compiuto gli studi in teologia nell’Università di Tubinga. (6)
Hölderlin ha l’andatura dell’ “invasato da Dio”; è alla continua ricerca di Dio. Si è visto nei panni di Empedocle, che, per per la sete di Dio (Assoluto/Sfero) si gettò dentro l’Etna.
In lui il Divino urge, invocato da una condizione di pathos dell’assenza.
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Anna Paolini, Speranza |
Perciò fu virtuoso il disegno pitagorico, concepito nella filosofia del numero e nella celebrazione delle armonie musicali. Sventurata la critica platonica alle arti, “imitazioni delle imitazioni”, trapassata in Aristotele, ancor più determinato nella preferenza al logos.
Ma Platone non poteva non essere poeta (e lo era nel momento in cui ricorreva al mito); così per la Zambrano “se egli (Platone) abbandonò la poesia, la poesia non lo abbandonò mai”.
La voce del poeta esprime “solitudine sonora” in conformità alla “musica silenziosa” di cui parla San Giovanni della Croce.
Con Giovanni della Croce ci inoltriamo nei sentieri della mistica. Quest’ultima ha nel suo scrigno il Nulla: lievito dello scompiglio, agitazione che passa per la “ notte oscura “dei sensi, e giungere alla “lievitazione” (7): maturazione spirituale, momento di incontro spirituale con Dio, con il Bene, con il Vero, con il Bello.
Note
Anna Paolini, Il tempo, illustrazione per logosedizioni |
(2) È un insieme di rimandi nel piccolo ma denso libro di Cacciari, da Cusano a Leonardo, da Petrarca a Pico, da Alberti a Valla, dall’antico al “rinascente”. Con preziose cesellature sulla matematica geometrica di Leonardo.
(3) “Inquieta la natura, energia in ogni suo atomo, e tuttavia sempre in moto, in perenne trasformazione (...) inquieto l’occhio che vuole penetrarla. Se non lo fosse, nulla avrebbe in comune con il suo oggetto e nessuna relazione potrebbe prodursi. Le forme con cui l’occhio di Leonardo comprende la natura sono quelle con cui Dio stesso crea ‘numero, pondere et mensura”...; la Sua scienza non può essere letta da chi non sia 'matematico'; e tuttavia quella “divina proporzione” che egli apprende dal grande Luca Pacioli, del quale illustrerà mirabilmente l’opera, affonda le sue radici nel De pictura, è parente strettissima del De re aedificatoria, riprende quel pro veritate laborare, che è il motto della Dialettica di Valla, contemporanea delle prime, e forse più drammatiche, opere albertiane”, La mente inquieta, p.72.
(4) Quando la casa brucia, cit., p.76.
(5) Ibidem
(6) Si potrebbero esplorare, tuttavia, vene interne al panlogismo hegeliano, che slittano verso il non razionale. In Schelling è già molto più individuabile un plafond “sensibile” nella filosofia della natura e ritorna prepotentemente nel secondo Schelling, nella “ filosofia della mitologia”.
(7) Prendiamo pure atto del turbamento fisico-psichico insito nello stato di lievitazione.
Caro Rosario, ogni volta ci sorprendi e ci doni riflessioni che non solo gustiamo intellettualmente nell’apertura di prospettive nuove e suggestivi percorsi, ma siamo poi chiamati a sentire e vivere operativamente. Il poeta: testimone per eccellenza sulla soglia dell’inesprimibile e amante della parola come gesto e non come asserzione! nella sua “solitudine sonora”… Ognuno di noi nasconde in sé il poeta che può lievitarlo sino alla mistica… Qui la riflessione diventa riflesso di ciò che ognuno di noi è: delle proprie inquietudini ma anche delle proprie speranze, tese con gioiosa fatica e amoroso stupore alla “maturazione spirituale, momento di incontro spirituale con Dio, con il Bene, con il Vero, con il Bello”. Grazie.
RispondiEliminaGrazie del tuo generoso commento ed un grazie a Rossana per il suo encomiabile lavoro coreografico. Il tema è sempre sulla linea della spiritualità, dove spesso ci intratteniamo: cuore dell’esistenza. La poesia ha l’organo appropriato ( almeno, meno spurio) per sintonizzarsi.
RispondiEliminaTra parentesi: una certa trascuratezza verso il dire poetico ,oggi dilagante nella società, non lascia ben sperare.
Ogni persona è una poesia, le parole e i gesti possono essere poesia se nascono da un animo poetico, cioè profondamente autentico. Negli altri si può scorgere solo ciò che è dentro di noi.
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