Carlo Brenna, In cerca di luce |
Daimon, angelo, eredità, destino, chiamata… sono alcuni dei termini utilizzati da James Hillman (1926-2011) in Il codice dell’anima per indicare la spinta di fondo della vita di ciascuno, il desiderio che fa vivere. Quelle parole, a ben vedere, rimandano ad una attrazione non voluta, ma trovata, indicano un comando che supera chi lo riceve: essere chiamati a pensare, a suonare, a dipingere, a costruire, a danzare.., essere destinati, aver ereditato un compito. Vi è per tutti una vocazione profonda che caratterizza l’unicità di ciascuno: essa non si sceglie, ad essa si aderisce, si risponde.
Nelle persone eccezionali appare con chiarezza la vocazione, la lealtà nel raccoglierne gli indizi, la convinzione di fondo nel lasciarsi guidare e proprio questo fa sì che tali personalità presentino un fascino particolare. Nei grandi musicisti, per esempio, il richiamo risulta particolarmente esplicito, fin dall’infanzia: da Mozart a Mendelssohn, da Mahler a Verdi⁴. Lo stesso vale per i grandi pensatori, scienziati, artisti.
Carlo Brenna, Labirinti dell'anima |
La vocazione non coincide però con i destini di uomini famosi, né si può parlare viceversa di una vocazione alla mediocrità, che implicherebbe una uniformità senza distinzione.
Nelle persone apparentemente comuni, che svolgono normali attività - senza celebrità o talento particolari - il daimon si realizza nel carattere, nel modo in cui si esegue la propria attività, per quanto umile e nascosta essa sia: tutti conosciamo quel particolare postino, quel bravo macellaio, quel barista sotto casa: “il carattere non è quello che faccio, ma il modo in cui lo faccio”.⁶
Carlo Brenna, Oltre il conosciuto |
In particolare, il racconto di Er, nella Repubblica di Platone, costituisce un assiduo rimando, poiché descrive una situazione che precede l’esistenza e ne spiega miticamente il significato: ciascuna anima dopo aver scelto la propria essenza, il proprio destino, avrà come compagno il genio (daimon) che la guiderà nella realizzazione del suo specifico compito.⁷
In consonanza con questo mito, James Hillman sviluppa la famosa immagine della ghianda in cui è già inscritta la possibilità della quercia, l’attualizzazione della ghianda, quello che essa deve diventare.
“…la vocazione, il destino, il carattere, l’immagine innata: le cose che insieme sostanziano la “teoria della ghianda”, l’idea, cioè, che ciascuna persona sia portatrice di una unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta”⁸.
In quest’ottica Hillman legge i malesseri, i disturbi, i sintomi di bambini,⁹ adolescenti, adulti: non si tratta di malattie da rimuovere, ma di segni che rimandano ad ostacoli nella realizzazione della propria vocazione.
Carlo Brenna, Fratture |
- In senso negativo, come luogo in cui si sperimenta la contrapposizione tra intuizione del proprio intimo sentire ed istruzione, come attestano le esperienze sofferte di geniali personalità: da Thomas Mann che definisce la scuola “stagnante e deludente” a Tagore che interrompe gli studi a 13 anni, fino a Gandhi che ricorda gli anni di scuola “come i più infelici della sua vita” e molti altri ancora…¹⁰
- O, al contrario, in senso positivo, la scuola come luogo privilegiato in cui l’individuo matura la propria vocazione e in cui l’insegnante ha il ruolo di mentore, capace di intravedere l’invisibile nelle pieghe del visibile ovvero quel qualcosa di essenziale che caratterizza l’allievo, la sua unicità, in nessun modo racchiudibile in una generica tipicità.¹¹
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La Vocazione è presupposto dell' Ispirazione ?
RispondiEliminaPer Hillman vocazione e ispirazione sono colte entrambe intuitivamente, quindi si danno alla coscienza in un attimo privilegiato di interiore "rivelazione", improvvisa illuminazione.
RispondiEliminaIl concetto di vocazione è, per certi versi, più ampio - perché riguarda ogni individuo - rispetto a quello di ispirazione, che appartiene a vocazioni straordinarie (ispirazione poetica, artistica, inventiva matematica... sono gli esempi di Hillman). In questo senso eccezionale, perché ci sia ispirazione è necessario presupporre una specifica vocazione.
Per altri versi però, Hillman sembra fare riferimento ad una perdita d'anima - nella società moderna e borghese - una perdita di ispirazione che deriva dalla incapacità di seguire la propria vocazione uscendo da schemi prefissati. In questa seconda accezione vocazione ed ispirazione coincidono e l'elusione della propria vocazione si identifica con l'assenza di ispirazione. Dice per esempio: “Non dimentichiamo che le società sono elevate e arricchite da coloro che sono ispirati: l’infermiera del pronto soccorso, la maestra dell’anno, la guardia che fa canestro con uno stupendo tiro da tre punti” (p. 332, Il codice dell’anima).
Un post interessante e stimolante, che , tenendo a riferimento J. Hillman, un tardo platonico che ha importato concetti come “ anima mundi “ e “ genius loci “ nella psicologia, illustra la Vocazione.
RispondiEliminaOltre all’urgenza di seminare “ inquietudine e ricerca” nel piatto universo sociale odierno, lo scopo di Rossana, a mio avviso, è: di prendere la “ misura” al rapporto pedagogico, quello vero, per introdurlo in una scuola “ rinnovantesi”. Il “ cruccio” morale del vero maestro è proprio la corrispondenza con la vocazione di ciascun alunno. Grazie, un abbraccio 🤗
Sì, il tema della scuola, oltre ad essere tematizzato nel libro in un capitolo specifico e in altri punti, è sempre nel cuore.
RispondiEliminaRicordo il "mio" professore di teoretica, nelle sue stupende lezioni universitarie, quando affermava che un docente deve vedere nell'alunno quello che non è ancora, l'invisibile nel visibile, appunto.
Grazie Rosario! Un abbraccio a te.
Hillman traduce col termine divulgativo ghianda il concetto junghiano del Sè, cioè la nostra essenza individuale, la nostra totalità. Per Jung se l'Io (ciò che conosciamo di noi) si mette in relazione con il Sè, si genera un dinamismo psichico che porta all'individuazione, cioè a divenire consapevoli di chi siamo veramente, ed è un processo di autoconoscenza che dura tutta la vita. Nella rinuncia all'Io come centro ultimo e conosciuto di noi, c'è il superamento dell'egocentrismo, del narcisismo e dell'individualismo, c'è la tensione continua verso l'ignoto, ciò che non conosciamo di noi, alla ricerca di un'integrazione tra conscio e inconscio, un processo psicologico ma anche spirituale, tanto che Jung afferma che "l'anima (la nostra psiche autentica) è naturaliter religiosa".
RispondiEliminaGrazie per questo riferimento a Jung che arricchisce la comprensione della teoria della "ghianda" e ne illumina l'origine. Buona domenica e buon inizio di primavera!
Eliminagrazie dell'articolo, bellissimo. per me sulla scuola vale come per Ghandi "i più infelici"...ascolterò volentieri il video di Hilllman. grazie buona domenica
RispondiEliminaSì, purtroppo, la scuola può diventare - per motivi soggettivi e oggettivi - luogo di sofferenza, anziché di liberazione. Buona domenica e buona primavera!
RispondiEliminaInteressante articolo cui non mi sento di aggiungere niente se non il mio GRAZIE a Rossana, anche per le considerazioni vere sulla scuola e il suo ruolo talora liberante, ma talora soffocante in relazione all'unicità del singolo.
RispondiEliminaBuona primavera a te!!!!
Grazie a te, Annamaria, sei sempre cara. Buona primavera e buona giornata della poesia!
RispondiEliminaCara Rossana, grazie per questa riproposizione del pensiero di Hillman con la suggestione del suo daimon, che ti 'afferra', ti scuote, ti si squaderna a volte attraverso la difficoltà, l'oscurità oppure con il suo evidente splendore. Dacia Maraini ha detto che per lei scrivere era come andare a un incontro con l'innamorato. Credo che 'servire' la propria vocazione sia trovare l'isola perduta, il tesoro nascosto... Grazie. Un abbraccio.
RispondiEliminaCiao cara Maria. Come dice Dacia Maraini, che tu ricordi, quando si sente questo fuoco che infiamma il desiderio per qualcosa - la scrittura è la stessa vocazione di cui parla Hillman, anche se in una forma tormentata - si comprende e si testimonia che la vita può avere senso e bellezza. Un abbraccio.
EliminaGrazie Rossana. Ho letto e riletto questo post e devo dire che mi ha illuminato. Lo condivido con una mia quinta del liceo artistico...credo che ai ragazzi che si stanno avviando verso l’esame di maturità, possa essere una riflessione interessante.
RispondiEliminaSento interessanti anche per me queste parole: vi ho ritrovato la mia passione per la scuola, la mia scelta controcorrente di 40 anni fa, in cui decisi di insegnare religione per stare con i ragazzi e non chiudermi in un ufficio a fare conti...
Grazie per la preziosa riflessione. A presto
Grazie a te, cara Patrizia, per questo pensiero che mi onora. Con te condivido la passione per la scuola e la trepidazione per i ragazzi a cui spesso è difficile comunicare il vero significato della cultura, come via per conoscere se stessi e trovare il proprio "posto" nel mondo. In molti casi gli alunni percepiscono la scuola - l'apprendimento, l'istruzione - in contrasto con la ricerca di sé (la propria vocazione)... e questo genera grandi problemi di disaffezione, abbandono, svogliatezza.
RispondiEliminaTi abbraccio.