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sabato 12 giugno 2021

Morte. Alcuni enigmi.

Riflessione sul limite dell’esistenza con Umberto Curi, Rilke, Heidegger, Kafka.

Post di Rosario Grillo.

Hugo Simberg, L'angelo ferito, 1903
Morte, non essere troppo orgogliosa,
se anche qualcuno ti chiama terribile e possente
Tu non lo sei affatto: perché quelli che pensi di travolgere
in realtà non muoiono, povera morte, né puoi uccidere me.
(John Donne)
 
Eccola la terribile nemica! Ecco la facies scheletrica della danza macabra!
Gli uomini hanno paura della morte… E chi, di noi, non ha incrociato il momento del dolore per la dipartita dei propri cari, più o meno intimi?!
Una costante delle esclamazioni poetiche, delle ricerche euristiche, delle visioni filosofiche, degli appunti di antropologi, delle analisi di sociologi.
U. Curi, tra questi, mette a soqquadro la soffitta degli arnesi della mitologia e sciorina un’agile conoscenza dei testi della filosofia presocratica e socratico-platonica per venire a capo del “rovello”. Appura così, in forma discorsiva, la variabilità della performance del mitico Prometeo.
Gli riconosce l’abito prometeico, potenza sovrumana, del trafugatore del fuoco: doros (beneficio) / espediente, con cui vince l’eternità…per sfidare gli dei.
Hugo Simberg, Il giardino della morte, 1906
Nel consesso dell’Olimpo, Prometeo, discendente dai Titani che hanno sfidato Zeus, risulta anche “traditore
; con l’inganno ha messo in difficoltà il re degli dei. La punizione, da contrappasso, non poteva che essere il supplizio dell’aquila che ripetutamente lo torturava (modalità della riformazione dell’organo, il fegato, che quotidianamente veniva ingoiato dal rapace).
Nello stesso tempo, però, il fuoco è dolos (inganno) che, oltre a connotare la sua potenza distruttiva, nasconde l’insuperabilità del limite mortale.
Vengono qui più volte richiamate: la tragedia di Alcesti e il mito di Orfeo ed Euridice; nelle quali, pur con diversità, viene confermato il destino mortale dell’essere umano.
Quindi il volto titanico di Prometeo (1) non sopprime quello opposto, della fragilità umana, documentata dal ricorrere inesorabile della morte.
Nella dovizie dei rimandi culturali, messa in opera da Curi, spicca la via d’uscita: la consolante e fruttuosa consapevolezza / responsabilità che la morte è dentro la vita, che, dunque, la coscienza del limite salva. (2)
Hugo Simberg, Contadino e morte, porte paradiso e inferno, 1897

Su questa lunghezza d’onda scorrono pagine godibili che esplorano il lato “oscuro
della poesia di Rilke. Rilke, infatti, è l’autore dei sonetti ad Orfeo; rivisita nella sua poesia anche la figura di Alcesti.
Nei primi, canta “l’ombra che accompagna la metamorfosi della natura, che, vista in filigrana, addolcisce. (“Siamo migranti creature./ Pure, il tempo che frulla/ credete cosa da nulla/ tra le durature XII).
Nella seconda, mette a fuoco “la pienezza della morte che impregna tutta Alcesti, a fronte della “vuota speranza, troppo concentrata su se stesso, di Admeto. “Nell’offrirsi per il riscatto, Alcesti sa ciò che gli altri ignorano, e che sfugge allo stesso Admeto. Sa qualcosa per la quale solo il dio può comprenderla. Sa che non solo in quel frangente supremo, ma sempre in ogni momento, in ogni fase e situazione, la vita è strettamente intrecciata con la morte, il talamo d’amore appartiene anche al regno dei morti… Sa che ciascuno di noi vive sempre e comunque in prossimità del limite, e che brevissimo è il passo che può indurci a superarlo. Alcesti sa soprattutto che guardare in faccia la morte, non allontanare lo sguardo, accettare letteralmente di con-vivere con essa, è l’unico modo per diventare davvero erwachsen, per diventare adulti (3).
Per questa tempra la poesia rilkiana trova assonante Heidegger, la cui filosofia teorizza l’Esserci e, nelle sue corde, l’essere per la morte. (4)
 
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Hugo Simberg, Danza sul ponte, 1899
Nella seconda parte del libro Curi passa in rassegna più autori che scavano nei tormenti dell’esistenza, testando il confronto dell’uomo con la morte.
Tra essi, Kafka, enigmatico affabulatore della condizione umana.
Nelle stanze del “castello(mistero) kafkiano necessita il filo logico, una sorta di “filo di Arianna” idoneo a leggere la pianta del labirinto. Occorre munirsi della chiave per accedere nel metaforismo ebraico: puntuale convalida del marchio ebraico che Kafka custodisce.
Da Odradek, non uomo e nemmeno inerte cosa, al cacciatore Gracco, morto che rinnova sempre il viaggio per la sepoltura, ad altri che evito di citare, è vasto il campionario dei casi, dove la morte è comprimaria.
Vi si dispiega il paradigma dell’esserci, includente il destino della morte. “L’Essere per la morte [Sein-zum-Tode] deve essere concepito come determinazione dell’esserci [Dasein] e solo come tale (5). “È anzi essa [la morte ] a determinare il poter essere finito dell’esserci, che dunque assume il carattere specifico di un essere per la morte (6). Heidegger metteva decisamente qui l’accento. “Un fenomeno della vita “deve essere inteso come un modo di essere cui appartiene l’essere-nel-mondo(7). 
Hugo Simberg, Sera primaverile, il ghiaccio si scioglie, 1897
Kafka, meticoloso analista della psiche umana redige, a conferma, secche considerazioni all’interno di un saggio-racconto. Una di esse recita: “se tu camminassi su una pianura, avessi tutta la buona volontà di avanzare e ciononostante andassi indietro, allora il tuo caso sarebbe disperato; ma poiché ti arrampichi su per un pendio scosceso, ripido non meno di come appari tu stesso a chi ti guarda di sotto, i tuoi regressi si possono anche attribuire alla conformazione del terreno, e perciò non devi disperare
. (8)

Note.

(1) Rimando alla suggestione creata dallo studio di Landes, Prometeo incatenato, per rappresentare la vanità dell’uomo esploratore e faber instancabile della civiltà industriale.
(2) L’umanesimo vive sulla coscienza di questo limite. Con esso riusciamo a resistere ai sogni di onnipotenza tecnologica e di frenesia consumistica.
(3) U. Curi, Via di qua, in ebook p. 143.
(4) C’è soddisfacente contemporaneità tra i due
(5) Ripreso da Curi, Heidegger Contributi della filosofia (1936-38), Adelphi.
(6) Via di qua, p. 150.
(7) Citato sopra.
(8) Considerazioni sul peccato,il dolore,la speranza e la vera via, 14.
 
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2 commenti:

  1. Parlare della morte - non in termini impersonali o peggio spettacolari, ma della mia tua nostra morte - è sfidare e fare a pezzi un tabù sociale. Oggi, e non da ieri, tutto concorre al trionfo della rimozione della morte, vera e propria congiura del silenzio: si abolisce la parola morte = “dipartita - è mancato/a - se ne è andato/- ci ha lascito/a” - è scomparso/a… ; la si relega negli ospedali; i media (social internet tv films giornali videogiochi giocattoli dei bambini…) la nascondono proprio facendone uno spettacolo, qualcosa di lontano che non ci riguarda o addirittura irreale come nella sterminata valanga di morti in tanti film o video giochi, oppure arido anonimo dato statistico (i morti di covid o nel mediterraneo…) che distrae e inibisce domande e risposte profonde. Così si sorvola sulla propria morte; quella degli altri al più rimane un evento casuale (un incidente, una malattia che non perdona, un virus incontenibile, la vecchiaia...), spogliando la morte di ogni carattere. Solo nella morte della persona cara si scopre la tragicità del silenzio e l’impostura della rimozione. Caro Rosario, grazie. Credo che si dovrebbe continuare sulla strada che vai percorrendo: parlare e parlarsi in verità, scavare su questo problema senza sotterfugi, perché "non è il mistero della morte che siamo chiamati a sciogliere: piuttosto è quello della vita" (C.G. Jung). E forse prendere atto che in verità per continuare a vivere abbiamo bisogno di amare ed essere amati, di chiedere e dare perdono, di dire e sentirci dire grazie. E perciò ancora grazie.

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  2. Nel caos della mia mente, nella sterilità della mia disattenzione, ho dimenticato di rispondere al tuo bel commento. Lo faccio adesso che mi accorgo dello strafalcione, rileggendo il post a seguito di nuovo like..
    Spero che nella lettura non tu, ma altri, siano andati oltre il luogo comune del problema che ossessiona le persone in stato avanzato di anni. La morte - questo ho cercato di dire - è una sorta di “ regolatore “ che deve accompagnare i momenti del nostro esistere ( Heidegger colpisce nel segno!) perché brucia qualsiasi ardire di antropocentrismo, di antropomorfizzazione. Grazie 🎆🫂

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