Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Seguici tramite mail

Iscriviti alla nostra newsletter!

mercoledì 26 gennaio 2022

Babele e Auschwitz.

Auschwitz, la Babele del ventesimo secolo, nel racconto di Primo Levi, ripreso da Donatella Di Cesare.

 Post di Rossana Rolando.

Gustave Doré, Confusione delle lingue, 1865
“Comunicare” è il titolo del quarto capitolo de I sommersi e i salvati di Primo Levi.¹ Il tema vero, in esso trattato, è però l’opposto: l’impossibilità della comunicazione. Già dalla prime righe si capisce inoltre che non si intende parlare dell’incomunicabilità come dimensione interna alla stessa comunicazione, strutturale rispetto all’umano essere-con-altri.
² Levi non si propone neppure di affrontare il tema da un punto di vista psicologico o sociologico, laddove la privazione del comunicare non è imposta, ma è – in qualche modo – voluta e scelta.
Egli cala immediatamente il lettore nella condizione estrema del lager, in cui il bisogno di comunicazione – nel senso elementare del comprendere ciò che viene comandato e urlato, pena la vita stessa – urta contro una barriera linguistica totale.
Fin dai primi contatti con i nazisti, i deportati comprendono che sapere o meno il tedesco segna uno spartiacque tra i prigionieri: coloro che non conoscono il tedesco, muoiono “nei primi dieci-quindici giorni dal loro arrivo: a prima vista, per fame, freddo, fatica, malattia; ad un esame più attento, per insufficienza di informazione”.³ Il piccolo “patrimonio lessicale” (Wortschatz) di parole tedesche diventa per Primo Levi un “tesoro di parole” (secondo una traduzione ulteriore dello stesso termine Wortschatz) perché ad esso si lega la possibilità della sopravvivenza: capire ordini o divieti, indicazioni e prescrizioni, disposizioni e turnazioni (al fine di mangiare, ad esempio), risulta fondamentale per durare più a lungo nel lager.
Gustave Doré, Divina Commedia, Inferno, Caronte, 1857
C’è poi un altro elemento che si aggiunge a questa importanza basilare della lingua – comprendere per vivere - ed è il parlare, o meglio “l’essere parlati”, come unica possibilità di rimanere umani. Per le SS il tedesco non è solo una delle espressioni linguistiche, ma è l’unica lingua, simbolo della sola vera cultura. I tedeschi non distinguono tra chi non capisce la loro lingua e chi non capisce tout court: “Ai giovani nazisti era stato martellato in testa che esisteva al mondo una sola civiltà, quella tedesca; tutte le altre, presenti o passate, erano accettabili solo in quanto contenessero in sé qualche elemento germanico”
. Perdere il contatto con la lingua parlata nel lager rientra quindi nel sistema di spoliazione dell’universo concentrazionario. Non avere i mezzi per essere interpellati e per poter rivolgere ad altri la parola, significa diventare preda di suoni inarticolati e disumanizzanti. Depredati della lingua si è anche privati del pensiero, perché la parola è il contrassegno del pensare. 
 
💥 Proprio su questa unicità della lingua si sofferma, a più riprese, Donatella Di Cesare, nel suo Utopia del comprendere. Da Babele ad Auschwitz, recentemente riedito da Boringhieri. L’originale interpretazione del racconto biblico di Babele permette di stabilire un legame forte tra la pretesa di scalare il cielo, ad opera degli abitanti della terra (Gn. 11, 1-9), e la folle macchina nazista del potere, fino alla pianificazione dello stermino.
Gustave Doré, Divina Commedia, La porta dell'inferno, 1857
Il significato tradizionale del mito biblico viene capovolto: la moltiplicazione e la confusione delle lingue, introdotta da Dio, non rappresenta una punizione inflitta all’umanità, condannata così alla reciproca incomprensione. Piuttosto l’intervento divino salva il mondo dalla pretesa totalitaria e arrogante di “un unico labbro, un’unica lingua, un’unica volontà”
, consegnando gli uomini alla diversità di ciascuno e alla pluralità dei linguaggi e delle culture: “La Torre non rappresenta solo la molteplicità irriducibile delle lingue, ma mostra anche l’impossibilità di completare e di totalizzare. Quel monumento della superbia umana – costato violenza e sangue – indirizzato contro Dio, perché indirizzato contro gli altri esseri umani, deve almeno restare incompiuto. E’ questa la punizione: Dio condanna all’incomprensione, cioè all’incompiutezza”
Assurge così al rango della riflessione filosofica il tema della traduzione e dell’interpretazione, tanto rilevante nella filosofia contemporanea: “Tutti devono tradurre e ognuno lo fa” (Franz Rosenzweig), o ancora: “Parlare è tradurre” (J.G. Hamann).
 
💥 In conclusione, Auschwitz, la Babele del ventesimo secolo, ha rappresentato la riproposizione rabbiosa e bestiale di una lingua unica e totalitaria, destinata a ripresentarsi orrendamente ogni qual volta “il sé si assolve definitivamente dall’altro”, fino a cannibalizzare l’altro e trasformarlo nel sé.¹⁰
 
💥 Note.
Gustave Doré, La caduta di Lucifero, 1866
1. Primo Levi, I sommersi e i salvati, contenuto in Opere, vol. II, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino 1997, pp.1059 - 1072.
2.  Da questa concezione Primo Levi prende subito distanza. Cfr. ibidem, p. 1059.
3.  Ibidem, p. 1063.
4.  Ibidem, p. 1062.
5.  Ibidem, p. 1062.
6. Donatella Di Cesare, Utopia del comprendere. Da Babele ad Auschwitz, Bollati Boringhieri, Torino 2021.
7. Ibidem, p. 49. 
8. Ibidem, p. 52. 
9. Citati da Donatella Di Cesare, in limine al cap. Traduzione e redenzione, contenuto in Utopia del comprendere, cit., p. 47.
10. Ibidem, p. 205.
 

4 commenti:

  1. Forse non c'entra molto, ma leggendo questo discorso sulla lingua e la comunicazione, mi viene in mente la sequenza del film "La vita è bella" in cui il protagonista traduce per suo figlio gli ordini che un soldato tedesco sta dando ai prigionieri della baracca. Ma naturalmente li traduce a modo suo, e per salvare il bambino dalla consapevolezza di quell'orrore, s'inventa il gioco e i mille punti da conquistare.
    Grazie Rossana e buona giornata!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara Annamaria, c'entra sì! La trasfigurazione poetica del film coglie l'aspetto della lingua come barriera insormontabile che, in questo caso, protegge il bambino dall'orrore urlato e permette all'ala della fantasia di volare. Qui una lingua altra e amica - parola mediatrice degli affetti e della comprensione - libera dalla lingua unica mortifera. Grazie, buona serata!

      Elimina
  2. Cara Rossana: come sempre, evidenzi aspetti fondamentali della convivenza umana. Rileggere e meditare pagine così significative de "I sommersi e i salvati" ridesta la mia commozione e la mia immensa stima per Primo Levi. Grazie anche per la segnalazione del libro di Donatella Di Cesare. Buon tutto. Un abbraccio affettuoso da Palermo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Condividiamo molte cose,cara Maria, anche l'amore per la scrittura e la personalità di Primo Levi: un gigante, per la sua drammatica biografia, ma anche per la statura letteraria. Il testo di Donatella Di Cesare è una lettura molto arricchente, che si affaccia sul panorama della filosofia contemporanea, tracciando stimolanti percorsi. Gli ultimi suoi libri sono relativi al tema del negazionismo e sono, anch'essi, di grande interesse. Un abbraccio anche a te e un saluto affettuoso.

      Elimina