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domenica 7 aprile 2024

9 aprile, morte di Bonhoeffer.

Il 9 aprile 1945, all’età di 39 anni, moriva sul patibolo, impiccato dai nazisti, il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer.

Post di Gian Maria Zavattaro.

Dietrich Bonhoeffer
"Ci eravamo - scrive Bonhoeffer - molto semplicemente posta la questione: che cosa vogliamo fare nella vita? Lui disse: vorrei diventare santo (e ritengo lo sia diventato); la cosa mi fece allora grande impressione. Tuttavia replicai, dicendo pressapoco: io vorrei imparare a credere. Più tardi ho capito e non ho finito di capirlo e di impararlo, che soltanto nel pieno essere-di-questo-mondo della vita si impara a credere" (Resistenza e resa).
Il 9 aprile 1945 - era il lunedì dopo la Domenica in Albis – all’età di 39 anni moriva sul patibolo, impiccato dai nazisti, il teologo protestante DIETRICH BONHOEFFER. “Questa è la fine – per me è l’inizio della vita” furono le ultime parole, mentre gli aguzzini lo strappavano ai compagni di prigionia. 
Chi conosce anche poco, come me, del suo pensiero e della sua azione sa bene quanto le sue intuizioni abbiano influito sul rinnovamento della teologia protestante e cattolica e quanto esse siano  ancora vive. Un tema vorrei qui ricordare: la constatazione dell’avvento di un “tempo totalmente irreligioso”.
Oggi questa consapevolezza è ormai un vissuto collettivo, l’evento compiuto della secolarizzazione. Nella città secolare Dio come “ipotesi di lavoro”, come spiegazione o come via d’uscita dai problemi che noi dobbiamo affrontare e risolvere, è “ipotesi inutile” o addirittura illusoria. Il “Deus ex machina” o “il  Dio tappabuchi” non serve:  l’ “homo religiosus” ha perso la partita della storia, il mondo è diventato adulto, dobbiamo vivere senza Dio, dobbiamo cavarcela da soli. “Non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo, etsi Deus non daretur”. Si pone allora “il problema che non mi lascia tranquillo: quello di sapere cosa sia veramente per noi oggi il Cristianesimo o anche chi sia Cristo”.
Per Bonhoeffer l’esperienza della morte di Dio, della sua assenza, del suo silenzio, non è un semplice dato culturale: essa è disposta al fine di rispettare l’uomo e provocarne la crescita. “Il mondo maggiorenne è senza Dio e forse proprio per questo più vicino a Dio che il mondo non ancora diventato adulto”. Il Dio personale “davanti a cui stiamo” è il medesimo Dio senza il quale noi dobbiamo vivere. Egli è, ma Tace. Nel mondo senza Dio il cristiano non è chiamato ad una nuova religione, ad una nuova cristianità, ma alla vita della partecipazione al nascondimento ed all’impotenza di Dio nel mondo. Essa si disvela nel modo più radicale attraverso l’abbandono del Figlio sulla croce: “Dio si lascia scacciare dal mondo, sulla croce Dio è impotente e debole nel mondo”. Non dunque “il piatto e banale essere-di-questo-mondo degli illuminati, degli indaffarati o dei lascivi, ma il profondo essere-di-questo-mondo che è pieno di disciplina ed in cui la conoscenza della morte e della risurrezione è in ogni momento presente”. La fede, ben lungi dal fuggire, si incarna nel temporale, lo sperimenta, l’ama e gli resta fedele. “Per il Cristiano non esiste alcun luogo di rifugio dal mondo né in concreto né nella interiorità spirituale. Qualsiasi tentativo di ritrarsi dal mondo sarà presto o tardi pagato con qualche cedimento al mondo”.  
Negli uomini e nelle donne del nostro tempo Bonhoeffer scopre l’incontro con  il Dio vivente: nel loro esserci Egli si è nascosto, là lo si ritrova e là lo si deve servire. Nell’esistere per l’altro si ridisegna l’atemporale identità del cristiano e si delinea la possibilità storica della conciliazione tra la mondanità del mondo e la trascendenza divina. Affiorano alla mente le consonanze con Mounier, così vicino e così diverso: l’incarnazione, unica possibile risposta alla supplica  nietzschiana di Zarathustra (“Vi scongiuro. Siate fedeli alla terra”); la necessità di calarsi nel cuore stesso della miseria, dalla parte degli “schiacciati”; la protesta contro la coscienza pacificata della cristianità borghese e la consapevolezza della sua fine (“fu la cristianità”); la testimonianza come forma pura dell’azione.
Affrontando il supplizio Bonhoeffer testimoniava fino in fondo la sua “Resistenza e Resa”: il resistere, che è imparare a credere e sperare; il rendersi agli altri, che è amare senza arrendersi.
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4 commenti:

  1. Grazie di cuore, Gian Maria, per aver ricordato il grande Bonhoeffer, capace di testimoniare sino al martirio la necessità di opporsi al male della dittatura nazista; capace di continuare ad avere fede in un Dio che tace e si nasconde, e di vivere 'etsi Deus non daretur' continuando ad amare gli altri.

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  2. Grazie a Lei, gentile Maria, per il suo commento che invita noi tutti a non arrendersi e, nella nostra pochezza, ad essere testimoni... Un caro saluto da parte di Rossana e Rosario.

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  3. Elena Emanuela Ciampoli ( non sono anonimo)

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