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martedì 12 novembre 2019

Il sacramento del linguaggio, Agamben.

Il giuramento come "sacramento del potere" fondato sul "sacramento del linguaggio", vincolo e promessa di fedeltà.
Post di Rosario Grillo

✱ PREFAZIONE.
Giorgio Agamben, 
Il sacramento del linguaggio
Voglio esternare il mio stupore, tutto pieno delle sensazioni intrinseche, davanti ad un testo che, sulle prime sembrava respingermi per la sua ostentata cadenza filologica... e che poi è diventato una rivelazione pagina dopo pagina, con connessa esplicazione di molti “arcani”.
In definitiva prezioso wunderkammer in miniatura.

✱ LINGUAGGIO E GIURAMENTO.
Con una complessa argomentazione “sulla punta di fioretto” Agamben mette a punto il senso che va riconosciuto alla “componente religiosa” del giuramento.
La ricchezza dei rimandi (alle radici indoeuropee, alla civiltà greca da Omero al periodo ellenistico, al diritto romano innestato nella celebrazione dell’imperatore, pontifex maximus, a studi etnografici) non oscura la centralità della tesi principale: la natura religiosa del giuramento è di tipo formale, è inscritta non nella rivelazione divina ma nell’inerenza tra il divino e la parola, sigillo del giuramento. A tal punto da autorizzare l’affermazione: il giuramento è Dio.
Si comprende del tutto se si traduce con l’idea del  pieno. Al contrario, la bestemmia è il vuoto. Ecco perché di essa si parla come di nominazione di Dio: frustra, vana, inconsistente, vuota.
Jacques-Louis David, 
Il giuramento della Pallacorda (1791), 
particolare
Agamben sta mettendo a frutto il metodo che aveva applicato da gran tempo per la disamina del sacer. Da esso e con esso, con risolutezza, passa a stabilire un nesso oggettivo tra le parole e le cose, riconducendolo alla ontologia del logos ed esplicitandolo “Il nomen è immediatamente numen... Ogni nominazione, in ogni atto di parola è in questo senso, un giuramento, in cui il logos (il parlante nel logos) s’impegna ad adempiere la sua parola, giura sulla sua veridicità, sulla corrispondenza fra parole e cose che in esso si realizza. E il nome del Dio non è che il sigillo di questa forza del logos” (1).
Il sacro, quando viene ipostatizzato come il nascosto conduce al tremendo, connesso al mysterium (Rudolph Otto).
Elementi di questa sorta sono nella religione ebraica e nel culto della Torah.
Agamben prende le distanze da questa tradizione, rigetta ogni alone di teologia e si concentra sulla qualità giuridica, implicitamente confermando l’asserto aristotelico della naturale essenza politica dell’uomo, riconoscendovi la duplicità di bene-male; nel mentre va esplorando tutta la gamma della compresenza autoriale  del divino nel “pactum servandum”.
Jacques-Louis David, 
I deputati giurano, 1791
Superata la fase iniziale, oberata dalla messa a punto filologica, il suo libro, Il sacramento del linguaggio, sgrana una dovizia di interessanti particolari, che non si fermano alla cornice della erudizione, penetrano nel “sangue” della cultura facentesi storia delle genti.
Vien confermata l’equivalenza nomen-deus concepita, alle origini o tra i primitivi, politeisticamente, soprattutto prendendo atto della natura non semantica dei nomi. Essi sorgevano contestualmente ai Sondergotter (Usener ne parla come divinità speciali invocate per ogni pratica elementare e basilare dagli antichi come erpicare concimare ecc.)
Allo stesso tempo è confermata la natura della blasfemia, identica del tutto alla imprecazione, senza nessun intento denotativo, quindi aperta alla funzione della male-dizione.
Mi impressiona, su questa falsariga, l’evocazione che i romani facevano, per nome, delle divinità avversarie, sul terreno di battaglia, onde ingraziarsene i favori, promettendo loro di includerli nel proprio pantheon e di fare sacrifici. (2)
Jacques-Louis David, 
Il giuramento della Pallacorda (1791), 
particolare
Stabilito il nesso ontologico Dio-nomen, entrati nell’universo del monismo, si fa ancor più cogente, per il piano logico, l’identità e si apre la strada ad una dimostrazione: quella ontologica di Dio. Si chiarisce così: che non si tratta di dimostrazione, di passaggio sillogistico, bensì di piena nominazione dell’identità tra logos ed attributi in Dio, che, per definizione, è Logos.
Per questa ragione, l’esistenza non si aggiunge a Dio, ma è tutt’uno con il suo logos.
In conseguenza, Agamben si dilunga sulla natura performativa della parola, che consente al giuramento di valere per sé, prescindendo dalla conferma della realtà. La verità vi è coessenziale: così risulta assurda ogni prova di verificazione. In questo modo si risale a Wittgenstein, registrando il senso autentico del legame tra linguaggio e mondo  delle cose  discendente dalla certezza inclusa nei nomi propri. Si tratta di un atto di fede, con l’intesa che non si tratta di “supremo irrazionale” ma di difforme vetta della sapienza. (3)

✱ CONCLUSIONE.
Ho già detto che Agamben ha lavorato sul concetto di sacer, sospinto dalla biopolitica di Foucault incistata sull’assunto: l’uomo è un animale nella cui politica ne va della sua vita di essere vivente. Data l’equivalenza di politica e linguaggio, si potrà dire: l’uomo è un animale nella cui lingua ne va della vita di un essere vivente.
Ecco la pista battuta da Agamben. Egli è risalito alla pregnanza della parola, alla sua capacità di implicare l’esistenza: tra logos ed esse non passa differenza.
Jacques-Louis David, 
Il giuramento della Pallacorda,
1791
Se però gli scienziati, e tra essi etnologi fino a Levi Strauss, si son fermati allo stacco tra l’intellegibile e ciò che viene conosciuto (riferito al criticismo), la filosofia ha preso il coraggio di interrogare l’antropogenesi attraverso l’ethos. È potuto avvenire quando ha messo in risalto l’io  e le varie locuzioni che testimoniano la sua presenza. “L’uomo è quel vivente che, per parlare, deve dire ‘io’, deve, cioè, ‘prendere la parola’, assumerla e farla propria”  (p. 97).
Risulta confermata la qualità responsabile – impegnativa - piena  della parola.
Responsabile, perché il soggetto ne risponde di persona con la vita (fondamento del giuramento).
Impegnativa, perché richiama la sacratio: letteralmente la somma di denaro che davanti al giudice veniva promessa e che al reo toccava pagare.
Piena, perché richiama la statura divina, in quanto “ogni nominazione è, infatti, duplice: è benedizione o maledizione. Benedizione, se la parola è piena, se vi è corrispondenza fra il significante e il significato, fra le parole e le cose; maledizione se la parola resta vana, se permangono, fra il semiotico e il semantico, un vuoto e uno scarto (p. 95).

✱ NOTE.
Jacques-Louis David, 
Il giuramento della Pallacorda, 1791
(1) G. Agamben, Il sacramento del linguaggio, Laterza p.62
(2) Idem p.67
(3) Sono andato a “ curiosare “ nella storia della matematica, seguendo la bussola, fondamentale per me profano, dell’iter compiuto da Wittgenstein, dalla scuola viennese a Russell. Così ho chiarito la difformità del procedimento del filosofo viennese da “platonismo alla Cantor e la saldezza della sua scelta circa l’orizzonte del linguaggio . “Nella prospettiva teologica di Cantor il regno del possibile è più ampio di ciò che può essere detto perché tra pensiero e linguaggio non c’è coincidenza; nella prospettiva di Wittgenstein invece il concepibile coincide con l’orizzonte grammatico-pragmatico del linguaggio. Questa tesi, che si esplicherà al meglio negli scritti dopo il ’29, è gia presente in nuce nella Prefazione del Tractatus: non è possibile tracciare un limite al pensiero, quindi esso verrà tracciato nel linguaggio.”
Da riviste.unimi noema
Direi di considerare la differenza che passa tra i neopositivisti che si muovevano con il principio di verificazione  e Wittgenstein che utilizzava il principio di veridizione.

3 commenti:

  1. Caro Rosario, ci stupisci sempre per gli orizzonti che ogni volta ci dischiudi, offrendoci muovi squarci di riflessioni e sentieri ben poco esplorati, almeno da me, che ci aprono alla “rivelazione di molti arcani”. Da profano quale sono, trovo originale e pertinente alla nostra temperie non solo culturale ma sociopolitica quanto ci suggerisce l’archeologia del giuramento sia in rapporto al sacro sia al profano. Mi convince in particolare l’endiadi “sacramento del potere”- “sacramento del linguaggio” e “la qualità responsabile -impegnativa - piena della parola”. E guardandomi in giro, ascoltando parole irresponsabili fatue vuote, mi pare che proprio nell’ambito politico oggi aleggi sopratutto la maledizione e la bestemmia, “la parola che resta vana”. Grazie.

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  2. Prima voglio riservare due parole al segreto ma prezioso lavoro di Rossana, che con l’impaginazione appresta il commento e complemento iconico al contenuto del post. Il suo lavoro, talvolta improbo ( come questa volta), è sempre svolto nel modo più intelligente possibile. Associare David, con il giuramento della pallacorda è stato azzeccatissimo. Grazie.
    Grazie anche a te delle parole di encomio.
    La parola, il linguaggio è frequentemente argomento dei nostri interessi, e non è certo un fatto casuale.

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