Il sentimento profondo della gratitudine e i suoi contrari, nella riflessione di Massimo Recalcati.
Post di Rossana Rolando.
L'immagine di copertina è di Gabriella Giandelli |
Il termine indicava, nel passato, “un luogo inaccessibile, inviolabile” e, nello stesso tempo, un limite da trasgredire, un restringimento da oltrepassare. Oggi, nell’epoca della liberazione da qualsiasi legge, il tabù può assumere il significato di un ammonimento che rimanda all’esperienza umanizzante del limite, esso stesso tabù: “segno che la vita non ci appartiene mai come una semplice presenza di cui siamo proprietari, ma è qualcosa che porta con sé la cifra – trascendente e impossibile da svelare – del mistero” (1).
La gratitudine si collocherebbe in questo spazio del riconoscimento del limite, nell’avvertimento della propria dipendenza da altri e nella consapevolezza di essere in larga misura il frutto di quello che abbiamo ricevuto.
Recalcati non sta quindi semplicemente parlando di quell’atto, pur tanto prezioso, del ringraziare, di quella parolina - “grazie” - che, per quanto utilizzata sempre troppo poco, fa comunque parte delle buone maniere ed è espressione di cortesia ed educazione.
No, non è questo il punto. Ad essere interdetto, nel mondo contemporaneo, è piuttosto il sentimento della gratitudine, che va a coinvolgere le profondità di un atteggiamento interiore, in nessun modo riducibile alle forme della cortesia. La differenza è fondamentale: negli scambi quotidiani si ringrazia sempre per qualcosa – servizio, pagamento, risarcimento… -, ma non è questo il vero senso della gratitudine. Non si è grati per aver ottenuto il prodotto richiesto al banco del supermercato, così come non si è grati per l’omaggio offerto da un agente commerciale, anche se in un caso come nell’altro si può rispondere “grazie”.
L'immagine di copertina è di Doug Menuez |
La gratitudine nasce dal riconoscimento “del debito simbolico che ci lega all’Altro”, della “grazia” che l’Altro porta nella nostra vita, della dipendenza di cui è intessuta l’identità, a partire dalla generazione, dal nostro stesso venire al mondo. Molti potrebbero essere gli esempi tratti dalla comune esperienza: vi sono incontri che cambiano il corso dell’esistenza; libri che segnano una svolta; insegnanti che aprono mondi; medici che salvano… Tutte situazioni per le quali ne va della vita e grazie alle quali nulla rimane come era prima. Di questi lasciti si è davvero grati.
Perciò, dice Recalcati, la gratitudine trova
il suo vertice nella preghiera che dà lode per “il dono dell’essere”, “il dono
della nostra presenza nell’essere” (3).
L’atteggiamento di chi è grato si fonda dunque nello spazio del riconoscimento dell’Altro, della sua assoluta differenza. Ed è proprio questa precondizione ad essere messa in crisi oggi, generando un nuovo tabù.
Non è un caso che Recalcati individui, come contrari della gratitudine, l’invidia e il disincanto.
L’invidia, infatti, vuole appropriarsi dell’Altro, “la sua meta è distruggere l’alterità dell’Altro, per ribadire una illusoria indipendenza del soggetto” (4). Nelle logiche competitive della scuola, del lavoro, della società… non c’è spazio per la gratitudine perché l’Altro è oggetto d’invidia, è il rivale da negare: “Quello che l’invidia non sopporta è la manifestazione della vita differente dell’altro nella sua forza generativa” (5).
Il disincanto, d’altra parte, elimina
ogni mistero dalle cose e ogni motivo per cui ringraziare e rendere lode. La
categoria del disincantamento del mondo, magistralmente introdotta da Max
Weber, indica quella convinzione secondo cui tutto è dominabile “mediante un
calcolo razionale”, tutto può essere – se solo si vuole – conosciuto, senza
dover ricorrere a forze misteriose e imprevedibili (6).
Il processo di razionalizzazione e secolarizzazione – per quanto benefico in molti ambiti, liberati da residui magici e irrazionali – porta con sé un progressivo svuotamento del reale, riduce le cose alla stregua di semplici presenze: oggetti utilizzabili, tecnicamente riproducibili, privati di ogni significato ulteriore. Il mondo non è più “un evento irripetibile”, le cose non hanno in sé alcun “segreto” (7).
Non a caso Recalcati pone in limine al suo libro I tabù del mondo una citazione di Pasolini: “Io voglio riconsacrare le cose per quanto possibile, voglio rimitizzarle […] viviamo in una cultura che non crede più ai miracoli, […] cercare di trasmettere quel senso del miracoloso che ciascuno di noi prova guardando l’aurora, ad esempio: non succede nulla, il sole sorge, gli alberi sono illuminati dal sole. Per noi, forse, è questo ciò che va chiamato miracolo” (8).
L’atteggiamento di chi è grato si fonda dunque nello spazio del riconoscimento dell’Altro, della sua assoluta differenza. Ed è proprio questa precondizione ad essere messa in crisi oggi, generando un nuovo tabù.
Non è un caso che Recalcati individui, come contrari della gratitudine, l’invidia e il disincanto.
L’invidia, infatti, vuole appropriarsi dell’Altro, “la sua meta è distruggere l’alterità dell’Altro, per ribadire una illusoria indipendenza del soggetto” (4). Nelle logiche competitive della scuola, del lavoro, della società… non c’è spazio per la gratitudine perché l’Altro è oggetto d’invidia, è il rivale da negare: “Quello che l’invidia non sopporta è la manifestazione della vita differente dell’altro nella sua forza generativa” (5).
L'immagine di copertina è di Luigi Ghirri, Studio Giorgio Morandi 1989-90. |
Il processo di razionalizzazione e secolarizzazione – per quanto benefico in molti ambiti, liberati da residui magici e irrazionali – porta con sé un progressivo svuotamento del reale, riduce le cose alla stregua di semplici presenze: oggetti utilizzabili, tecnicamente riproducibili, privati di ogni significato ulteriore. Il mondo non è più “un evento irripetibile”, le cose non hanno in sé alcun “segreto” (7).
Non a caso Recalcati pone in limine al suo libro I tabù del mondo una citazione di Pasolini: “Io voglio riconsacrare le cose per quanto possibile, voglio rimitizzarle […] viviamo in una cultura che non crede più ai miracoli, […] cercare di trasmettere quel senso del miracoloso che ciascuno di noi prova guardando l’aurora, ad esempio: non succede nulla, il sole sorge, gli alberi sono illuminati dal sole. Per noi, forse, è questo ciò che va chiamato miracolo” (8).
Note.
1.Massimo
Recalcati, I tabù del mondo, Einaudi,
Torino 2017, pp. V,VII.
2. Ibidem, p. 155.
3. Ibidem, p. 155.
4. Ibidem, p. 155.
5. Ibidem, p. 135.
6. Cfr. Max Weber, La scienza come professione in La scienza come professione. La politica come professione, Mondadori, Milano 2006, pp. 19-27.
7. Massimo Recalcati, Il mistero delle cose, Feltrinelli, Milano 2016, pp. 25, 26.
8. Massimo Recalcati, I tabù del mondo, cit., p. 3 (tratto da Pier Paolo Pasolini, Pasolini su Pasolini. Conversazioni con Jon Halliday).
2. Ibidem, p. 155.
3. Ibidem, p. 155.
4. Ibidem, p. 155.
5. Ibidem, p. 135.
6. Cfr. Max Weber, La scienza come professione in La scienza come professione. La politica come professione, Mondadori, Milano 2006, pp. 19-27.
7. Massimo Recalcati, Il mistero delle cose, Feltrinelli, Milano 2016, pp. 25, 26.
8. Massimo Recalcati, I tabù del mondo, cit., p. 3 (tratto da Pier Paolo Pasolini, Pasolini su Pasolini. Conversazioni con Jon Halliday).
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Rossana, il miracolo dell'aurora...
RispondiEliminaC'è un libro bellissimo di Melanie Klein, Invidia e gratitudine -dallo psichismo infantile alla nostra vita mentale adulta.
La gratitudine che non è soltanto saper dire grazie, infine diventa il succo sapienziale di una vita condotta sotto il segno della consapevolezza e dello Spirito.
Grazie come sempre!
Un grande abbraccio a te! Cara Laura. Molto bella questa tua sintesi: "il succo sapienziale di una vita condotta sotto il segno della consapevolezza e dello Spirito".
RispondiEliminaCome interpreti tu, Rossana, a latere del filone più “ sensibile” e meno tecnico della psicanalisi, la gratitudine è la fonte delle Grazie della Vita.
RispondiEliminaE si potrebbe accompagnare anche con la canzone latino americana “ grazie alla vita”...
🌹
Credo che la gratitudine richieda una maturazione umana tale da rendere ciascuno capace di riconoscere quanto ha ricevuto dall'Altro (genitore, insegnante, amico...Vita), generando così passioni liete. La mancanza di gratitudine, che segna spesso la contemporaneità, mi pare sia l'indice di una povertà che alimenta solo passioni tristi (invidia, odio, aggressività).
EliminaSe avessimo il senso del limite, della nostra finitudine ... ringrazieremmo per ogni aurora e per ogni tramonto ammirato, per ogni abbraccio, per ogni respiro di vita. Nella prospettiva della gratitudine, non ci sarebbe spazio per sentimenti negativi. Un abbraccio. Grazie!
RispondiEliminaCome è vero quello che dici, cara Maria!
EliminaMolto interessante questa dimensione più ampia della gratitudine.
RispondiEliminaMa mi colpisce anche il discorso sul disincanto, un atteggiamento oggi molto diffuso e spesso scambiato per realismo. In realtà non lo è perchè si tratta di uno sguardo riduttivo su persone e cose: infatti non ne indaga il mistero e quella dimensione di infinito che è in ognuno di noi.
Il contrario del disincanto mi pare lo stupore, dal quale nasce poi la gratitudine!
Grazie cara Rossana e un abbraccio!
Forse l'arte - come sostiene Recalcati ne "Il mistero delle cose" - in tutte le sue forme (penso alla tua e nostra amata musica) può ancora avere un ruolo chiave nel "rieducare" al senso della trascendenza che traluce nell'immanenza, dell'invisibile nascosto nel visibile, dell'infinito nel finito (come tu dici).
EliminaGrazie di cuore a te. Un abbraccio.
Sì, penso anch'io che il ruolo dell'arte sia anche questo!!!
EliminaGrazie ancora!