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domenica 2 febbraio 2020

Bellezza, paesaggio, giustizia.

Post di Rosario Grillo.

“Oggi viviamo nell’illusione di essere liberi, ma non lo siamo affatto: vediamo infatti come la comunicazione, che si presenta come libertà, si rovescia in controllo. Comunicazione e trasparenza producono anche una costrizione al conformismo: oggi crediamo di non essere soggetti sottomessi ma liberi, crediamo di essere un progetto che si delinea in maniera sempre nuova, che si reinventa e si ottimizza”  (Byung-Chul Han, Elogio della distanza, Doppiozero).

Byung-Chul Han, 
La salvezza del bello
Se leghiamo la morale all’estetica, in qualche modo, introduciamo un quantum di oggettività nella soggettività.
Assumo l’ardire di questo enunciato supponendo il facile e comune prospetto soggettivo del bello, in quanto piace. Memore, però, del principio kantiano: “il bello è ciò che piace universalmente senza concetto”, debbo preoccuparmi di chiarire se e  in quale rapporto va riconosciuta universalità al bello, allontanando dalla volgare identità del bello con ciò che piace.
Nella società odierna c’è parecchia indulgenza verso il compiacimento e, sia pure prescindendo dalla discussa tesi sulla “morte dell’arte”, che deputerebbe in favore della non-arte, metto in rilievo, guidato da Byung Chul Han, la condiscendenza che il gusto attuale del bello ha verso la maneggevolezza, la levigatezza, il tatto, il touch. (1)
Lo scopo non può non essere la “captatio” del bisogno di consumo indotto da un mercato onnivoro. C’è di mezzo un totale cedimento al libero arbitrio.
Di questo si tratta, non di autentica libertà, anche se Byung parla di “libertà decaduta in conformismo” (2).
Nell’intervista presa in esame, la necessità propugnata della distanza  è un modo per rilevare una compenetrazione tra soggetto ed oggetto e una contemperanza di soggettivo ed oggettivo.
La società del benessere (3) scarta la negatività: un ricettacolo per creare distanza, una frattura che divide dall’abbraccio, visto che il motto dell’attuale arte, a leggere Byung, sarebbe “abbracciare l’osservatore”.  (4)
Giorgio Agamben, 
L'uso dei corpi
La stessa pecca, nelle società sottoposte alla biopolitica, è rilevata da G. Agamben, il quale svolge il tema dentro una sistematica analisi dell’uso dei corpi.
Egli esplora con il concetto di inappropriabile configurandolo come una sfera intima, che nel soggetto è l’insieme di “fatticità (5) della sua privacy, con la quale entra in relazione come “un in appropriabile”.
In aggiunta, lo considera: zona limite del diritto.
Nel secondo caso, Agamben si rifà a Benjamin, che, disquisendo della giustizia, mise in luce un senso del comunismo, fuori della ortodossia marxista, fortemente impregnato di valore etico.
Per Benjamin infatti: “il carattere di proprietà compete a ogni bene limitato  nell’ordine spazio-temporale come esposizione della sua caducità. La proprietà, in quanto è imprigionata nella sua finitezza è, tuttavia, sempre ingiusta”. Solo la giustizia “categoria etica di ciò che è dovuto” apre l’accesso al “diritto al bene del bene” (6), dimensione inesauribile ed inappropriabile.
La stessa patina di inconoscibilità/inappropriabilità va riconosciuta, secondo Agamben, al paesaggio. Esso, unendo in tutt’uno gli aspetti naturali (inorganico, vegetale, animale, umano)  con la misura dell’inconoscibile compendia l’aperto mondo o meglio lo sguardo sull’aperto mondo.
Anche qui un tocco di inappropriabilità.
Ma, nota il Nostro, ricco di intimità. “Il paesaggio è la dimora nell’inappropriabile come forma-di vita, come giustizia. Per questo, se, nel mondo, l’uomo era necessariamente gettato e spaesato, nel paesaggio egli è finalmente a casa” (8).
Giorgio Agamben,  
Genius
Tale linea interpretativa è da lui mantenuta in un libriccino che descrive le proprietà del Genius (9), dove è, ancora una volta, visibile l’affinità con la sensibilità religiosa.
Al genio riconosce la duplicità di positivo/negativo, compulsando il tasto demonico e quello angelico nel corso della storia, e soprattutto lo legge come una dispositio innata, inesauribile, energia di vita che non ha fine.







Note.
  1. Byung richiama Hegel e la sua esclusione del tatto dal prospetto dei canali sensitivi conformi al sentire estetico. Anche l’olfatto ne è escluso. Vedi La salvezza del Bello, Nottetempo.
  2. Vedi l’exergo.
  3. L’accezione che si assume qui è quella del cedimento alla frivolezza, al godimento, al consumismo.
  4. La salvezza del bello, p.143.
  5. È necessario usare il termine di estrazione heideggeriana equivalente alla vitalità, anche del sé, aperta al mondo.
  6. Riportati in Agamben, L’uso dei corpi, estrapolati da Benjamin. Appunti per un lavoro sulla categoria della giustizia (mie le sottolineature).
  7. Non vanno esclusi turbamento e dolore.
  8. G.Agamben, L’uso dei corpi, Neri Pozza, p.127.  Quanto suggestiva l’esplicazione di Agamben, quando  la riconduce al saluto antico e primordiale, che gli uomini si scambiavano incontrandosi: Pays, paese, il napoletano paisà! In proposito debbo avvertire che far risalire l’ultimo gergo napoletano al periodo bellico, utilizzato dagli angloamericani, mi convince a stento, visto che nelle contrade meridionali è ancora comune l’uso tra contermini.
  9. G.Agamben, Genius, Nottetempo.

2 commenti:

  1. Caro Rosario, dopo la lettura reiterata del tuo post, quante provocazioni da meditare per il mio sapere di non sapere! Un’aspra conta di perdite e di acquisti culturali: l’illusione della “libertà decaduta in conformismo”, funzionalità digitale e consumismo che asserviscono il bello come eccitante soggettivo compiacimento momentaneo, il motto dell’attuale arte “abbracciare l’osservatore” nell’ambivalente distanza compenetrazione-contemperanza tra soggetto e oggetto, il concetto di inappropriabile in cui dimora il paesaggio… Eppure in questa nostra stanca società dell’espulsione dell’altro, permane forse nascosto implicito inconsapevole - scriveva Rossana anni fa - il bisogno di ognuno di noi di nutrirsi di bellezza, ma insieme di respirare il vero e di vivere il bene: un modo di educarci ad una pienezza di umanità. Chissà! Forse al termine del suo cammino, anche la nostra generazione potrà ritrovare giusto il pensiero di John Keats: La bellezza è la verità, la verità è bellezza: questo è tutto quel che voi sapete in terra e tutto ciò che vi occorre sapere”.

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  2. Grazie infinite Gian Maria.Il tuo commento è proprio ispirato e ispirante💫
    Un grazie particolare a Rossana, costretta ad un “ super lavoro “, visti i molteplici impegni.

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