Un percorso sulle tracce della ragione tra arte e filosofia.
Post di Rosario Grillo.
Francisco Goya, Il sonno della ragione genera mostri, 1797 |
Si rimescolano le carte. Fin qui la ragione ha avuto il sopravvento. Per certi aspetti, se la prendiamo sul verso della υβρις che ha esercitato, a fondamento di: potere, tecnica, razionalismo strumentale, ci ha tenuti su un letto di Procuste (vanno bene entrambe le interpretazioni: adattamento violento sotto l’indice della “normalizzazione coattiva” e invidia estrema per il successo altrui fino alla negazione della alterità).
Essa ha fornito il tessuto della storia. E qui assumo la storia come historia rerum gestarum, quella che si narra, coincidente con la storia dei vincitori.
Si consideri sia la versione hegeliana, all’insegna dello Spirito che diviene, sia quella positivista, correlata al progredire della scienza. Eroi cosmico storici nell’una, aggregati sociali nell’altra.
Ove: assenza di uno scarto, inibizione della libertà. (1)
Prendono posto le emozioni.
Facendo seguito al flusso delle percezioni, mettendo in luce il mondo della coscienza, concepita fenomenologicamente. Si comincia a parlare di filosofia della vita.
Sullo sfondo, lo strappo della psicanalisi che impone di considerare l’inconscio.
Nel frattempo, fuori, i cannoni delle guerre mondiali, con il seguito delle bombe di Hiroshima Nagasaki.
Allo scoperto: i piani folli della eliminazione dei diversi, dagli ebrei alle nazionalità ribelli dell’impero sovietico. In continuum, tranne brevi interruzioni frutto di utopie a breve respiro (Spinelli).
Il pianeta è messo a fuoco, sottoposto alla voracità del Mercato con il succedaneo del Consumismo.
Francisco Goya, Il sonno della ragione, dettaglio |
Testimoni della crisi della ragione, testimoni nella crisi della fiducia: Nietzsche, Benjamin.
Il primo, attento a prendere spunto da Burckhardt e a rispolverare, sotto la patina dei successi della storia, una decadenza che richiede di tornare alla grecità. Il secondo, consapevole del sedimento goethiano, al lavoro sull’ibridazione tra archetipo e principium individuationis. (2)
Shock di nuove esperienze in arrivo: da invenzioni come il dagherrotipo, primo stadio di un cammino che, attraverso la fotografia (3), porta al cinema. In loro virtù, si passa dalla ripresa immobile alla ripresa in movimento. Le immagini in movimento eccitano, con la fantasia, l’immaginario, con ripercussioni sul piano del linguaggio e della logica.
Un grande Wittgenstein registra il fiato pesante della metafisica da un canto, della scienza, unilateralmente incline al neopositivismo logico, dall’altro; sonda la nuova grammatica del linguaggio. La ritrosia alla via mistica (“su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”) lo spinge ai giochi linguistici associati alle forme di vita. La motivazione sta nell’abbandono del mito del progresso: “[a] me non interessa innalzare un edificio ma piuttosto vedere in trasparenza dinanzi a me le fondamenta degli edifici possibili”.
La coscienza, che Nietzsche valuta esclusivamente nella piega dell’idealismo, diventa centro d’interesse multiplo. Nella varietà, si distingue Bergson, mettendo a frutto prerogative che nella cultura francese venivano da lontano. Sembra quasi un gioco di corrispondenza ed è invece il riscontro del cambio di registro.
“Bergson, come abbiamo visto, è stato il filosofo dell’emozione elevata al grado di virtualità attiva, poi Merlau-Ponty ha rifondato il concetto in termini di apertura. È stato però Gilles Deleuze a darne una nuova formulazione in termini di potenza, attraverso Nietzsche e Spinoza”. (4)
Goya, Il sonno della ragione, disegno preparatorio |
Ma Freud è ben attento alla dialettica del desiderio... studia le pulsioni.
Ci approcciamo alla dinamica della vita vissuta, sedimentata in immagini refrattarie ad ogni cristallizzazione intellettualistica.
Piuttosto esse rendono possibile un viaggio nel tempo: a ritroso e in avanti. Questa la potenza evocata da Deleuze, questa l’apertura richiamata da Merlau-Ponty.
Proverbiale la maestria di Benjamin nel trattare le immagini della sua infanzia (opera Infanzia a Berlino) scoccando la scintilla per l’approccio al mondo della comunicazione (radio – fotografia - cinema) (5). Egli non se ne sta a rimpiangere il mondo perduto, cerca di cogliere il “senso recondito” per sfuggire alla serialità della riproduzione tecnica. (6)
Il futuro? In avanti, bisogna spingersi, dando ali alla creatività, ad immagini che contengono il succo di esperienze fatte.
Dici-Huberman, che ho tirato in ballo e che mi ha dato l’estro per riflettere sulla questione, ha collaudato, dentro il campo della storia dell’arte, mosso dall’ideale di Warburg, la ricchezza esplosiva delle immagini. Se ne avvale per intrecciare un discorso multi ed Inter-disciplinare. Non cercando sovrapposizioni, né imbastendo supposizioni eclettiche, mischiando invece, con abile regia, la voce della antropologia, della filosofia, della sociologia, della estetica, dell’etica, della psicologia. (7)
Egli ha presente l’inciso foucaultiano sulla biopolitica, prende appunti sulla archeologia del sapere, ma non è disponibile a seguire il viaggio di G. Agamben, che oggettivizza il codice rituale, giuridico e simil teologico, della gloria del potere dove le rappresentazioni si piegano ad un fine unilaterale. (8)
Si concentra così sull’arco virtuale sia in considerazione del fuori di sé, destinato a coagularsi in comunità (il sociale, il noi), sia in considerazione della chiave di lettura storiografica: pro o contro, di propaganda o di critica.
Bisogna infatti stare bene attenti all’effetto spettacolare, che fila dritto ad una iconografia d’esaltazione della realtà compiuta. Capziosa l’azione della società dello spettacolo, messa in opera da regimi totalitari; oggi perfettamente oliata, aiutata dalla frantumazione dei rapporti sociali, sviscerata da Bauman. (9)
In questo caso, le immagini riflettono un dolore “ad effetto”, mimetico ed ipocrita, in foro esteriore.
Intende diversamente Benjamin, laddove chiama in causa popoli e guarda “la costellazione in cui la propria epoca è entrata con un’epoca anteriore affatto determinata. E fonda così un concetto del presente come del ‘tempo attuale’ [Jetztzeit], in cui sono sparse schegge di quello messianico” (10).
Volge in loro favore la tensione dialettica e ne alimenta la Speranza.
Goya, Nessuno conosce se stesso, 1797 |
Note.
(1) Intendo la libertà nel suo fuoco creativo, indice di imprevedibilità ed indeterminismo
(2) Rimando ad un mio post precedente. Benjamin ha un posto particolare nel contesto della cultura tedesca agli inizi del XX sec. Altrettanto particolare il suo collocamento nella intellighenzia ebraica e nel gruppo del “materialismo storico”. Frutto di preziosa sensibilità la sua cura dell’individualità, senza cedere all’individualismo e senza smentire il senso della comunità.
(3) Benjamin studiò la novità della fotografia e si mise a riflettere sul rapporto di fedeltà con la realtà.
(4) Didi Huberman, Popoli in lacrime, popoli in armi, Mimesis eBook, p.39.
(5) Conta la continua sua riflessione sul mondo barocco, sulle immagini, sui passages.
(6) Cfr. L’arte nell’età della riproduzione tecnica.
(7) Molte le opere di Didi-Huberman pubblicate in lingua italiana (da notare il segno lasciato dal suo lungo studio qui in Italia; tra i libri segnalo: Come le lucciole).
(8) Si riferisce all’opera Il regno della gloria, Neri Pozza
(9) Celebri le tante opere di Z. Bauman sulla “società liquida”.
(10) Benjamin, Tesi sulla filosofia della storia, 18ª
(11) Op. cit. p.59
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Ho gustato a pieno il video YouTube che Rossana, con meticoloso studio e grande arguzia, ha messo nella conclusione del post. Vi risulta la “fine intelligenza “ di Didi-Huberman, la capacità di dominare una complessità, perché nel Capriccio di Goya è nascosto l’apparente conflitto tra ragione e fantasia e propedeuticamente la tormentata necessaria conciliazione. La ragione genera mostri ( quello del Consumismo che ottenebra le società odierne ne abbiamo esperienza presente, con il frutto velenoso della Pandemia). La fantasia, a briglie sciolte, furor del controllo della “ serena ragione” si muta nella caotica girandola delle illusioni egocentriche ( o dei “ persuasori occulti” ). Grande lezione di “ educazione civile “ Grazie Rossana🎈🌹
RispondiEliminaBene per Didi-Huberman e per Goya. L'oscuramento attuale taglia fuori il cervello, nel senso che tutti i grimaldelli che avevamo per interpretare la storia sono inutilizzabili – alla buon'ora, direbbe quello, è il momento di CAMBIARE la storia ! cioè di fare la Rivoluzione ! cioè 'disobbedire' all'imposizione della vita COARTATA-DIGITALE. Il che però significa un puro e semplice autoeliminarsi. Il che non funziona. Tutte le rivoluzioni sono state PER un Qualcosa, un tipo di Società, la cui Immagine pulsava dentro, ma qui l'unica cosa. che. ancora balugina ogni tanto è il PASSATO, qualche emozione di altre età.
EliminaPerciò non so rispondere. cerco suggerimenti, spunti, alterità...
Esauriti i “grandi piani”, più e meno correlati con la storia “ a tasso finalistico “, resta aperto il campo della “ lenta trasformazione “, frutto di laborioso procedere per via di ipotesi e di continue “ messe in prova “. Il tutto, però, rigorosamente nella SFERA PUBBLICA. Il guaio è che forze contrarie lo impediscono, svuotando la Democrazia, suggerendo per via subliminale la Decisione veloce ( primato dell’Esecutivo). È certo che questo non scende dal Cielo, ma è frutto di fini strumentali ad opera di Forze ( non più occulte) che hanno molto anche vedere con l’Economia corrente ( di successo).
EliminaHo risposto in chiave di tattica e strategia politico sociale...ma vi è chiara rispondenza, sul terreno delle idee, in una Ragione piegata a fini di parte, quindi non più universale ( ed oserei dire : privata o privatistica). Nel pensiero umano, non si è atteso il ‘90 per aprire il bivio. Già nel Seicento , sotto traccia o pubblicamente, si era aperta la problematica: ragione e fantasia, esprit de finesse e raison. Grazie del riscontro e del l’occasione di confronto 🍀