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giovedì 21 gennaio 2021

L'angoscia del professore.

Un racconto di Giovannino Guareschi per ripensare la scuola, oggi.
Post di Rossana Rolando.
Immagini di Philip Mckay (qui il sito), con gentile autorizzazione.
 
Philip Mckay, Imparando a volare
Il racconto di Giovannino Guareschi, Sciopero dei professori (in audio al fondo del post), contenuto nel prezioso libro Racconti spirituali,¹ appena uscito per Einaudi, curato da Armando Buonaiuto, con un saggio introduttivo di Gabriella Caramore, presenta un primo livello di lettura cui introduce lo stesso curatore. 
E’ la storia di un professore liceale, rappresentato in una forma caricaturale, pur nei risvolti realistici: una figura triste, di segno opposto rispetto alle macchiette parodistiche di don Camillo e Peppone. Eppure è anche personaggio capace di riscattare se stesso in un attimo finale di lucida consapevolezza.

✴️ La narrazione.  
Il professore sciopera da qualche giorno. Rimane in casa per non rischiare di incontrare i suoi alunni, di cui non sopporterebbe le battute. Per quanto necessario in quel frangente, lo sciopero gli crea qualche disagio, lo collega ad un’idea di disordine. Dopo qualche giorno di clausura non ne può più. Decide di uscire la mattina presto e di andare a camminare in campagna, in modo da non essere visto da nessuno. Ed ecco che, giunto nel bosco, oltre la periferia, gli compare davanti proprio lui, Campora, l’alunno che considera il più “asino”, il più “cretino” di tutti, quello che ha confezionato le più grandi stupidaggini sentite e lette durante la sua carriera.
 
Philip Mckay, Parla in silenzio
L’immagine del professore costruita da Guareschi è un concentrato di sicumera catalogante, di giudizio sprezzante, del tutto incapace di penetrare empaticamente nella psicologia degli alunni. Anche l’incontro con Campora, lungo un viottolo, sulla riva di un canale, seduto su una pietra, non fa che confermare questa sua ottusità.
 
Intanto si mette a piovere. Dopo aver trovato riparo sotto una tettoia conosciuta dal ragazzo, il professore gli domanda con voce dura come mai si trovi lì. 
Campora risponde titubante, intimidito: “Vengo sempre, mi piace.. l’acqua, le piante in riva all’acqua, il silenzio…”. 
“La pioggia” risponde sghignazzando il professore. 
“E’ bello, stare seduti sotto un portico a veder cadere la pioggia, fa pensare tante cose”, riprende il ragazzo.
Il professore lo guarda perplesso. Una volta cessata la pioggia, pronto per tornare a casa, gli domanda: “Non è meglio che tu vada a studiare? Non hai paura a rimanere qui solo in mezzo a questa tetraggine?”
Campora risponde: “No signore, ho paura quando sono in mezzo alla gente”. Il professore pensa che Campora sia proprio matto, lo saluta e se ne va.
Philip Mckay, Nuovo inizio
Tutto però si ribalta nell’ultima scena. Il professore torna a casa, ma certi crucci non lo lasciano tranquillo. Come spiegare Campora, il suo comportamento, quella sua malinconica dolcezza? Giunto quasi a sera decide di tornare sui suoi passi. Prende un taxi per arrivare in tempo, ma ormai è tardi. Si nasconde quando vede il ragazzo che si allontana. Lo segue a distanza e lo scorge, mentre si perde in mezzo alla folla. Il professore prova angoscia nel vederlo. Forse, finalmente, egli è entrato nel mistero di Campora e forse anche nell’enigma serrato nelle pieghe della vita, della pioggia...²

Accanto a questa lettura, suggerita dal curatore, sicuramente possibile e molto bella, in cui il racconto ha la funzione di scuotere chi legge, mettendo in discussione atteggiamenti stereotipati, toccando corde profonde della relazione tra docente ed alunni… penso ad una interpretazione attualizzante.

✴️ Mia rilettura.  
❋ Il professore in sciopero potrebbe rappresentare tutti noi docenti in questo tempo di covid: certamente non in sciopero, anzi impegnati nel lavoro forsennato della DAD, ma interiormente attraversati da un’intima protesta contro non si sa bene chi e che cosa, amareggiati per il fatto di non poter svolgere il lavoro come vorremmo.
Philip Mckay, Dimmi le tue paure
Le performances scolastiche, che nel racconto sembrano essere l’unico metro di misura del professore, riassunte nelle tante stupidaggini dette e scritte da Campora, potrebbero ben rispecchiare la realtà della scuola di oggi, costretta a misurare continuamente le prestazioni degli alunni, a partire dai parametri della strettoia docimologica e della convergenza mentale. Lo stesso esame di stato esige questo. La stessa società chiede alla scuola questo. 
E quindi lo spazio per coltivare la poesia, per promuovere il pensiero raccolto e creativo, per affrontare le domande di senso e di valore è molto ridotto, lasciato alla sensibilità di ciascun docente. Del resto, nella società in cui viviamo, qual è il peso della poesia, della letteratura, della filosofia, del silenzio? Gli studenti liceali sempre più hanno imparato a concepire la scuola come luogo di competizione, di performances finalizzate al voto, piuttosto che la scuola come palestra di autentica formazione culturale e umana. Gli stessi genitori sono ossessionati dalla riuscita esteriore dei loro figli, dal successo scolastico. Gli alunni come Campora, in grado di coltivare il silenzio, sono ormai molto rari.
Infine mi soffermerei sull’angoscia del professore, anche quello immerso nelle molte mansioni e misurazioni, reso stanco e cinico dal contesto in cui si trova, quel professore che, ad un certo punto – come nel racconto – non potrà più “mentire a se stesso”.
Philip Mckay, Cavalca la tempesta
Quale presunto dolore dà origine al sentimento dell’angoscia di fronte a Campora, quand’egli viene inghiottito dalla folla? Non si teme certo la solitudine creativa, capace di umanizzare ed elevare. Quel che tormenta e inquieta è la possibilità prefigurata di una chiusura ripiegata nel baratro delle proprie tristezze, senza ancore di salvezza, nella privazione di mezzi culturali atti a vincere le proprie paure.

Sempre, nel contesto sociale in cui siamo, ma in particolare in questo tempo di covid, la preoccupazione del professore - sincero con se stesso - è quella di non saper dare strumenti per pensare, per vivere, per affrontare le sconfitte e i fallimenti, per stare insieme agli altri senza averne terrore.

✴️ Conclusione.
Queste sono le riflessioni che ha suscitato in me il racconto. Forse al di là dell’intenzione dell’autore e del curatore. A riprova dell’esattezza dell’aggettivo “spirituale”³, scelto nel titolo, come termine evocativo, capace di indicare un contenuto che eccede l’univocità del significato, per moltiplicarsi nella pluralità dei sensi che abitano l’umano.

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Note.

1. Racconti spirituali, a cura di Armando Buoaniuto, con uno scritto di Gabriella Caramore, Einaudi, Torino 2020. Le immagini di Philip Mckay sono state autorizzate dall'autore (nella prima di copertina di Racconti spirituali, è inserita l'immagine "Arcangel" dello stesso artista.
2. I riferimenti e i dialoghi riportati nel post sono ripresi da Racconti spirituali, cit., pp. 21-25. 
3. Al termine "spirituale" ed al suo campo semantico sono dedicate pagine intense dello scritto di Gabriella Caramore, sopra citato. In particolare, alla pagina XV, si legge: "Racconto «spirituale» è quello che arriva a toccare il cuore vibrante degli esseri. E penetra nella mente di chi legge come una lama d'acciaio che ferisce e che splende". Si segnala anche la bella presentazione del testo Racconti spirituali qui.

12 commenti:

  1. Grazie per il commento al racconto di Guareschi.
    L'ho appena letto nella raccolta di Bonaiuto.
    "Racconti spirituali" un lampo di luce....

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    1. Sì, un lampo di luce...
      "Un libro deve essere un'ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi" (Kafka, lettera all'amico Oskar Pollak, 1903, citata nel saggio introduttivo di Gabriella Caramore).

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  2. A me è piaciuto tanto tanto tanto. Invito insegnanti, genitori e giovani in formazione e tutti a leggerlo. Ci sono dentro una riflessione e una dolcezza di autoricerca e perdono che sconvolgono.

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    1. Grazie cara Valeria. Sì, è un racconto che lascia un sentimento di dolcezza, soprattutto per la figura di Campora: per la sua fragilità ed il suo enigma, per il suo impaccio e la sua poesia... per le sue paure.

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  3. è una splendida e poetica riflessione, grazie. non clicco sul video, non ho altro spazio mentale (stanchezza estrema)

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    1. Buona serata Roberta e buon riposo. Nel video viene letto il racconto contenuto nel testo citato, nella forma dell'audiolibro che io trovo molto efficace, anche perché si può ascoltare e gustare facendo altre cose, con tranquillità.

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  4. Ho ascoltato il racconto...mette un brivido, soprattutto alla fine, e penso che la tua lettura, cara Rossana, possa essere pienamente condivisibile.
    Mi colpiscono molto le tue parole e i tuoi giusti interrogativi:
    "...E quindi lo spazio per coltivare la poesia, per promuovere il pensiero raccolto e creativo, per affrontare le domande di senso e di valore è molto ridotto, lasciato alla sensibilità di ciascun docente. Del resto, nella società in cui viviamo, qual è il peso della poesia, della letteratura, della filosofia, del silenzio?"...
    Ecco, appunto! E grazie di cuore!!!

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  5. Ciao Annamaria cara. Aggiungo, pensando a te e alla tua opera di alta divulgazione musicale: "qual è il peso della musica?"

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  6. Da ex docente il tuo scritto mi ha commosso. Appena potrò, ascolterò l'audio che hai condiviso e magari mi regalerò il libro. Forza Rossana, forza colleghe e colleghi ancora in servizio, siete la mia speranza per il futuro... Un abbraccio.

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  7. Grazie Maria del tuo calore e della tua vicinanza. Continuare a credere nella scuola, nonostante le tante difficoltà, nei volti di questi ragazzi che vediamo attraverso lo schermo e che abbracciamo con lo sguardo... vuol dire continuare a credere nelle ragioni della vita (come dice Recalcati nel suo recente articolo "La scoperta della scuola"). Un caro abbraccio.

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  8. Molto bello il racconto e anche le tue riflessioni. A me Campora ha fatto venire in mente parecchi miei pazienti adolescenti che stanno chiusi quasi sempre in camera loro perché hanno paura del mondo, di ciò che c'è fuori dalla loro camera, sentendosi soli, diversi e incapaci di vivere una vita normale. Il grande problema è che generalmente vengono considerati malati che devono guarire e non persone che hanno un grande dolore da ascoltare.

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  9. Grazie per la testimonianza autorevole che proviene da un punto di osservazione privilegiato. Sono d'accordo: il disagio esistenziale - che può diventare via per l'acquisizione di una profondità interiore e di una maturità umana - trova scarsa accoglienza nella nostra società votata prevalentemente all'arrivismo.

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