In occasione dei prossimi 80 anni...
Di Gian Maria Zavattaro
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Robert William Buss, Il sogno di Dickens, 1875 |
Gian Maria procedeva titubante verso
l’appuntamento conviviale con i vecchi compagni di classe di tanto tempo prima. Aveva accettato l’invito
con fatica: erano anni che non li vedeva e chissà la faccia di tutti nello scoprire quanto il
tempo aveva segnato ciascuno: barbe
bianche, capelli laddove sopravvivevano, pance e pancette ecc.ecc.
“Che fine avranno fatto i trascorsi
pseudorivoluzionari? Finiti i trastulli della giovinezza, quanti si erano convertiti al soffiar dei venti dei potenti di
turno, ombrello protettivo dei propri affari e scalate sociali, politiche,
culturali?”
Lui no, lui puro (fino a un certo punto!),
coerente (non sempre…) con le sue idee di impegno sociale ed accoglienza. Travèt sino in fondo (quello sì), aveva combattuto nel profondo per anni ogni giorno la sua battaglia. L’amore, la famiglia, l’amicizia, il lavoro, l’impegno
per gli altri - specie gli ultimi e penultimi - erano stati la sua forza motrice. Sicuro? Sperava di sì…
Si augurava di passare qualche ora lieta
e nostalgica, se solo avessero tutti
mantenuto l’allegria sincera e compagnona di
momenti indimenticati, quando, inconsapevoli, assaporavano insieme le piccole gioie gratuite e spensierate della vita.
Gli altri erano già arrivati e si
davano ai rituali convenevoli. Silvano lo
vide approssimarsi: “Ma guarda! C’è anche lui!” e si voltò a conversare con… chi? Ah, doveva essere Renato, l’umile compagno
capace di sopportare tutti. “C’è anche
lui!?? Non mi aspettava!” Sorrisi smorzati, qualche imbarazzo, pochi abbracci, sguardi sfuggenti o
sorpresi, volti guardinghi. Altra banale battuta forse di Valerio: ”Ehi, non
sei affatto cambiato! Ma come fai?...”. Eh già: Silvano e Renato invece sì, invecchiati
dentro, anche se abilmente mascherati dal
vestito “casual” (quello che costa da mille euro in su), imparagonabile alla propria
decorosa classica “vestimenta” odorosa di naftalina pluriannuale,
lui rigorosamente unico a portare la cravatta, per di più viola, in un mondo in
cui solo i travèt la portano ancora con
dignità.
“Che succede? - pensò - Non li riconosco più”. Ecco Aroldo: allora già riconosciuto leader
della classe, oggi onorevole pluridivorziato (si diceva che la sua “fidanzata”, una biondona non si sa di
dove avesse l’età della nipotina) con una carriera politica invidiabile e di
fatto invidiata. Poco distante , ma non troppo discreta, la scorta di 4 persone
attente al via vai della gente. Già - se
ne era dimenticato – era il nuovo sottosegretario, con la sua faccia da
madonnina infilzata, tutto preso dalla sua sfrenata fantasia di essere onnipotente ombelico
del mondo.
Renato - lo ricordava mite e di
poche parole- fu l’unico ad abbracciarlo con calore commosso, traendolo in
disparte: “Che bello ritrovarti. Girava la voce che non saresti venuto… sai … la
tua salute… Hai fatto bene a venire: ti
ricordi gli ardori e le speranze di
allora? Io, da modesto giornalista,
cerco ogni giorno di rimanere fedele alle promesse di allora, voce che
grida nel deserto. E tu…”, ma fu richiamato imperiosamente da Silvano. “Torno
subito” ed attraversò guardingo la strada molto trafficata. Gli capitò tra i
piedi Gino, dirigente di non so quale importante azienda pubblica, che si profuse in
un sacco di melensaggini, riflesso condizionato dei suoi abituali
intensi sforzi di piacere a tutti i costi, pur di essere accettato e fare carriera. Aloisio invece - quello senza spina
dorsale che grazie al padre-padrone aveva fatto carriera all’università, non
innocente vittima sacrificale delle ambizioni paterne e del nepotismo imperante
- passeggiava insofferente su e giù per il marciapiede, attaccato al suo
cellulare, ora debolmente negando ora vigorosamente o mestamente asserendo, di sicuro in contatto con il
vecchio irriducibile padre…
E tutti parevano in attesa di qualcosa. “Ma che cosa vogliono?
Che ognuno reciti come Silvano o Valerio
la sua commedia e faccia il bilancio di
una vita riuscita a metà? Ma guardali quei due: stanno presentando
l’immagine di sé che desiderano vedersi
confermare dagli altri. Guarda, guarda! L’espressione, le parole, i gesti, la postura,
persino la pettinatura!”. ”Siete tutti
miei ospiti, forza, divertiamoci, non perdiamo tempo perché fra tre ore esatte
devo essere a Montecitorio”. Il pranzo a 6 stelle (o 7?) era staro prenotato e offerto ovviamente
da
Silvano. Gian Maria stava attraversando
la strada, rigorosamente sulle strisce, quando improvviso, a velocità pazzesca,
gli piombò addosso un bolide rombante e … zac!
Si
risvegliò dal sogno, ansante, incupito, ma subito risollevato. Respirò l’aria
della veglia. Non aveva mai avuto amici con quei nomi. Da quale inconscio erano spuntati? I suoi erano Andrea, Sandro,
Mario, Franco, Claudio, Graziano, Cesare, Riccardo, Giuseppe, Rosario. Doveva vedersi con loro
l’indomani, dopo il pranzo che la sua dolce amatissima mogliettina gli aveva
promesso: una leggera degustazione di leccornie liguri, la sua
preziosa specialità. E poi l’appuntamento alla foce, per offrire la vista del
mare e insieme stabilire dove andare a ricaricarsi, a capire il mondo, a discutere che cosa continuare a fare nel
loro piccolo per rendere più bello ed
umano il globo terracqueo. Dieci amici,
ognuno con le sue debolezze e grandezze, tutti sinceramente animati da un meraviglioso
amore per la vita altrui e la propria, fieri di appartenere alla gente comune e
per nulla dispiaciuti di essere dei travèt.
Una scadenza che chiede conferme, che suscita curiosità, che invita alla ferma testimonianza. Imbarazzo nel controllo documenti e piena convalida dei propositi di una vita. Che gioia trovarmi in questa compagnia! Un lungo abbraccio da Rosario 🍀🤗☮️🎈
RispondiEliminaGrazie a te, impagabile Rosario!
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