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martedì 18 febbraio 2025

Favola semiseria, tra sogno e realtà

In occasione dei prossimi 80 anni...

Di Gian Maria Zavattaro

Robert William Buss, Il sogno di Dickens, 1875

Gian Maria procedeva titubante verso l’appuntamento conviviale con i vecchi compagni di classe di tanto tempo prima. Aveva accettato l’invito con fatica: erano anni che non li vedeva e chissà  la faccia di tutti nello scoprire quanto il tempo aveva  segnato ciascuno: barbe bianche, capelli laddove sopravvivevano, pance e pancette ecc.ecc.
“Che fine avranno fatto i trascorsi pseudorivoluzionari? Finiti i trastulli della giovinezza, quanti si erano  convertiti al soffiar dei venti dei potenti di turno, ombrello protettivo dei propri affari e scalate sociali, politiche, culturali?” 
Lui no, lui puro (fino a un certo punto!), coerente (non sempre…) con le sue idee di impegno sociale ed accoglienza. Travèt  sino in fondo (quello sì), aveva  combattuto nel profondo per anni  ogni giorno la sua  battaglia.  L’amore, la famiglia, l’amicizia, il lavoro, l’impegno per gli altri - specie  gli ultimi e penultimi - erano stati  la sua forza motrice. Sicuro?  Sperava di sì…
Si augurava di passare qualche ora lieta e nostalgica, se solo avessero tutti mantenuto l’allegria sincera e compagnona di  momenti indimenticati, quando, inconsapevoli, assaporavano insieme  le piccole gioie gratuite e spensierate della  vita.
Gli altri erano già arrivati e si davano ai rituali convenevoli.  Silvano lo vide approssimarsi: “Ma guarda! C’è anche lui!” e si voltò a  conversare con… chi?  Ah, doveva essere Renato, l’umile compagno capace di sopportare tutti.   “C’è anche lui!?? Non mi aspettava!” Sorrisi smorzati, qualche  imbarazzo, pochi abbracci, sguardi sfuggenti o sorpresi, volti guardinghi. Altra banale battuta forse di Valerio: ”Ehi, non sei affatto  cambiato! Ma come fai?...”.  Eh già: Silvano e Renato invece sì, invecchiati dentro, anche se  abilmente mascherati dal vestito “casual” (quello che costa da mille euro in su), imparagonabile alla propria  decorosa classica  “vestimenta” odorosa di naftalina pluriannuale, lui rigorosamente unico a portare la cravatta, per di più viola, in un mondo in cui solo i travèt la portano ancora con  dignità.
“Che succede?  - pensò - Non li riconosco più”.  Ecco Aroldo: allora già  riconosciuto  leader  della classe, oggi onorevole pluridivorziato (si diceva che  la sua “fidanzata”, una biondona non si sa di dove avesse l’età della nipotina) con una carriera politica invidiabile e di fatto invidiata. Poco distante , ma non troppo discreta, la scorta di 4 persone attente al via vai della gente. Già  - se ne era dimenticato – era il nuovo sottosegretario, con la sua faccia da madonnina infilzata, tutto preso dalla sua sfrenata fantasia di essere onnipotente ombelico del  mondo.
Renato - lo ricordava mite e di poche parole- fu l’unico ad abbracciarlo con calore commosso, traendolo in disparte: “Che bello ritrovarti. Girava la voce che non saresti venuto… sai … la  tua salute… Hai fatto bene a venire: ti ricordi gli ardori e  le speranze di allora? Io, da modesto giornalista,  cerco ogni giorno di rimanere fedele alle promesse di allora, voce che grida nel deserto. E tu…”, ma fu richiamato imperiosamente da Silvano. “Torno subito” ed attraversò guardingo la strada molto trafficata. Gli capitò tra i piedi Gino, dirigente di non so quale  importante azienda pubblica, che si profuse in un sacco di melensaggini,  riflesso condizionato dei suoi abituali intensi sforzi di piacere a tutti i costi, pur di essere accettato  e fare carriera. Aloisio invece - quello senza spina dorsale che grazie al padre-padrone aveva fatto carriera all’università, non innocente vittima sacrificale delle ambizioni paterne e del nepotismo imperante - passeggiava insofferente su e giù per il marciapiede, attaccato al suo cellulare, ora debolmente negando ora vigorosamente o mestamente  asserendo, di sicuro in contatto con il vecchio irriducibile padre…  
E tutti parevano  in attesa di qualcosa. “Ma che cosa vogliono? Che ognuno  reciti come Silvano o Valerio la sua  commedia e faccia il bilancio di una vita  riuscita a metà?  Ma guardali quei due: stanno presentando l’immagine di sé che  desiderano vedersi confermare dagli altri. Guarda, guarda! L’espressione, le parole, i gesti, la postura, persino la pettinatura!”. ”Siete tutti miei ospiti, forza, divertiamoci, non perdiamo tempo perché fra tre  ore esatte  devo essere a Montecitorio”. Il pranzo a 6 stelle (o 7?) era staro prenotato e offerto ovviamente da Silvano.  Gian Maria stava attraversando la strada, rigorosamente sulle strisce, quando improvviso, a velocità pazzesca, gli piombò addosso un bolide rombante e … zac!

Si risvegliò dal sogno, ansante, incupito, ma subito risollevato. Respirò l’aria della veglia. Non aveva mai avuto amici con quei nomi. Da quale inconscio  erano spuntati? I suoi erano Andrea, Sandro, Mario, Franco, Claudio, Graziano, Cesare, Riccardo,  Giuseppe, Rosario. Doveva vedersi con loro l’indomani, dopo il pranzo che la sua dolce amatissima mogliettina gli aveva promesso: una leggera degustazione di leccornie liguri, la sua preziosa specialità. E poi l’appuntamento alla foce, per offrire la vista del mare e insieme stabilire dove andare a ricaricarsi, a  capire il mondo, a discutere che cosa continuare a fare nel loro piccolo  per rendere più bello ed umano il globo terracqueo. Dieci amici, ognuno  con le sue debolezze e grandezze, tutti sinceramente animati da un meraviglioso amore per la vita altrui e la propria, fieri di appartenere alla gente comune e per nulla dispiaciuti di essere  dei travèt. 

2 commenti:

  1. Una scadenza che chiede conferme, che suscita curiosità, che invita alla ferma testimonianza. Imbarazzo nel controllo documenti e piena convalida dei propositi di una vita. Che gioia trovarmi in questa compagnia! Un lungo abbraccio da Rosario 🍀🤗☮️🎈

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