Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Seguici tramite mail

Iscriviti alla nostra newsletter!

martedì 17 luglio 2018

Pagine di diario. Pensare il presente con Simone Weil.

Un percorso filosofico, storico e politico per illuminare il presente. Sulle tracce di Simone Weil.
Post di Rosario Gillo.
Crisi e sguardo lungo.
Pensare il presente 
con Simone Weil
Di frequente gli eventi si succedono in modo strano. Qualcuno direbbe preordinato. Nelle ultime settimane l’Europa è stata teatro di manifestazioni inconsulte, in buona parte legate al precipitare della questione dei migranti.
Si scava più a fondo e si trova la crescita abnorme della psicologia dell’ansia e della paura, diffusa a piene mani dalla ideologia corrente del SOVRANISMO e del nuovo nazionalismo.
Nello stesso tempo, gli esperti garantiscono: non c’è emergenza!
Nella alternanza: ora passano assurdi umori e con essi si ratificano patti di dismissione dell’accordo di Schengen, di chiusura dei porti, di guerra alle ONG, di incentivazione del tornaconto dei singoli paesi.
O si interrompe il cammino della comunità europea o si certifica che si dà libero sfogo alle peculiarità nazionali.
Comunque, di sicuro, è messo al bando il principio dell’umanità. (Mi ricordo male o sul continente europeo, migrando dall’Africa, cominciò l’avventura dell’uomo?!)
O per difetto di coerenza o per fatto di Resistenza, si intrecciano eventi che evidenziano solidarietà, appelli all’uguaglianza. (Calzante la liturgia di domenica 30/06!)
Mi confortano, d’altra parte, personali letture che affrontano il tema e danno aiuto ad illuminarlo. Da circa un mese mi sono concentrato sulle opere di Simone Weil che ho affiancato ad opere di delucidazione e commento: AA.VV.- pensare il presente con Simone Weil , ed. Effatà, 2017.
In S.W. (1909/1943)¹ si può trovare: passione resistenza riflessione teorica, vita pratica, analisi della questione sociale e indagine a tutto campo sul diritto.

Questione sociale e questione internazionale.
Comincio dalla seconda, per dare subito conto del paradosso al quale siamo giunti. Lo sviluppo, che è sembrato automatico, dei rapporti tra gli Stati, si trova allo stadio attuale della globalizzazione. Domanda: la globalizzazione è uno stadio finale? Quale ragione intrinseca le  va riconosciuta? E la globalizzazione ci garantisce dalla guerra? I diritti umani vi sono contemplati? E quale ruolo hanno avuto nel facilitarla?
Alle spalle è presente, in maniera ingombrante, lo Stato. È finita l’epoca degli Stati?

Lo stato moderno.
Simone Weil, 
Il libro del potere
Mi è necessaria una piccola digressione storica sulla nascita dello Stato moderno. S.W. parla di Stato con un piglio anarcoide. Mossa da istanze libertarie, nello Stato vede fondamentalmente una “macchina di forza” che esercita Potere, coartando l'esplicazione delle energie vitali dell’essere umano.
Avvenuta nei secoli moderni tra XIV e XVIII secolo, la nascita  dello Stato moderno si è prolungata in alcuni casi (Italia, Germania) fino al XIX secolo. Lo Stato moderno si è costituito sul ceppo di un’autorità centrale, traslando dal piano teologico a quello naturale la fonte del potere. Fondamentalmente accentratore (caso tipico la Francia: - da Richelieu attraverso Napoleone -, ma con qualche peculiare caso di rispetto delle autonomie, molto problematico.
Forza logica richiedeva: unità amministrativa, burocrazia, esercito  stanziale, unità culturale.
La riflessione del giusnaturalismo è stata utilizzata anche a questo fine, pur essendo la sua prospettiva quella del costituzionalismo.
Un discorso serio sarebbe quello che analizzasse combinazioni di costituzione fisica / materiale che va nell’ordine dello stato moderno, anche d’impronta assoluta, e di costituzioni  liberaldemocratiche che si concludono nel principio  di sovranità popolare.
Sulla linea della geopolitica, lo Stato  ha il suo momento storico nei secoli dal XIV al XIX. Il segnale dell’oltre: il campanello d’annuncio della Globalizzazione, che nel presente viaggia a gonfie vele, sta nell’epoca dell’Imperialismo.
In quest’ordine lo Stato avrebbe (si comprenda il senso dei miei condizionali) ragion d'essere: togliere dal disordine l’esercizio della forza e trasferirlo ad una autorità riconosciuta più o meno condivisa.
La stessa “ragione storica” spiegherebbe la sua crisi a vantaggio della Globalizzazione. Un passaggio da commentare.
Su questa stessa linea si muove la scienza politica che gli esperti collocano  tra  Machiavelli e Hobbes.
Senza campanilismo, da entrambi sono stati approfonditi concetti chiave: l’unità-l’esercito stanziale- l’opportunità o meglio il criterio della super individualità (Machiavelli);  lo Stato-corpo artificiale e la logica delle passioni razionali (Hobbes).
Con chiarezza il pensiero di Hobbes fa corrispondere alla concezione meccanicistica della scienza moderna lo Stato macchina.
Eric J. Hobsbawm, 
Il trionfo della borghesia
La sua dinamica porta fino al liberalismo. Quanto nello Stato hobbesiano è potere assoluto e quanto segnatura di limiti quindi liberalismo? Nel crogiolo si dipanano i diritti civili e diritti politici.
Un potenziale di universalità del linguaggio è dentro gli illuministi ed opera attraverso la cifra del cittadino del mondo portando al cosmopolitismo.
La sintonia con le spinte economiche è stata perfetta: già  giunte al tempo del mercantilismo, del traffico triangolare, della spinta coloniale.  Nel punto acme c’è il punto di svolta: la globalizzazione, acclarata dall’imperialismo (ultimi decenni del XIX secolo).
La questione sociale si spiega, nel contesto configurato, come organica affermazione della borghesia, attraverso la gentry, la borghesia degli uffici, i mercanti, l’impresa industriale.
Trionfarono sui tentativi di salvare i “beni comuni” di impronta medievale, mentre il riconoscimento dell’“etica economica” imbastita con austerità ed affarismo dai protestanti calvinisti si diffondeva.
La dottrina del liberismo (Inghilterra 1700, da Locke a Mandeville a Hume) ne è  la cornice ideologica. Così a buon diritto il XIX secolo è chiamato il “secolo della borghesia” (Hobsbawm).
Nella logica di sviluppo dell’impresa industriale (orario di lavoro, lavoro minorile, piaghe sociali, mercificazione del lavoro) si creano le premesse della coscienza operaia.
La bandiera del socialismo appare nel 1848 inglese (la pubblicazione del Manifesto di Marx è della stessa data) e le branche della socialismo si liberano dalle utopie e vanno acquistando un carattere scientifico.
La commistione di antico e moderno porta ad intrecci di anarchia e socialismo, soprattutto nei paesi meno sviluppati.
Asetticamente, nella questione sociale, è intrinseco il tema della Giustizia. Metto una maiuscola per segnare la tensione trascendentale che la attraversa. Guardiamo ad un livello più elevato di giustizia, portandoci oltre la riparazione delle offese il meccanico riequilibrio. In una ristretta angolazione si rimane nella legge del taglione e si arriva al massimo ad un compito che assume il sovrano per svolgerlo equamente.
Il resto è nell’incerta divisione tra riconoscimento dei meriti e criteri dell’uguaglianza. Possono armonizzarsi?

La questione sociale. 
Simone Weil, 
Riflessioni sulle cause della libertà
e dell'oppressione sociale
Adesso do inizio ad una disamina puntigliosa, per enumerare, uno ad uno, gli elementi che compongono la questione sociale. Prima di tutto la propensione dell’essere umano a vivere in relazione, quindi la qualità di senso data al lavoro che svolge un uomo. L’esistenza o meno di fini (delle capacità umana di agire secondo fini). La misura: di necessità e libertà. L’insieme è la combinazione di potere e libertà. È un gioco di determinismo e necessità, di calcolo, di antropologico conflitto di interessi umani?
Per S. W. Il potere schiaccia, nasce esclusivamente dalla forza e mira al suo trionfo. La libertà potrebbe avere chances di vittoria? A tal proposito bisogna aprire il velo sul divario (diverbio) tra quei teorici che cantano le lodi della libertà, anzi delle libertà al plurale. Il miglior frutto del liberalismo - è il caso di dirlo -  è il pluralismo.
Fatte le lodi, analizziamo a fondo la genesi della libertà. Ha a che vedere con il mondo del fare, e da qui discende una discrepanza tra le capacità e la sveltezza di prendere l’iniziativa e di muoversi verso uno scopo. Tale scopo riguarda il miglioramento del proprio status.
S.W, valuta tutto ciò esaminando la filosofia di Hobbes, di Spinoza, di Locke e conclude mettendo in risalto il nesso tra libertà e potenza (Spinoza scriveva: “potenza d’essere” è da leggere come segno di attività, non di passività).
Come altre volte ella vede dietro questo argomentare la filosofia aristotelica e l’entelechia (potenza-atto).
Ha qualche pregiudizio Simone Weil, ma inquadra in questo modo il liberalismo nel campo dei diritti: “lo spazio del tornaconto”. “Con la rivendicazione dei diritti non si aiuta la giustizia, ma si ambisce a prendere parte ad una spartizione².
Così chiosa F. Pizzolato e mette in dubbio, seguendo il pensiero di Simone Weil, la vocazione universale dei diritti.
Il pensiero liberale, da Locke a Constant a Mill a Popper vedrebbe altra sostanza nella libertà. Niente natura metafisica ma meticolosa tempra etica.
Da tenere distinto invece il neoliberismo, che mischia le carte con il liberismo, che da von Hayeck prende le mosse, assumendo un chiaro risvolto utilitaristico.
Altro perno della dinamica sociale è l’uguaglianza. Di natura o di scopo? Variamente valutata nello “stato di natura”, in virtù delle molteplici e possibili sfaccettature della stesso.
A me sembra che una valutazione si debba esprimere sulla base dei pronunciamenti: l’uguaglianza è un valore? Va posta come fine?
Se questo è il discrimine, l’analisi deve essere fatta sulla “dignità“ del lavoro, su innesti di relazioni lavorative (cooperazione, comunismo).
Tutto ruota attorno alla pregnanza del lavoro. Rifiutato l’appiattimento al concetto di homo oeconomicus, unilaterale, si deve trovare nelle fonti,  nei passaggi filosofici (da Democrito a Giordano Bruno a Dewey) un “cesto di frutti storici” del lavoro umano, capaci di connotarne la ricchezza.

La testimonianza della vita. 
Simone Pétrement, 
La vita di Simone Weil
S.W. ci guida e, nel  breve arco della sua vita, commenta le sue molteplici esperienze mettendoci in guardia dalla tentazione “mefistofelica”: “Faust simbolo dell’anima umana nel suo instancabile perseguimento del bene, abbandona con disgusto la ricerca della verità, diventando ai suoi occhi un gioco vuoto e sterile; l’amore lo conduce solo a distruggere l’essere amato [… ] L’incontro con la bellezza nuova paga, ma solo per un attimo […] E infine al momento della morte, giunge a presentire la felicità piena, raffigurando una vita da trascorrere liberamente tra un popolo libero, occupata per intero da una fatica penosa e pericolosa, ma compiuta in  fraterna cooperazione.”³ 
Punta sulle relazioni, indica fraterna cooperazione. 
Si può avere così un orizzonte denso di sviluppi nell’apertura sociale dell’uomo. Non lo spirito, pian piano rattrappito, di sopravvivenza, no soprattutto al “bellum omnium contra omnes”, no al reticolo degli interessi che nascono dall’”io”.
Nelle utopie del socialismo (da Owen a Proudhon) si può trovare un vario campionario delle spinte di felicità, complemento del lavoro, correlate alla produzione in forma cooperativa.
Possono essere dei punti di riferimento, ma Simone Weil guarda alla fraternità⁴.
Impostata così la questione sociale, soffre lo sfruttamento e si scontra con la sua unilaterale parzialità, mutuata dal privatismo. È uno spiraglio per guardare ad un orizzonte che può combinarsi anche con lo specifico della tradizione orientale. 
Per Simone Weil andare all’impersonale significa allontanarsi dalla propensione dell’io, compiere una de-creazione (de-nudazione), sentire il “pieno” del vuoto . Ma senza fermarsi al nichilismo e quindi cominciando una ri-creazione, “una seconda nascita” nella quale sentire la spinta verso l’Altro e verso il mondo.
In questo orizzonte S. W. recupera un’influenza dalle religioni orientali e dalla dottrina della non violenza di Gandhi.

Il tema dell'ingiustizia sociale.  
Debbo confessare qui che il mio scritto ha almeno due fronti di lettura. In questa seconda, chiarisco che il mio percorso sugli scritti di Simone Weil è occasione per venire a capo di un personale chiodo fisso: il confronto con la immutabilità dell’ingiustizia nel seno della compagine sociale. Aggravato dalla coscienza di un ruolo storico rivestito dalla Chiesa nella difesa del disordine.
Premetto che il regno di Dio, compreso nella Chiesa, non è il suo ritratto compiuto, ma solo l’inizio, con un invito a fare meglio e contribuire a migliorarne l’adeguamento alla Giustizia divina (Dossetti).
Guia Risari, Il taccuino di Simone Weil 
(con illustrazione di Pia Valentinis)
Non sono per nulla convinto della convenienza della disparità come premessa per lo sviluppo di tutte le potenzialità finalizzate verso un’armonia di risultati. Grave è  stato lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, spiegabile solo come effetto dell’ambizione e della prepotenza dell’io ( S.W.).
Ancora più grave è lo sfruttamento oggi, quando i dati ci parlano di aumento quantitativo e di sofisticazione dei mezzi di sfruttamento.
È inconfutabile il dato dell’incremento della quantità di ricchezza su un numero che sempre più si va assottigliando di beneficiari.
Non mi manca la consapevolezza che la questione non si riduce solo al dato materiale, ma è certo che la povertà “grida vendetta” (espressione forte, ma credo nella coscienza). La filosofia ha sempre esercitato pressione sulla coscienza  per il miglioramento.
Così ho vissuto la riflessione della Weil e in questa direzione suggerisco una attenta considerazione suffragata dalla sua personale testimonianza.

Note.

1. Da questo momento la sigla S.W. per Simone Weil.
2. AA.VV., Pensare il presente con S.W., Effatà  ed. 2007 p. 241. 
3. Ibidem, p.178 ripreso da Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale Adelphi 1983. 
4. Il capitolo di F. Pizzolato è molto ricco. Passa in rassegna il percorso che conduce all’impersonale per allontanarsi dai fini di scopo ,congiunti con il piano giuridico del diritto.  Segue il confronto con Mounier ed è attento al contributo di Lévinas. Esamina a fondo il prospetto dritti/doveri e soprattutto offre documentazione e bibliografia sulla riflessione dei Costituenti. Tra questi, Dossetti. La conclusione porta alla scelta della fraternità. 
5. Nell’opera citata si confronti il saggio di Rita Fulco, soggetto ed impersonale negli ultimi scritti di S. W.

3 commenti:

  1. Un post tanto impegnativo quanto conturbante nelle sue precise provocazioni e sollecitazioni. Post da meditare (in particolare il tema della globalizzazione, dell’ingiustizia sociale, dell’eguaglianza, della povertà che “grida vendetta”, della “fraterna cooperazione”…) e soprattutto da tradurre, sull’esempio di S. Weil, nella propria personale testimonianza, ogni giorno, del quotidiano ricominciamento di “una ricreazione, una seconda nascita, nella quale sentire la spinta vero l’Altro e verso il mondo”. Grazie, caro Rosario.

    RispondiElimina
  2. Il mio grazie va prima a voi due che accogliete e diffondete i miei post. L’impegno è comune e cammina sulla Speranza, grande virtù teologale e spinta del fare consapevole.
    In tempi tristi diventa ancora più forte l’istanza di “alzare l’asticella” e di indicare i veri “ obblighi umani”

    RispondiElimina
  3. Post che da solo è un trattato di etica e politica. Grazie. Buona giornata.

    RispondiElimina