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venerdì 19 giugno 2020

Dedicato ai pensionati vecchi e nuovi.

Riflessione esistenziale sulla pensione.
Post di Rossana Rolando
Illustrazioni di Alessandro Gottardo (Shout).

Alessandro Gottardo (Shout), 
Valigia
Provare a scrivere qualche riflessione sul pensionamento di persone che per lunghi anni hanno accompagnato le mie giornate lavorative, come compagni e compagne di strada, a cui mi sono nel tempo affezionata, non è semplice.
Soprattutto se tende ad uscire dal politically correct, che considera la pensione come la terra promessa da tutti agognata.
Certo vedo i miei colleghi, futuri pensionati, felici per questa tappa raggiunta, vissuta con un misto di celata malinconia - per chi ha più amato il proprio lavoro - e di manifesta soddisfazione, direi anzi liberazione.
Perché allora mi assale questo senso - sottile, pervasivo - di tristezza?
Forse proietto su di loro sentimenti che sono solo miei. Rileggo la pagina di Simone de Beauvoir, tratta dal romanzo L’età della discrezione. Parla proprio di un’insegnante:
Alessandro Gottardo (Shout), 
Coltivare il talento
“Mi ricordo del mio primo incarico, del mio primo corso, le foglie morte che cricchiavano sotto i miei piedi, nell’autunno provinciale. Allora, il giorno in cui sarei andata in pensione – dal quale mi separava un lasso di tempo che era quasi il doppio degli anni che avevo allora – mi sembrava irreale addirittura come la morte. Ed ecco che è arrivato già da un anno. Ho oltrepassato altre linee, ma più sfumate. Questa, ha la rigidezza di una serranda di ferro”.
Ecco, sento forte questa “serranda di ferro”.
O, ancor più duramente, avverto la cruda verità di quanto la stessa Simone de Beauvoir afferma, ne La Terza età: “V’è quasi sempre un’ambivalenza nel lavoro, che è al tempo stesso un asservimento, una fatica, ma anche una fonte d’interesse, un elemento di equilibrio, e un fattore di integrazione alla società. Quest’ambiguità si riflette nella pensione, che si può considerare come una specie di grande vacanza, o come una caduta tra gli scarti”¹.
Un pensiero scomodo, lo capisco bene.
C’è poi un altro aspetto che rende il momento difficile.
In qualche modo è il linguaggio dell’addio che risulta duro da pronunciare.
Alessandro Gottardo (Shout), 
[Viale della musica]
Certo rivedrò i cari colleghi in altri modi, tempi, luoghi, ma non nella consuetudine quotidiana dei corridoi, lungo le scale, nei freddi mattini d’inverno. 
Perciò non vorrei salutare, come dice Gianmaria Testa in una sua bella canzone, dal titolo Lasciami andare:  “perché io non lo capisco/ il tempo giusto del saluto”. E ancora: “Non torneremo mai/ sui nostri passi mai/ non ci sarà più posto/ neanche di nascosto/ nei giorni andati mai/ non torneremo più/ o solo ricordare/ che il tempo del ricordo/ è il tempo del ritardo/ e non fa ritornare”.
Eppure, nella vita ci sono tanti addii, inutile nasconderlo.
Derrida, sull’onda di Lévinas, un filosofo che amo molto, spiega questa parola così evocativa:
“Penso che la parola addio possa significare almeno tre cose: 1) Il saluto o la benedizione data (prima di ogni linguaggio constativo, ‘addio’ può significare sia ‘buongiorno’, sia ‘ti vedo’, ‘vedo che sei qui’, io ti parlo prima ancora di dirti qualsiasi altra cosa – e in Francia capita che si dica addio nel momento dell’incontro e non della separazione). 2) Il saluto o la benedizione data nel momento di separarsi, o di lascarsi, talvolta per sempre (e non lo si può mai escludere): senza ritorno quaggiù, nel momento della morte. 3) L’ad-Dio, il per Dio o il davanti a Dio prima di tutto e in ogni rapporto all’altro, in ogni altro addio. Ogni rapporto all’altro sarebbe, prima e dopo tutto, un addio”².
Alessandro Gottardo (Shout),
[Albero della vita]
Appunto, ogni rapporto ha in sé il germe dell’addio: niente di strano - si dirà - che la pensione sia anche questo.
In conclusione però, al di là di ogni facile retorica, rifuggita volutamente in questo post, vi è forse qualcosa in grado di mitigare la malinconia che accompagna ogni addio, ogni fine, ogni linea superata.
Ed è l’idea della rinascita. Initium ut esset, creatus est homo  (Agostino: L’uomo è stato creato affinché ci fosse un inizio). La frase ha profondamente influenzato Hannah Arendt, la filosofa che concepisce la vita come cominciamento sempre nuovo.
Ecco, solo se vissuta in questo modo, mi pare che la pensione possa essere un traguardo, nel senso etimologico del guardare attraverso, vedendo in essa un nuovo inizio.
Dedico dunque a tutti i pensionati vecchi e nuovi questa citazione tratta da Vita activa: “Se lasciate a se stesse, le faccende umane possono solo seguire la legge della mortalità, che è la più certa e implacabile legge di una vita spesa tra la nascita e la morte”, se non fosse per la facoltà di “iniziare qualcosa di nuovo, una facoltà che è inerente all’azione, e ci ricorda in permanenza che gli uomini, anche se devono morire,  non sono nati per morire ma per incominciare”.³

Note.
1. Simone de Beauvoir, La terza età, Einaudi, Torino 2002, p. 244.
2. Jacques Derrida, Addio a Emmanuel Lévinas, Jaka Book, Milano 1998, p. 69.
3. Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 2006, p. 182. 

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14 commenti:

  1. Mi sento molto in sintonia con quanto scrivi. Ogni volta si sente la stretta al cuore, la serranda che si chiude... è sempre difficile lasciare...ma è anche bello, per me estremamente gioioso "essere aperti alla sorpresa". Scrivo di seguito una citazione di fr Roger di Taizé, in cui mi rispecchio:
    "la vita chiede di andare di scoperta in scoperta, da un inizio ad un altro inizio. Cercare in ogni situazione la pace del cuore. E scaturisce l'insperato"
    Grazie di cuore. Un abbraccio Patrizia

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    1. Molto bella questa citazione di Roger di Taizé che aggiunge, rispetto alla dimensione prettamente filosofica della Arendt, l'elemento provvidenzialistico, dal quale scaturiscono sentimenti di pace e di speranza in ogni situazione di vita. Grazie, cara Patrizia, sono felice della sintonia. Un abbraccio.

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  2. Bellissimo e di efficacia salutare il pensiero della Arendt. Incominciare, ricominciare, iniziare, innovare, rinnovare ovvero come modulare la nostra risposta alla morte, alla sua insensatezza, alla sua insostenibilità mentale, al suo assurdo mistero.
    (Rossana grazie per le considerazioni, ancora una volta, che amplificano la visuale).

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    1. Sì, questo è il vero punto ("la nostra risposta alla morte, alla sua insensatezza, alla sua insostenibilità mentale, al suo assurdo mistero") che collega le riflessioni dal sapore "tragico" di Simone de Beauvoir o di Derrida... con il pensiero della rinascita della Arendt, un pensiero che si pone proprio in aperta contrapposizione con le visioni filosofiche dell'uomo come "essere per la morte". Se non si sente "questo punto" tutto risulta banalizzato.
      Sempre mentalmente vicine io e te. Grazie, un abbraccio grande.

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  3. Bello questo post che ha il sapore di una meditazione Zen. Bello il fluire tra un pensiero e l'altro radicato nell'esperienza occidentale del mondo e della realtà. Nell'epoca del finimento di una civilizzazione in cui noi siamo stati chiamati a vivere (io oggi ho 63 anni ed il 1° dicembre 2024 mi hanno detto andrò in pensione) ogni area culturale di questo giardino che è la Terra fiorisce della più splendida coscienza dell'esistere. Il ricominciamento non lo vedremo ma cosa importa se questo crepuscolo illumina l'universo intero?

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    1. Grazie del suo commento "tra Oriente e Occidente", che allarga (così mi pare) la riflessione ad una dimensione cosmica, al tramonto della civiltà occidentale, come è stato teorizzato da molte parti.
      Un saluto cordiale.

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  4. La vita è una serie di ricominciamenti, più che di addii. E andare in pensione significa potersi confrontare con esperienze straordinarie che possono riempire la vita con la stessa intensità di un lavoro amato.

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    1. Ci sono sicuramente esperienze molto ricche di persone che hanno saputo interpretare l'età della pensione in modo significativo, per sé e per gli altri. Grazie, buona giornata.

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  5. Un crescendo di riflessioni , un crescendo di emozioni. Nella mia pelle ho provato la chiusura, ora sto provando di continuo la gioia del nuovo inizio. Grazie.

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  6. Grazie Rosario! Mi fa particolarmente piacere il tuo coinvolgimento emotivo, proprio di chi ha vissuto con intensità - nella pelle - queste fasi della vita. Del resto il post parte proprio da una dimensione affettiva. Un caro abbraccio.

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  7. Profonde queste considerazioni, anche se le sento venate di tristezza. Io sono in pensione ormai da 11 anni e, per quanto la mia vita lavorativa sia stata sostanzialmente serena, concluderla non mi ha lasciato nostalgie o la sensazione della "serranda di ferro". Ho avuto invece la gioia di voltare pagina e dedicarmi ad altro.
    Della mia vita precedente mi è rimasta la bellezza di incontrare le persone ritrovando - anche a distanza di tempo - una gioiosa e spontanea capacità di dialogo come se ci fossimo lasciate solo ieri. Credo che tutto questo sia il frutto della condivisione quotidiana di tanti cose grandi e piccole, talora difficili, talaltra meno come in ogni lavoro. Una quotidianità e una consuetudine che però ci costruiscono rendendo solide certe relazioni talora anche al di là delle parole.
    Grazie, Rossana, e buon pomeriggio!

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    1. Cara Annamaria, grazie per la condivisione della tua esperienza, ricca di spessore umano. Credo possa convivere con la tristezza degli "addii". In fondo la vita è polifonica e accoglie anche i contrari. Un grande abbraccio, Rossana.

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  8. Di queste riflessioni, da prof. in pensione da pochi mesi, ho bevuto ogni virgola e ogni accento. Credo che la vita in sé sia una continua morte e resurrezione, anche se certi addii sono più significativi di altri. L'importante è avere sempre passioni, interessi e progettualità sempre nuove, vive e tenaci. Grazie, cara Rossana.

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  9. Ho pensato anche a te scrivendo questo post. Grazie del tuo commento coinvolto, sentito. Bella l'idea di una continua "morte e resurrezione". Un grande abbraccio.

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