Post di Rossana Rolando.
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Mauro Bonazzi, Creature di un sol giorno
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Nel libro di Mauro Bonazzi, Creature di un sol giorno, il termine effimero ha un posto centrale. In esso è racchiusa la consapevolezza greca del mondo umano.
💥 Effimeri. Lo si trova già nelle prime pagine ephemeros (epì – emèra: che dura un giorno) per indicare la condizione dell’uomo, la sua transitorietà, data dall’ineluttabilità della morte, presa terribilmente sul serio, come il vero nodo da cui nasce il pensiero filosofico. Essa è inaccettabile, non tanto nella sua datità (sappiamo di dover morire), quanto piuttosto nel suo potere di nullificare la vita, svuotandola del suo significato. A che vale una vita che oggi c’è e domani non c’è più? Che segno lascia nel mondo la vita individuale?¹. Essa è come le foglie. Il riferimento a Glauco, in risposta a Diomede, nell’Iliade, è eloquente:
“Come stirpi di foglie, così le stirpi degli uomini;
le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva
fiorente le nutre al tempo di primavera;
così le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra dilegua”.²
Ma il termine effimero lo si ritrova anche alla fine del testo, in un ribaltamento della prospettiva iniziale, che proprio nell’esposizione alla temporalità sembra suggerire la bellezza labile dell’esistenza, preziosa proprio perché fuggevole. La vita è effimera come una farfalla o come un fiore che dura un giorno. E’ bella, è tutto quello che abbiamo – dice Mauro Bonazzi, al termine del suo percorso -, ma è fragile, caduca.
«“La morte è madre della bellezza”. E’ paradossale, forse; è sicuramente doloroso, ma probabilmente è proprio così.»³