Il valore del racconto sapienziale nella cultura e nella produzione di Walter Benjamin.
Post di Rosario Grillo.Walter Benjamin, Il Narratore, Einaudi, 2011. |
Fa
specie riconoscerla in W. Benjamin,
autore il più delle volte ostico ed oscuro.
C’è
necessità, prima di tutto, che sia intesa non come ricercata tecnica, ma come
una dote naturale. Volendo ancora soffermarci sopra: è un tratto comune alla
intellighenzia ebrea.
Benjamin,
volle il caso, si muoveva tra la necessità di “scrivere per vivere” e
l’intuizione di improvvisi bagliori: immagini e concetti gravidi di profonda
verità.
Improntata
nel 1936, un’operetta, Il narratore, nel pieno di una riflessione da cui
scaturiranno le Tesi sulla filosofia della storia e i Passages.
L’opera
è addirittura commissionata, e deve essere un saggio sul romanziere russo
Leskov.
L’istanza etico-religiosa spinge oltre Benjamin, e ne vien fuori un sottile concentrato di analisi letteraria con il corredo di massime morali.
L’istanza etico-religiosa spinge oltre Benjamin, e ne vien fuori un sottile concentrato di analisi letteraria con il corredo di massime morali.
(Intendo
religiosità in Benjamin, non come ricercata - tanto meno ostentata - corrente di
appartenenza, ma come implicanza e vibrazione del suo argomentare).
Egli
distingue decisamente la narrazione dal romanzo, riconoscendo la prima
debitrice di un legame stretto con l’esperienza e il secondo associato alla
figura dell’individuo.
L’esperienza,
a cui attinge la narrazione, è l’epos, il racconto popolare: dimostrazione della sua discendenza
dalla “sapienza orale”. Come viene confermato dal nesso con la vita
artigianale, l’artigiano essendo l’esempio vivente di un concentrato di
esperienza collettiva e di sagace trasmissione del sapere. (1)
L’esplicazione
è totale quando egli scrive: “Anima, occhio e mano sono collocati… in un solo
e medesimo nesso. Influenzandosi reciprocamente, essi determinano una prassi”.
(2)
Walter Benjamin, Racconti, Einaudi, 2019 |
Sono
i termini con i quali parla del giusto,
attribuendogli la risonanza del tutto nell’uno, cioè la vena mistica.
La
conclusione che trae è perciò: “Il narratore è la figura in cui il giusto
incontra se stesso” (3).
Insomma
si risente tutto il rammarico per la perdita dell’armonia con la natura (ed
anche sociale direi), considerato il passo di carica che sta prendendo la “riproducibilità tecnica”.
Ad
arricchire il testo, nell’edizione Einaudi, è il trittico formato da Benjamin
Alessandro Baricco e Scuola Holden
A. Baricco
accompagna con note ricche e penetranti i capitoletti dell'opera, dichiarando
di aver utilizzato questo saggio con gli alunni della scuola Holden, una scuola
di preparazione all’arte della scrittura e della rappresentazione scenica.
La
scuola Holden, che ha diffuso i suoi centri di preparazione in varie regioni
d'Italia, cura l’iter professionale
chiamando in causa parecchi conosciuti autori della letteratura. (4)
🌟 Note.
(1)”
Possiamo anzi proseguire e chiederci se il rapporto che il narratore ha con la
sua mat, la vita umana, non sia anch’esso un rapporto artigianale. Se il suo
compito non sia quello di lavorare la materia prima delle esperienze..” Il
narratore, Einaudi, p. 85.
(2)
idem, p. 85.
(3)
idem, p. 86.
Ho letto con attenzione e piacere, da profano quale sono circa il tema da te affrontato. Perciò mi soffermo unicamente su alcuni flash che ho colto: 1. “la necessità di ‘scrivere per vivere’ e l’intuizione di improvvisi bagliori” : vorrei aggiungere dal mio punto di vista, la necessità di leggere (nel più ampio significato) per vivere” Oggi per me non è facile spiegarlo. Ma leggere la narrazione non è a sua volta una forma di narrazione? Il leggere quasi un inconscio esercizio spirituale dove tutto si fa vivo ed il sovrapporsi e trasportarsi in altri mondi fanno “pensare” insieme alla meraviglia di incontri inaspettati, a desideri di pace, alla gioia di reciproci doni, ad assaporare tutte le dimensioni della malinconia della gioia del dolore della tristezza dell’allegria della felicità della nostalgia del desiderio dell’amore del rimpianto della speranza…. Appunto “improvvisi bagliori: immagini e concetti gravidi di profonda verità”.
RispondiElimina2. “Il narratore è la figura in cui il giusto incontra se stesso”. Se tacito è il monito, l’invito è palese, rivolto a noi donne ed uomini della società liquida e del consumismo, a guardare nel profondo oltre le apparenze, a non cedere all’assuefazione del non vedere. Non la lettura-sguardo distratta e superficiale, ma critica ed amorosa, pienamente presente, che sappia disvelare ciò che era celato e nascosto (a-letheia) alle nostre vite di corsa. Da profano quale sono, mi pare che anche il leggere sia narrazione…
Grazie per la tua “attenzione “, che svela l’implicito della narrazione.
EliminaBenjamin, che era un grande, forte del suo legame - appartenenza con la cultura ebraica, ritorna alle origini dell’epos, celebrando al contempo verità oracolare, oralità del sapere, comunità nel sapere, profondità e Giustizia ( aspetto insito nella Divinità Sapienziale ). Da qui il profluvio delle sfaccettature, che tu hai voluto ricordare ( malinconia, gioia, tristezza...)
Grazie di quest'approfondimento. Suggestiva l'affermazione: “Il narratore è la figura in cui il giusto incontra se stesso”. Buon mese di agosto.
RispondiEliminaCertamente bisogna passare per la cultura ebraica, propria di Benjamin, per intendere a fondo questa frase è , in essa, la congiunzione. Fatto cio, La luce irradia sulla facoltà della narrazione di parlare del giusto. Grazie e buon agosto!
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