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mercoledì 4 settembre 2019

Incontro di sguardi.

Sguardo e concezione antropologica.
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle opere di Antonello da Messina (1430-1479).

Antonello da Messina, 
Ritratto di Ignoto
L'inferno sono gli altri
(Sartre)
L'uomo è per l'uomo un Dio
(Spinoza)
Lo sguardo degli altri è il più sicuro rivelatore di me stesso
(Mounier)

L’altro giorno per strada ho incrociato una persona mai vista prima (un signore che camminava, come mia moglie ed io, in un sentiero di montagna); per una breve frazione di tempo ci siamo guardati, ci siamo scambiati un lieve sorriso ed ognuno ha proseguito il suo cammino. Fugace incontro, come infiniti altri, che questa volta però ha lasciato il segno e mi ha sollecitato a notturne riflessioni sullo sguardo mio e dell’altro.
Uno dei più strani fenomeni, forse anche il più primitivo a partire dalla nostra infanzia, è la sensibilità che manifestiamo al semplice sguardo degli altri. Sensibilità che trova interpretazioni opposte. C’è chi, come il Sartre de “L’essere e il nulla”, ritiene che lo sguardo altrui paralizzi e violenti, ci cosifichi, ci conferisca una dimensione di inevitabile esistenza alienante. Nel dramma “A porte chiuse” tre persone - chiuse in una stanza, condannate ad essere ognuno schiavo della coscienza altrui, ognuno boia degli altri due - verso la fine del dramma scoprono che la porta è sempre rimasta aperta, ma non sono più in grado di lasciare la stanza, imprigionati nella rete di rapporti che hanno creato.
Antonello da Messina, 
Ritratto di uomo
Sguardo contro sguardo, scacco perenne, ipocrisia sociale, solitudine, conflitto quotidiano tra le pareti domestiche e nelle relazioni sociali: l'inferno, sono gli altri”, se noi esistiamo solo attraverso gli sguardi degli altri, se la nostra vera condanna è quella di essere dominati dallo sguardo degli altri, cui spetterà sempre l’ultima parola, mentre il mondo continuerà con o senza di noi. Sartre esistenzialista non concede sconti nei rapporti con gli altri: il loro sguardo mi fa comprendere che “mi si vede”, per gli altri sono soltanto un me, “uno dei tanti”, un oggetto la cui evanescenza è angoscia insopportabile.
E tuttavia  Sartre più tardi ridimensionerà non poco queste inquietanti estreme posizioni e  nelle sue ultime opere intravedrà una via di salvezza nella comunicazione interumana e nella possibilità di dissolvere “l'Alterità” nella Fratellanza di una comune radice umana.
C’è invece chi ritiene che fin da subito  lo sguardo – a cominciare da quello della madre  sul proprio nascituro e neonato -  sia un appello all'esistenza, ‟il più sicuro rivelatore di me stesso, come dice Mounier. Il miglior specchio per il mio sguardo è lo sguardo di un'altra persona quando si posa su di me. Vi sono sguardi che agiscono lentamente, altri che in un colpo mi rivelano a me stesso. Mediocrità, preoccupazioni, convinzioni, abitudini, pregiudizi che prendevo sul serio ecco che, visti con lo sguardo degli altri, mi appaiono per ciò che sono:  sempre relativi, spesso inessenziali, a volte “grotteschi”. 
Antonello da Messina, 
Annunziata
Lo sguardo degli altri – sia esso rimprovero o appello o promessa - è l’inaudito che mi rischiara, mi rivela nelle mie giuste proporzioni, mi scuote dalla mia sufficienza diventata zavorra: molla salutare, “turbamento delizioso di mescolarsi a una vita sconosciuta”, che è “l’inizio della saggezza”.
Chi ha ragione? Propendo naturalmente per Mounier e spero che la persona sconosciuta da me incontrata l’altro giorno abbia colto la metacomunicazione dei nostri sguardi e sorrisi, così come l’ho percepita io: “forse non ci incontreremo più, fratello, ma si poteva coltivare l’amicizia, capirci, apprezzarci, abbattere difese e maschere, scoprire i volti, condividere le nostre storie, stringerci le mani e, perché no?, camminare per un tratto insieme…”.

13 commenti:

  1. Anche Sartre va collocato nel suo periodo. Noi abbiamo perso la forza di guardare e di scrutare dentro lo sguardo altrui. Fuggiamo spesso lo sguardo per evitare contatti cui non siamo preparati . Preferiamo filtrare lo sguardo attraverso lo schermo delle macchine. In questo modo forse comunichiamo di più ma sotto molti aspetti non riceviamo quel feedback che forse ci spaventa. Oggi comunichiamo sempre più con le macchine. O tramite coperture di noi. Da bambini lo sguardo dei nostri genitori e dei primi contatti, penso sia determinante. L’esistenza parte rassicurata o minacciata davvero in base ai primi sguardi e alle sensazioni primigenie che riceviamo.

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    1. Grazie, gent.le Antonella. Non posso che tristemente concordare con Lei: quando salgo sul treno, sul bus, prendo un pubblico ascensore o cammino per la strada e non incontro che sguardi inchiodati sul proprio cellulare o tablet – persone di tutte le età – , provo dapprima sgomento ( per lo spreco di una risorsa tecnologica, un bene in sé, che ci ha asserviti) e poi il coraggio di insistere nell’incrociare il mio sguardo con tutti coloro che incontro, conoscenti e sconosciuti, come inno alla vita e perché “non possiamo aspettarci di raccogliere i fiori che non abbiamo mai piantato” (Vaclav Havel).

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    2. Vero! Siamo disabituati a reggere lo sguardo , e forse lo vogliamo anche evitare . Nomino la Dottoressa Daniela Lucangeli , neuro scienziata e influencer che nei suoi seminari insiste su questo tema. Non vogliamo conoscerci . Siamo chiusi e utilizziamo la tecnologia anche per mascherarci. Sicuro raccoglieremo quello che seminiamo. Ma io estenderei questo concetto unendolo a quello del controllo. Ci vogliono isolati.. perché siamo più facilmente manipolabili .. grazie a voi!

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    3. Se accettiamo l'assioma che l'uomo è un "animale sociale" come fin da Aristotele si afferma, gli altri non possono essere per noi "l'inferno", ma il nostro completamento: ci umanizziamo a vicenda nel bene e nel male. Questa come punto di partenza valido in una società arcaica. Certamente il procedere di in una società sempre più "colta" -in senso antropologico- ricca di esperienze culturali e di interpretazioni sulla natura umana a fatto sì che si smarrisse la genuinità- intesa come semplicità- delle società "primitive" producendo rapporti complessi e contorti cosicché ciascuno vede nel'altro un diverso: non un di, non un inferno.

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    4. Grazie, gent.le Cettina. Condivido le sue riflessioni. Naturalmente una società sempre più “colta” può non avere nulla da spartire con la cultura, almeno come la intende Gadamer in Elogio della teoria (ed il sottoscritto): è parola della domanda, parola della poesia, ma soprattutto parola della promessa, della riconciliazione e del perdono, “che è come una prima e ultima parola”. E ancora:“La cultura non è ciò che occupa il tempo libero, ma la cultura è quello che può impedire agli uomini di accanirsi l’uno contro l’altro e di essere peggiori di qualsiasi altro animale. Peggiori perché gli animali non conoscono come gli uomini la guerra, cioè il combattere contro i loro simili fino all’annientamento”(o.c., p.24). Grazie ad essa “la diversità, l’inestricabile alterità che divide l’uomo dall’uomo, si fa superabile, anzi viene sublimata nella prodigiosa realtà di un vivere e di un pensiero comuni e solidali”.

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    5. E' ciò che intendevo utilizzando il termine "cultura" infatti ho aggiunto "in senso antropologico" Grazie.

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  2. L’arte vera va molto oltre la maestria, è in grado di rappresentare l’ideale, l’intimita’ e qui Antonello da Messina ci offre l’intensità dello sguardo.
    Gian Maria ne indaga due opposte visioni focalizzandone la sostanza relazionale.

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  3. “The soul, fortunately, has an interpreter – often an unconscious but still a faithful interpreter – in the eye “
    Ho voluto cercare una citazione appropriata - e ce ne sono tante- perché gli occhi sono forse il più autentico medium comunicante . Lo sapevano gli antichi Greci ( ci si potrebbe soffermare sui concetti filosofici derivati). Qui Gian Maria , con pudore quasi, dopo aver presentato il dualismo, centra la qualità amicale- e l’amicizia ha una grande “presenza” nella vita- dello sguardo. Sempre al massimo, Gian Maria!🤗

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    1. Caro Rosario, penso con te che sia l’intensità la sola capace di risolvere l’enigma della sua ambivalenza: non lo sguardo fuggente o sfuggente - che significa altro – ma lo sguardo intenso, limpido e lucido come Antonello da Messina. Rammento qui un post di Rossana che commentava “Il viandante della filosofia” di U. Galimberti, il quale alla domanda sulla perdita della moglie (“Mi racconta che ruolo ha giocato nella sua vita?”) rispondeva: “Si ho proprio la sensazione di aver perso il testimone della propria vita, quasi che la vita potesse accadere soltanto sotto quello sguardo”. E’ quanto mi viene di augurare a te, caro amico, a me ed a tutti: non manchi ad ognuno di noi lo sguardo del testimone della nostra vita. Ciao.

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  4. A parte lo splendore dei dipinti di Antonello da Messina che ho potuto ammirare mesi fa alla mostra allestita a Milano, il contenuto del post è interessantissimo per l’analisi dei diversi aspetti del vedere e la potenza sia positiva che distruttiva che può avere uno sguardo. Due sole considerazioni:
    - Mi viene in mente quanto il "vedere" sia importante sia nel Nuovo che nell' Antico testamento. C'è un bellissimo Salmo che dice più o meno: "Ancora informe mi hanno VISTO i tuoi occhi...". Lo sguardo di Dio sull'essere umano ad accoglierlo ancora prima che nasca...

    - Ma vorrei anche ricordare una piccola esperienza di pochi giorni fa, quando ero in montagna. L'ultimo giorno, mentre tornavo dal sentiero che percorro tutte le mattine, mi ha fermato una donna anziana che da anni porta al pascolo le mucche. Ci incontravamo quasi quotidianamente e abbiamo preso a salutarci. L'altro giorno lei mi ha fermata: "Ciao, torni a casa? Ti vedo tutte le mattine..."
    E praticamente senza conoscerci abbiamo iniziato a parlare con grande familiarità come fossimo state amiche di vecchia data.
    Mi è parso un regalo questo suo sguardo verso di me che si è poi trasformato in dialogo.
    Forse non c'entra molto, ma è stata una cosa bella.

    Grazie di tutto cuore per il post!!!

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    1. Un’esemplare esperienza la sua! Per R. Kapuscinski (L’altro, Feltrinelli, 2015)/ l’incontro con l’altro è “l’evento fondamentale” ed è la sfida del XXI secolo. Egli rivolge ad ognuno l’esortazione di Lévinas: “Fermati. Accanto a te c’è un altro uomo. Incontralo: l’incontro è la più grande, la più importante delle esperienze. Guarda il volto che l’altro ti offre”. E’ allora che si diventa consapevoli che “io sono l’altro” e “se è vero che per me altri sono gli altri, è altrettanto vero che per loro l’altro sono io”. Vivere nell’utopia laica e nella speranza cristiana di trasformare ogni incontro nell’ ”evento fondamentale”: ci sto!

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  5. Ho sempre pensato che Auschwitz sia stato il parto mostruoso di un’assenza di sguardi. Ecco cosa scrive Primo Levi, parlando dello sguardo “mancato” del Doktor Pannwitz, il tedesco che ebbe il potere di decidere se Levi fosse utile nel laboratorio di chimica del Lager: “Ho pensato al doktor Pannwitz molte volte e in molti modi. Mi sono domandato quale fosse il suo intimo funzionamento di uomo; come riempisse il suo tempo, all’infuori della Polimerizzazione e della coscienza indogermanica; soprattutto quando io sono stato un uomo libero ho desiderato di incontrarlo ancora, e non già per vendetta, ma per una mia curiosità dell’anima umana. Perché quello sguardo non corse fra due uomini; e se io sapessi spiegare a fondo la natura di quello sguardo, scambiato come attraverso la parete di vetro di un acquario tra due esseri che abitano mezzi diversi, avrei anche spiegato l’essenza della grande follia della terza Germania.”
    Grazie delle sue ottime riflessioni, corredate dai quadri del "mio" Antonello da Messina.

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    1. Gent.le Maria, Lei riporta una testimonianza lancinante ed insieme eloquente. Il male, tanto la sua malizia quanto la sua banalità, non sopporta lo sguardo, ancor meno la sua intensità nel soffermarsi sul volto dell’altro. Per questo mi impegno ogni giorno a scrutarmi nello specchio, a guardare il volto di mia moglie, ad alzare serenamente gli occhi sulle persone che incrocio ed incontro.

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