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lunedì 1 maggio 2017

La paura in noi.

Viene ripreso il tema dello straniero - con riferimento al libro di Umberto Curi di cui si è trattato in un precedente articolo - e viene rivolta una particolare attenzione all'aspetto psicanalitico della paura nei confronti dell'alterità.

🖋 Post di Rosario Grillo (complementare a questo articolo:  Lo straniero)
🎨 Tutte le immagini riproducono fotografie di Lewis Hine (1874-1940) sociologo statunitense considerato il padre del fotogiornalismo, per l'uso sapiente e toccante della fotografia come denuncia sociale, con particolare riferimento alle condizioni dell'infanzia sfruttata, nei primi decenni del Novecento, e alle situazioni degli immigrati, degli emarginati e dei più deboli. Per osservare altre immagini dello stesso autore cliccare qui.


Lewis Hine, La piccola Giulia 
abbraccia bimbo sulle scale di casa, 1911
Tutti i bambini provano paura.
La prova per dominarla è uno stadio importante dell'evoluzione di ognuno di noi.
Parlando con l'angolo visuale della mia infanzia, debbo confessare di aver sofferto molto la psicosi della paura: alcune volte indotta da “bravate” di gente adulta, altre volte intrinseca alla timidezza del mio carattere.
Mutando forme, inoltre, la paura contrassegna momenti critici, occasioni decisive di scelte esistenziali: accompagna sempre, insomma, l’uomo.
Un'incubatrice, di notevole importanza, di paure incontrollabili è la società: in quello stadio che sta tra l'immaginario e il reale. Veicolo speciale ne è diventata la società di massa, dove la coscienza critica è sopraffatta da istanze pilotate ad arte, o da sentimenti del tutto irrazionali.
Lewis Hine, Bambina che conversa 
con una bambola, 1911
La psicanalisi, nel momento stesso di assumere lo statuto scientifico, ha riconosciuto e studiato tale angoscia, suggerendone la causa e proponendo la terapia.
Freud, padre riconosciuto di tale scienza, dopo aver svelato il versante pulsionale insito nell'inconscio, servendosi dell'interazione tra “principio del piacere” e “principio di realtà”, istigato dal contesto storico sconvolto dal conflitto mondiale, impresse una svolta alla sua dottrina, mettendosi a studiare la natura del perturbante.
I due principi (forze) di Eros e Thanatos adesso prendevano il sopravvento e annunciavano la svolta: Aldilà del principio di piacere (1920).
Lo studio del perturbante consente una scoperta di grande rilievo: il pauroso, l'orco, l'oscurità non penetrano dall'esterno ma agiscono dall'interno. Il movimento, al contrario di quel che si crede, va dall’interno all'esterno.
Lewis Hine, Bambino mostra il dito
ferito in seguito al lavoro del taglio delle sardine, 1911
Sono molte le applicazioni di questo principio: antropologi, filosofi, scienziati, artisti e letterati vi si sono confrontati.
Alla latitudine delle ansie sociali, abbiamo modo di comprendere che la paura sorge dalla nostra interiorità. Essa può discendere da disagio, senso di incompletezza e di incompetenza, orrido e malvagità, che ci abitano.
Caso specifico di una certa diffusione è la strumentalizzazione di questo gap (o défallaince?) per mano di attori sociali, più spesso politici leader, interessati a cavalcare le psicosi sociali.
La paura, oggi sappiamo, è fattore di successo di movimenti qualunquistici, neonazionalisti, e molto spesso, xenofobi.
Occorre capire, a questo punto, che il confronto è insidioso. Avendo al nostro interno questo agente, dovremmo possibilmente per via razionale, con una certa sagacia dialettica, trovare la soluzione, volta per volta, non in chiave distruttiva ma costruttiva.
Lewis Hine, Famiglia italiana 
vicino alla casa degli immigrati, 1910
In primis, quindi, essere consapevoli della problematica!
Oggi, non solo oggi, ma soprattutto oggi, che il potere dell'informazione, repentino, ad angolo globale, tempestivo, ci passa il dato dell'aumento incontrollato dell'immigrazione, fondamento di paure incontrollabili, è necessario un atto di consapevolezza sulla natura dello straniero.
Una relazione stretta lega il perturbante (unheimlich) allo straniero.
La scomposizione di heim-lich ci mette davanti: heim, a qualcosa di familiare (heim=casa).
Questa volta sono intellettuali francesi, a 360° si direbbe, visto che i loro interessi spaziano dalla filosofia alla antropologia, alla sociologia, alla psicologia, alla letteratura (insomma cultori delle scienze umane), a condurre l’analisi.
Lewis Hine, Famiglia italiana 
alla ricerca del proprio bagaglio smarrito, 1905
Prendo ad esempio, sotto la guida di Umberto Curi (1), la messa a punto di Derrida “il più familiare diventa il più inquietante… ‘L'essere a casa propria’ economico o ecologico dell'oikos, il prossimo, il familiare, il domestico, anzi il nazionale (heimlich), si fa paura. Si sente occupato, nel segreto del suo interno, dal più estraneo, il lontano il minaccioso […] l'uomo si fa paura, diventa la paura che ispira” (riportato in Umberto Curi, p. 148).
Sul tema, risulta di grande importanza l’opera letteraria di Albert Camus, culminata nel romanzo pluripremiato Lo straniero, passata per opere, come L’ospite.
Camus, provocato dal suo esistenzialismo tragico, coglie nel protagonista la doppia figura di ospitante-ospite e costruisce la sua relazione sull'effetto straniante della duplicità. 
Il “Due” è categoria indispensabile alla trama dell'Uno: quest'ultimo non è senza il Due.
Ci si trova dentro la rilettura dei frammenti di Parmenide, in grado di dare risposta alla ‘aporeticita’ dell'essere a-cosmico.
Lewis Hine, Ragazzo 
al mulino di Loray, Nord Carolina, 1908
Detto semplicemente: il mondo reale, fenomenico, possiede una chiave di lettura ontologica, se ci facciamo guidare dalla categoria del Due.
Ancora meglio, ciò è possibile in Platone (vedi il Timeo), che in uno degli ultimi dialoghi (il Sofista) enuncia il parricidio, il superamento dell'essere (nulla) di Parmenide, tramite la categoria dell'alterità (il diverso).
Caratteristico: il personaggio protagonista del dialogo è lo straniero. 
Arrivando ad una conclusione (che è provvisoria, come tutte le conclusioni): lo straniero è in noi, siamo noi.
(Interessante su questo piano l'interazione Jabes-Lévinas, che potrà essere oggetto di altro post). 
La conclusione attuale evidenzia che, in quanto doppio, lo status dello straniero è, sempre e dappertutto, problematico e porta insito la duplicità di accoglienza-ospitalità.
Una messa a punto che aiuta, che allontana paure artefatte e assurde, che non giustifica l'intempestività e il provincialismo di certe politiche dell'immigrazione.

 Lewis Hine, Maude e Grade Daly, di 5 e 3 anni, 1911
(1) Straniero, ed. Raffaello Cortina;  AA.VV. Il volto dello straniero da Jabes a Leopardi, Marsilio.

2 commenti:

  1. Non a caso le tue riflessioni hanno la data del primo maggio: Una benedetta provocazione sui “nuovi” lavoratori nel nostro paese, gli stranieri. Aleggiano sordità, diffidenza, voglia di barriere di muri di apartheid: tonalità emotive a cui tutti istintivamente siamo tentati, nella dualità che più volte sottolinei. E paura. E la “politica” divenuta scambio e baratto spudorato al posto della politica come progetto, come capacità di governare i conflitti e ricomporre interessi diversi a volte opposti; il compromesso al posto della mediazione; i valori ridotti a vuote parole buone per tutti gli usi. Abbiamo subito impreparati l’invasione silenziosa degli stranieri, ma ancor più stiamo subendo quella insopportabile dei mercanti di parole che, in luogo di produrre informazioni, seminano visceralità, evocano immagini e fantasmi emotivi dove lo straniero è pericoloso (qualcosa di più che diverso): è il nemico dal quale ci si deve guardare e difendere, il soggetto non pienamente umano che finisce per divenire subumano e antiumano, colui che sistematicamente può annegare nel Mediterraneo senza scossoni… Le parole non sono innocue: stranieri “clandestini irregolari” e non semplicemente cittadini del mondo e di altri paesi. Alla fine di questo processo diventa conseguente espellere senza processi, erigere muri, introdurre un diritto separato per gli “irregolari”. Non si tratta di essere buoni ma di essere giusti. Non c’è solidarietà senza giustizia vera. Proviamo a riflettere in questo primo maggio anche sul lavoratore immigrato vittima, sui nuovi schiavi, i nuovi ghetti, i nuovi luoghi di sfruttamento e di miseria, i lavori infami, le donne costrette a vendere il loro corpo per comprare un’impossibile libertà di cui noi siamo giocoforza testimoni e di cui ognuno di noi porta la sua parte di responsabilità anche attraverso il silenzio o il voltar faccia del levita nella parabola del buon samaritano.

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  2. Grazie Gian Maria dell'attenzione che mi dedichi, esplicitando il Bisogno di Giustizia, che , come tu dici, progetta Solidarietà.
    La data di pubblicazione, che avete programmato, risulta quanto mai opportuna, perché ribadendo la centralità del Lavoro, indica la chiave del riscatto dell'Uomo, senza discriminazioni. Ricordo ancora, vista l'opportunità, che in grande misura Lavoro è Preghiera.
    Così facendo rendiamo grazie a Dio, partecipando alla Grazia che ci dona.

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