Jean Giono, "Il bambino che sognava l'infinito": un racconto sapienziale che guida alla scoperta di uno sguardo nuovo e liberante.
Post di Rossana Rolando
Adattamento delle immagini (raffinate e visionarie) di Marco Somà, originariamente pensate per illustrare il testo di Fabrizio Silei, Il bambino di vetro (qui il sito).
Marco Somà (Illustrazione per Il bambino di vetro) |
Di questo sguardo particolare narra Il
bambino che sognava l’infinito, di Jean Giono¹ (autore de L'uomo che piantava gli alberi, qui il link) apparentemente una semplice
fiaba per l’infanzia, più profondamente un racconto sapienziale che può far molto
pensare.
Il racconto.
In poche brevi paginette Giono narra la
storia di un bambino che - accompagnato dal padre - vuole vedere oltre le siepi
e gli alberi del luogo in cui abita, senza mai riuscirvi perché, per quanto si
sforzi di salire su alberi e sommità per vedere lontano, rimane sempre
all’interno della foresta che lo circonda.
Quel che non gli riesce di giorno accade
però una notte, in sogno. Una scala attorcigliata intorno ad un albero gli
permette di salire tanto da poter vedere oltre le barriere di siepi che
chiudono lo sguardo. Non solo: gli infiniti spazi lo calamitano e lo alzano in
volo, permettendogli di osservare dall’alto l’immenso tappeto di quadrati,
rettangoli, triangoli... corrispondenti a frutteti, prati, boschi… costellati di
paesini, laghi, fiumi e montagne…
La vista e il vedere.
Marco Somà, (Illustrazione per Il bambino di vetro) |
La vista, tra i cinque sensi, assume un
ruolo privilegiato nel pensiero occidentale. Vedere vuol dire conoscere, ben
oltre gli occhi sensibili, attraverso lo sguardo della mente (non a caso il
termine “teoria” affonda le sue radici nel verbo greco ὁράω - vedo).
L’autentica visione non è però immediata,
anzi è frutto di una faticosa conquista. Mille - infatti - sono gli ostacoli
che ne deformano e ne riducono la possibilità. “Durante quelle lunghe
passeggiate, speravano di sbucare finalmente in un luogo dove non ci fossero
più siepi a impedire la vista… Sembrava che le siepi non fossero mai state così
alte e folte. Anche il profumo del sambuco era amaro, e sentire la gioia degli
uccelli faceva male”².
Guardare lontano.
L’evocazione del “lontano” può assumere
molteplici significati, poggiando sulle metafore del tempo o dello spazio.
Giono privilegia la dimensione spaziale e intende il lontano orizzontalmente come
lo “sconfinato” e verticalmente come l’“alto”.
Nel primo caso esso indica spazi
indefiniti, capaci di infondere pace o di incutere sgomento: “gli infiniti
spazi e i sovrumani silenzi” di leopardiana memoria. Voleva “… vedere
finalmente lo spazio sconfinato. E lo vide”, “…senza riuscire a saziarsi
della vista dello spazio”³. E ancora: “La più grande sorpresa del
bambino fu nel rendersi conto che la vista arrivava tanto lontano. Capiva
adesso che cosa si intendeva quando si diceva: ‘a perdita d’occhio’: era molto
lontano. Così lontano che forse non esisteva nemmeno”⁴.
Nel secondo caso può suggerire una
dimensione superiore, “un altrove” che innalza oltre la contingenza del vissuto
e del quotidiano.
Effetto catartico.
Marco Somà, (Illustrazione per Il bambino di vetro) |
L’altezza, infatti, ha il
potere di liberare, “tirando fuori” dalla situazione contingente, ridimensionando
e rimpicciolendo l’enormità dei vissuti quotidiani (“La cima dell’albero era
laggiù, ai suoi piedi, e non più grande della punta di uno spillo” ⁵).
Viste da sopra, inoltre, le linee di
separazione appaiono fittizie e meno nette (“Niente più barriere d’alberi!
Nemmeno una. Laggiù, lontano lontano, le siepi erano sottili tratti neri, le
barriere di alberi linee verdi e sinuose, come se ne fanno quando si passa il
pennello su un foglio di carta prima di dipingere”⁶).
Lo sguardo dall’alto, quindi,
ristabilisce le relazioni giuste tra le cose, toglie loro quella unicità
deformante che assolutizza il singolare punto di vista (“E il mulino dov’era?
Difficile dirlo: in quel preciso istante, là in basso, c’erano centinaia e
centinaia di mulini”⁷).
Conclusione.
Marco Somà, (Illustrazione per Il bambino di vetro, particolare) |
2. Ibidem,
pp. 7 e 24.
3. Ibidem, pp. 38 e 42.
4. Ibidem, p. 40.
5. Ibidem, p. 46.
6. Ibidem, p. 47.
7. Ibidem, p. 50.
8. Ibidem, p. 55.
3. Ibidem, pp. 38 e 42.
4. Ibidem, p. 40.
5. Ibidem, p. 46.
6. Ibidem, p. 47.
7. Ibidem, p. 50.
8. Ibidem, p. 55.
Le fiabe, si sa, trasfigurano il reale. Trasfigurazione: Gesù c’è ne ha indicato il senso!
RispondiEliminaUn mucchio di rievocazioni, da Il buio oltre la siepe ad un saggio magnifico di Umberto Curi sullo sguardo!
Voglio comunque invitare alla ricerca di una ripresa televisiva ( dovrebbe essere su tv della chiesa ) : il collegamento del Santo Padre con gli astronauti , tra cui Guidoni. Vi traspare il diverso sguardo sulla Terra e sull’Universo da lassù. Del resto già sono conosciute le immensità della ripresa area. Grazie Rossana!🎈🎈🎈
Caro Rosario, grazie a te e buon fine settimana. Ne "Il bambino che sognava l'infinito" c'è anche il brivido e il prezzo del "volare alto", un aspetto che mi pare oggi significativo e difficile da vivere e da proporre pedagogicamente. Ecco il passo:
RispondiElimina"...era sospeso in aria come un uccello. Lì per lì ebbe una gran paura e sentì una stretta allo stomaco. Chiunque al suo posto avrebbe lanciato un grido...Ma lui non gridò...Subito si rese conto che, se a uno piaceva lo spazio, era questo che succedeva inevitabilmente e che, di conseguenza, bisognava farci l'abitudine" (p. 46).
Aggiungo anche un'immagine del bravissimo illustratore Marco Somà, indicativa dello sforzo che comporta il tentativo di "volare alto" e guardare lontano:
RispondiElimina[img]http://2.bp.blogspot.com/-7uNc2-W39G8/Tjff1xevdyI/AAAAAAAAAZA/1v9NVhMWbH0/s640/02.jpg[/img]
Grazie e buon fine settimana anche a te!🌈
EliminaChe delizia Jean e il suo sguardo.
RispondiEliminaGrazie del commento. Un caro saluto.
EliminaGuardare lontano! Proprio oggi e soprattutto domani: metafora del significato del voto e del come votare… “oltre la siepe”, con la paura e “il brivido e il prezzo del volare alto”.
RispondiElimina[...] Ma non vedeva nulla. Sopra di lui non c'era già più nulla se non il cielo: un cielo alto, non sereno ma pure infinitamente alto, con grigie nuvole che vi strisciavano sopra dolcemente. «Che silenzio, che quiete, che solennità! Non è più come quando correvo», pensò il principe Andrej, «non è più come quando correvamo, gridando e battendoci; [...]. Come non lo vedevo prima, questo cielo così alto? E come son felice d'averlo finalmente conosciuto. Sì! tutto è vuoto, tutto è inganno, fuori che questo cielo infinito. Non c'è niente, niente all'infuori di esso. Ma anch'esso non esiste, non c'è nulla al di fuori del silenzio e della tranquillità. E Dio ne sia lodato!»".
RispondiEliminaMi è venuto in mente questo.
Saluti. :-)
Grazie Gianni per questo brano bellissimo (l'alto vi compare quattro volte...). La letteratura russa - e qui Tolstoj - è sempre profondissima. Un abbraccio.
EliminaAvevo già apprezzato di Jean Giono "L'uomo che piantava gli alberi". Grazie di aver condiviso quest'altro suo racconto delicato e profondo, corredato dalle suggestive illustrazioni di Marco Somà. Buona settimana.
RispondiEliminaGrazie a te Maria per l'attenzione che ci riservi. Buona settimana.
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