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giovedì 31 luglio 2014

Il nostro viaggio in Calabria.

 

"Straniero, se navigando ti recherai a Mitilene dai bei cori,
per cogliervi il fior fiore delle grazie di Saffo,
dì che fui cara alle Muse, e la terra Locrese mi generò.
Il mio nome, ricordalo, è Nosside. Ora va’!
(Nosside, poetessa nata a Locri nel III sec. a.C.)

Il fascino di una terra antica...
(Museo archeologico di Locri, 
strumento musicale: carapace di tartaruga, 
V sec. a.C.)
Addio (o arrivederci) Calabria!
Anzi mille Calabrie: 
 - quella delle bellezze naturali (Sila, Serre, Aspromonte, Pollino, gli ulivi, il mare);

... ricca di bellezze naturali ... 
(grandioso bosco della Sila)
... di panorami mozzafiato ... 
(tra Serra San Bruno 
e Gerace)
...di mare, di luce, di colori....
(mare di Locri)
- quella - nei musei, nei monumenti, nelle rovine e scavi - della travagliata storia di millenni (Sibari, Crotone, Capo Colonna, Locri epizephiri, Kaulon, Stilo, i paesi "morti"…);

... una terra che porta con sé tesori... 
(Museo archeologico 
di Crotone)
... oggetti di inestimabile valore.... 
(Museo archeologico di Locri)
- quella della religione spettacolare (feste tradizionali, sagre popolari, processioni con vare o varette…) e della fede profonda documentata da meravigliose chiese (Gerace, Altomonte, S. Giovanni in Fiore, Rossano,  Stilo…) santuari (S. Maria del Patire, S. Maria della Roccella, S. Maria della Stella, S. Ruba…), eremi (Le Goff: “la Calabria è la patria dell’eremitismo occidentale”), monasteri e abbazie (Certosa di Serra  San Bruno dove certosini di stretta osservanza salvano il mondo...);

Una terra ricca di spiritualità 
(cattedrale di Gerace)
... di religiosità... 
(Abbazia di Santa Maria del Patire, XI secolo)
... di fede ...
(Eremo di Santa Maria della Stella)
... di fraternità ... 
(La Cattolica di Stilo, piccola chiesa bizantina 
risalente al IX - X secolo).
- quella gastronomica (ah i dolci! e i salumi, le  mille verdure sott’olio, il peperoncino, le cipolle rosse, la ‘nduja, la sardella, i bergamotti, le granite, i vini dal Cirò al Savuto al Gaglioppo e Greco di Bianco….);

Una terra di grandi sapori... 
(trattoria tipica di Gerace: 
Lo Sparviero...)
... di piatti appetitosi ...
... e allegri ...
- quella moderna e contraddittoria, come Cosenza e quella disastrata ieri dai terremoti, dalle incursioni e dalle invasioni,  ed oggi dalla speculazione selvaggia e dall’incuria (dappertutto case e palazzi incompiuti, tanta sporcizia, centri storici fatiscenti anche nella bella Cosenza…);

Una terra dove la modernità... 
(Cosenza, lungo l'elegante corso Mazzini, 
vero e proprio Museo all'aperto,
Giorgio De Chirico, I due archeologi)
... convive con la trascuratezza.... 
(l'abbandono degli scavi di Sibari)
... la speculazione... 
(gli scheletri delle case... 
paesaggio ricorrente....)
... la povertà... 
(Cosenza, centro storico)
- quella dei rifugiati di ieri e di oggi (albanofoni, grecanici, valdesi, ebrei, zingari ed oggi nuovi immigrati dal Marocco e dal Kurdistan …);

Una terra che è stata meta 
di diversi popoli.... 
(Stilo)
... intreccio di diversi orizzonti 
culturali e religiosi... 
(panorama dal Santuario di Monte Stella)
- quella della paura, quella del silenzio e dell’imbarazzo di fronte alle nostre domande, per quanto discrete e pudiche, circa aspetti dolorosi su cui si tace non solo per paura o per diffidenza, ma per il desiderio di vivere tranquilli e di rimuovere il male. Sulla via del ritorno siamo passati anche per  Oppido Mamertina, città come tutte le altre, gente come tutti noi: in chiesa un ragazzino si esercitava all’organo, il caffè  non era  male e neppure la frutta acquistata nel negozietto adiacente alla chiesa … Eppure implacabilmente prendiamo coscienza della nostra indifferenza, del nostro silenzio qui ad Albenga, non so quanto diverso dal loro, delle nostre resistenze mancate;

Una terra sofferente ... 
(la piazza di Oppido Mamertina...)
 - quella dell’ospitalità radiosa di tante persone che abbiamo incontrato:     
* a Cassano Jonio il giovane Domenico dagli occhi ridenti ed ammiccanti, sacrestano tutto-fare della Cattedrale (è la diocesi del segretario della Cei mons. Galantino),  nella sua commovente semplicità ci mostra la bellissima cripta e la sacrestia con tutti i ritratti dei vescovi, precisando che un paio, nel conclave, hanno mancato il papato per un solo voto; e poi il regalo del vangelo a firma di papa Francesco, un mese prima in visita nella piana di Sibari, dove senza mezzi termini dichiara scomunicati i mafiosi.

.... la terra in cui papa Francesco ha 
apertamente condannato la mafia ... 
(a Cassano Jonio incontriamo Domenico 
che ci racconta di papa Francesco...)
* il vignaiolo e piccolo produttore di vini di nicchia, di cui volutamente non facciamo il nome, nella “riviera dei Gelsomini”, orgoglioso della sua vinificazione biologica, amareggiato per il suo tentativo non riuscito di creare  un consorzio con i vicini, tutti presunti viticoltori (ma c’è chi vinifica senza possedere e coltivare vigne, usa additivi illegali producendo vino artefatto, nel silenzio complice di coloro che per dovere d’ufficio dovrebbero controllare, indagare ed intervenire). E con discrezione ci racconta sommessamente della mafia, della solitudine e sofferenza di chi vorrebbe resistere sul territorio ma deve stare attento, perché non sai chi sono i peggiori mafiosi e lo apprendi dalla televisione, persone “gentilissime”; e finché sei nel piccolo business ti lasciano lavorare, perché a loro interessano le grosse aziende. E’ la pazienza del vignaiolo non rassegnato, ospitale a dismisura, che combatte la sua resistenza da solo e non c’è  nessun  megafono dei media a riprenderlo. 

Una terra da promuovere e valorizzare... 
 (come vorrebbe il coraggioso vignaiolo 
che abbiamo incontrato)
Quel giorno abbiamo capito non solo che il silenzio  ha tanti volti e tante voci ma anche il senso profondo delle parole di L. Rèpaci: “L’amore della Calabria è un amore passionale dovuto al fatto che noi amiamo una terra che ha molto sofferto. Ha sofferto lei e abbiamo sofferto noi per farci una posizione, per aver un piccolo posto al sole. Abbiamo dovuto superare difficoltà che gli altri non immaginano neppure. C’è però un legame fra la sofferenza della terra e la sofferenza nostra. Non soltanto di noi scrittori…” (trasmissione  tv del 23.4.1973).
* a Crotone partecipiamo alla messa domenicale nella parrocchia San Paolo: comunità viva, parroco giovane ed ardente, scoutismo diffuso insieme con il volontariato di giovani e meno giovani (non a caso qualche giorno dopo la parrocchia sarà meta e tappa del pellegrinaggio della speranza in Calabria organizzato dalla Comunità di S. Egidio).

Una terra di giovani... 
(Parrocchia di San Paolo, 
realtà viva con gruppi giovanili, tra cui gli scouts).
* il buon samaritano: anonimo camionista, incrociato per caso in una stradina deserta della piana di Squillace dove eravamo capitati sbagliando direzione e a vista d’occhio non c’era anima viva. Proprio lì si era forata una gomma anteriore e non sapevamo che fare, non riuscivamo a svitare i bulloni serrati con la pistola ad aria compressa né sapevamo che la nostra vecchia golf avesse in ogni ruota un antifurto. Insomma nella calura disperata non sapevamo che pesci pigliare. Ed infine ecco sopraggiungere un camion: non si ferma, procede oltre, poi fa retromarcia; scende un giovane camionista, capisce al volo e con poche parole e gesti concreti ci toglie dal deserto, svita i bulloni, sblocca l’antifurto e riparte di fretta perché deve rispettare i suoi tempi e noi rimaniamo a bocca aperta felici di questo intervento provvidenziale. 

Una terra capace di solidarietà
(come dimostra il camionista 
che ci ha soccorso...)
* il sig, Raffaele che ci vede incerti ai piedi del crinale sul quale si erge Altomonte, si presenta, ci accompagna su per le ripide scalinate magnificando il paese sino alla stupenda chiesa ed al museo civico contiguo, ci fa ammirare lo splendido panorama e sparisce.

Una terra da riscoprire... 
(chiostro annesso alla chiesa 
di Altomonte).
* La signora della pizzeria “Il Vesuvio” di Rende che a tutti i costi, sempre sorridendo e ringraziando, ci offre le sue  prelibatezze ed i suoi distillati, ma soprattutto la sua genuina umanità. L’ospitalità rude e genuina del vecchio gestore de Lo Sparviero di Gerace (provare per credere la cucina “povera” e il liquore al peperoncino che persino mia moglie  - incredibile dictu et visu! – ha apprezzato). Il gesto gratuito del cameriere che a Crotone ci offre in degustazione la sua “vera sardella” (eccezionale!). Ed infine l’allegria di una festa popolare in mezzo a tante persone sconosciute - vecchi, giovani, donne, frotte di bambini gioiosi e sorridenti - in una notte incantata di Gerace, allietata da bravissimi  attori di strada …. 

Una terra ospitale... 
(scena di simposio su un vaso attico)
Addio Calabria. Abbiamo goduto, a volte con sofferenza, della bellezza che la terra e gli uomini e donne della Calabria ieri e oggi ci offrivano, abbiamo parlato, ascoltato, condiviso ciò che unisce e ciò che  divide, donato e ricevuto gesti semplici e sinceri sorrisi, vissuto incontri di fratellanza, contemplato volti irripetibili, sperimentato  il trionfo quotidiano dell’ospitalità. Questa è la vera Calabria che  portiamo  nel cuore, quella che intende vivere, che conserva la memoria, che arde di spiritualità, che sprizza generosità e gentilezza, che vola alto e respira la speranza. 

Una terra che è ancora in grado di sperare?
(Antonio Saladino, Portatore di nuvole. 
Museo civico di Taverna.)
E mia moglie, pensate un po’, lei che è una provetta nuotatrice, è persino riuscita a fare una memorabile nuotata, l’unica del nostro soggiorno calabrese, all’alba di un mattino, sulla spiaggia  di Capo Colonna, a quell’ora deserta … 

... di guardare lontano?... 
(Mare di Crotone all'alba)
Alcune letture, che proseguiremo, ci hanno accompagnato nel viaggio. Ne cito due:
* un giallo ambientato in Calabria: Carmine Abate, La collina del vento, premio Campiello 2012, Mondadori;  
* un  dossier  sulla ‘ndrangheta: Arcangelo Badolati, Mamma ‘ndrangheta, la storia delle cosche cosentine dalla fantomatica Garduna alle stragi moderne, prefazione di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, giugno 2014, ed. Pellegrini, Cosenza (proprio in questi ultimissimi giorni presentato e commentato su Rai3).
... di combattere? di resistere?....

“Venite al tempio sacro delle vergini dove è più grato il bosco e sulle are
fuma l’incenso.
Qui  fresca l’acqua mormora tra i rami
dei meli: il luogo è all’ombra di roseti.
 Dallo stormire delle foglie scende
profonda quiete.
Qui il prato dove meriggiano i cavalli
è tutto fiori di primavera,
e gli aneti vi odorano soavi.
E  qui con impeto, dominatrice,
versa Afrodite nelle tazze d’oro
chiaro vino celeste
e insieme gioia.”
  (Saffo)

Addio Calabria... 
(Festa a Gerace ...)

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domenica 27 luglio 2014

Da ormai molti anni insegno storia ... le lezioni sulla prima guerra mondiale.

Il 28 luglio 1914 - esattamente un secolo fa - l'Austria Ungheria dichiarava guerra alla Serbia... 
era l'inizio del primo conflitto mondiale.

Post di Rossana  Rolando.

A cosa serve la storia? 
Cosa si semina, quando si insegna storia? 
(Albin Egger-Lienz, Il seminatore)
Da ormai molti anni insegno filosofia e storia nei Licei. Non è facile insegnare storia, soprattutto non è facile appassionare alla storia. Il rischio è quello di pensare il passato come una noiosa successione di date e battaglie, come un semplice fatto mnemonico.   

Cosa rimane di quel che si è seminato? 
(Albin Egger-Lienz, I falciatori)
Quante volte mi sono sentita ripetere che la storia è una disciplina in cui “basta studiare”, intendendo con questo dire: non c’è nulla da capire, da ragionare, da approfondire. Solo a poco a poco, crescendo, iniziando ad aprirsi al mondo, a leggere i giornali, ad avere il gusto
della cultura (quando il nostro lavoro di insegnanti riesce bene), gli alunni cominciano a capire che la storia è tutto – tutto avviene nella storia: questa poesia, questa scoperta scientifica, questa parola, questo incontro, questo nostro vivere … - e che attraverso la storia noi comprendiamo noi stessi, usciamo dall’appiattimento dell’immediato, del solo presente, per dare uno spessore, una profondità, una complessità a quello che siamo e facciamo.

... tutto, nel viaggio della nostra vita, 
appartiene alla storia... 
(Albin Egger-Lienz, La famiglia)
Tra le lezioni di storia che risultano più intense e più emotivamente coinvolgenti, nella mia esperienza, vi sono quelle sulla prima guerra mondiale. Potrebbe sembrare strano: cosa può coinvolgere un ragazzo di oggi in un evento così lontano? La guerra di trincea, un secolo fa, un contesto storico lontanissimo …
 
La prima guerra mondiale ... 
tra le lezioni più intense ... 
(Albin Egger-Lienz, Soldato tiratore)
Come può colpire oggi un discorso sulla guerra, quando l’immagine di essa è quella che vediamo distrattamente scorrere sullo schermo, è la guerra spettacolarizzata, fatta oggetto di film, con il rischio continuo della sovrapposizione tra la realtà e la finzione? 


Cosa può colpire oggi? 
Abituati come siamo a vedere distrattamente 
scene di dolore ...
(Albin Egger-Lienz, Vecchi)
Eppure proprio mettendo accanto al racconto dei fatti di guerra, dal 1914 al 1918 (quelli che tutti i manuali riportano: le potenze coinvolte, le grandi battaglie, i fronti di combattimento),  gli aspetti umani del conflitto, il modo in cui venne vissuto, quello che provocò nella mente delle persone … ecco che la guerra diventa reale, assume il suo vero volto, quello tragico, assurdo, insensato, quello atroce di ogni guerra.

... ci colpiscono gli aspetti umani 
della guerra ... 
(Albin Egger-Lienz, Pietà)
Ciò che maggiormente colpisce gli alunni più attenti e sensibili è  il bisogno, il tentativo - da parte di chi visse la guerra, nella sua disumanità - di  ritrovare se stessi, di salvare qualcosa di sé, del proprio essere uomini. In quel mondo terribile della trincea, mondo di contatto continuo con i cadaveri, con la sporcizia, con i topi … mondo in cui solo ubriacandosi si poteva uscire allo scoperto, affrontare gli assalti, sopportare la pressione psicologica dell’incombere della morte … in quel mondo si cercava tuttavia, nei modi più vari, uno spazio per sognare, per non imbestialirsi, per rimanere uomini. Un po’ quello che racconta Primo Levi in Se questo è un uomo a proposito dell’Ulisse di Dante: ricordare i versi di quel canto nel mezzo del mondo disumanizzante dei campi di sterminio assume una funzione “salvifica”: «Allora e là – afferma Primo Levi, in I sommersi e i salvati – valevano molto. Mi permettevano di stabilire un legame col passato, salvandolo dall’oblio e fortificando la mia identità».

... nel mondo terribile della guerra... 
(Albin Egger-Lienz, Finale, 1918)
Nella prima guerra mondiale, l’attaccamento alla vita si poteva esprimere in vari modi. Nella scrittura – diari, epistolari, poesie -, perché scrivere, come insegna la psicoanalisi, ha una funzione liberatoria, catartica; nel canto, per trovare insieme una voce sola, per uscire dall’angoscia della solitudine, per esorcizzare la paura; nella fuga: quella effettiva – le diserzioni, l’autolesionismo, l’ammutinamento -  e quella mentale – furono 40.000 i soldati italiani impazziti.

... cercare di non perdere la propria identità ... 
(Albin Egger-Lienz, Risurrezione)
Quest’anno ricorre il centenario dello scoppio in Europa della prima guerra mondiale. In questo post abbiamo provato a rievocarla e ricordarla attraverso le opere pittoriche di Albin Egger-Lienz (pittore austriaco vissuto tra il 1868 e il 1926), accompagnate dalle parole della letteratura - nella poesia, nella prosa, nel canto - che nella guerra hanno trovato origine e che la guerra hanno tentato di contestare, denunciare, trasfigurare.  

... attraverso la parola che trasfigura ... 
(Albin Egger-Lienz, Il pittore)
L’assalto. 
« “Pronti per l’assalto!” ripeté ancora il capitano. Di tutti i momenti della guerra, quello precedente l’assalto era il più terribile. L’assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove? Le mitragliatrici, tutte, sdraiate sul ventre imbottite di cartucce, ci aspettavano. Chi non ha conosciuto quegli istanti non ha conosciuto la guerra» 
(E. Lussu, Un anno sull’altipiano, Einaudi, Torino 1966, p. 121).

Si abbandonavano i ripari e si usciva 
(Albin Egger-Lienz, L'assalto)
Il contatto con la morte.
«Passano i giorni, e ogni ora è al tempo stesso inconcepibile e naturalissima. Gli attacchi si alternano coi contrattacchi e sul terreno devastato, fra le trincee, si ammucchiano i morti. Dei feriti, per lo più siamo in grado di raccogliere quelli che non son caduti troppo lontano; ma gli altri giacciono a lungo abbandonati, e li sentiamo morire» 
(E. M. Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, Mondadori, 1971, p. 114).

Il contatto con la morte 
(Albin Egger-Lienz, Soldato morto)

La condizione della guerra di movimento.
«Gli uomini marciavano addormentati. Molti, persi gli stivali,/ procedevano claudicanti, calzati di sangue. Tutti finirono azzoppati;/tutti orbi; /ubriachi di stanchezza; sordi persino al sibilo/ di stanche giornate che cadevano lontano indietro»
(W. Owen, Poesie di guerra, Einaudi, Torino 1985).

La guerra di movimento 
(Albin Egger-Lienz, La danza macabra)

L'autolesionismo... un modo per sfuggire all'inferno della trincea.
«Nei primi giorni del corrente luglio, dai posti di medicazione sulle colline del Carso, venne segnalato un gran numero di militari che presentavano una sola ferita, per lo più alla mano sinistra, con foro di entrata al lato palmare, cosparso di un largo alone nerastro e probabilmente dovuto ai proiettili del nostro fucile mod. 1891. La proporzione ordinaria dei feriti leggeri, ordinariamente oscillante interno al 10%, salì improvvisamente e senza una apparente ragione giustificatrice al 90% onde venne segnalato alla direzione di sanità il caso immediatamente ritenuto straordinario. Questa si convinse che buona parte di quelle ferite fossero state volontariamente procurate...»
(E. Forcella e A. Monticone, Plotone di esecuzione, Laterza, Bari 1972). 


Ferirsi ed essere ricoverati era un modo 
per fuggire alla vita insopportabile della trincea 
(Albin Egger-Lienz, Disegno preparatorio)
L'attaccamento alla vita. 
«Un’intera nottata/ buttato vicino/ a un compagno/ massacrato/ con la sua bocca/ digrignata/ volta al plenilunio/ con la congestione /delle sue mani/ penetrata/nel mio silenzio/ ho scritto/ lettere piene d’amore/
Non sono mai stato/tanto/attaccato alla vita»
(Giuseppe Ungaretti, Veglia).


L'attaccamento alla vita 
(Albin Egger-Lienz, Madre con figlio)
Il canto.
«Era una notte che pioveva/ e che tirava un forte vento/ immaginatevi che grande tormento/ per un alpino che stava a vegliar»
(Nota canzone della prima guerra mondiale).

... nella veglia degli alpini...
(Albin Egger-Lienz, Tramonto).
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