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sabato 20 novembre 2021

Singolare plurale.

Il "noi" come spartizione di uno spazio-tempo simultaneo. Jean-Luc Nancy e l'essere singolare plurale.
Post di Rossana Rolando.
Immagini dei dipinti di Francis Cadell, pittore scozzese vissuto tra il 1883 il 1937.

Francis Cadell, Interno con sedia rossa
💥 Il titolo di questo blog
è debitore della concezione filosofica alla quale è particolarmente legato mio marito, che in Emmanuel Mounier ha trovato sempre riferimento e ispirazione. L’impostazione mouneriana cerca di coniugare due poli: quello soggettivo della persona e quello collettivo della comunità.
La storia del pensiero, infatti, da Cartesio in poi, ha oscillato nella sottolineatura dell’una o dell’altra prospettiva: da una parte, ponendo come oggetto della riflessione, il soggetto, l’uomo nella sua individualità e dall’altra parte, concentrando l’attenzione sulla comunità, intesa in vario modo, come società, classe, popolo, stato.
In questo post vorrei fare cenno al pensiero del filosofo francese Jean-Luc Nancy, morto lo scorso agosto. Nel suo libro “Essere singolare plurale”¹, egli riprende questa duplicità io-noi, chiarendo proprio l’esigenza di superare l’astratta considerazione di un soggetto separato dalla rete di relazioni in cui da sempre vive e, nello stesso tempo, di evitare la visione della comunità come totalità in cui l’individualità si perde.
Mi pare lo faccia in modo nuovo, meritevole di essere ascoltato.
 
Francis Cadell, interno con tenda arancione
💥 Singolare plurale.
Per Nancy l’essere (parola dal grande peso filosofico!) è nello stesso tempo singolare e plurale, nel senso che ciascun singolo (ogni uno) si trova sempre contemporaneamente a condividere uno spazio, “qui e ora” con altri singoli (coppia, gruppo di amici, società, città, mondo): “l’essere-con è la spartizione di uno spazio-tempo simultaneo”². Questo spazio tempo con-diviso è il luogo della pluralità in cui ciascuno può dire “io”. Il “noi” non è un’unità che si divide e non è una molteplicità che si collega (la somma di tanti “io” o il loro accostamento), ma è una “unità originariamente plurale”, è “l’essere-in-tanti-insieme”. Ricorrendo alla etimologia si può notare come “plus” sia il comparativo di “multus”: non indica numerosi, ma vuole dire “di più”: nell’uno vi è più dell’uno (singolare plurale), “la singolarità di ciascuno è indissociabile dal suo essere-con-tanti… una singolarità è indissociabile da una pluralità”.³
 
Francis Cadell, Interno
💥 L’esempio della stanza.
Particolarmente eloquente è un’immagine che richiama proprio lo spazio come concetto chiave per comprendere il senso del noi, inteso nei termini della coesistenza di singoli che si riconoscono e non si annullano in un tutto. Dice Nancy: immaginiamo che qualcuno entri in una stanza. In quel preciso momento egli si dis-pone in un certo modo nella stanza, assume in essa una particolare posizione a seconda che la attraversi o la abiti o si collochi in un angolo, mettendosi in un determinato rapporto con tutto quanto vi è nella stanza. E ogni volta che quel qualcuno entrerà nella stanza si dis-porrà diversamente in quello spazio in relazione alle cose e alle altre eventuali presenze (un amico/a, un familiare, un estraneo). Sarà sempre lo stesso, ma diversamente dis-posto. Ecco, il noi è lo spazio che lega senza unificare, è l’insieme delle relazioni che “ogni volta” si realizzano nell’area della stanza.
Se applichiamo l’esempio al mondo capiamo che, pur non entrando ed uscendo dal mondo, ciascuno si trova in esso come nella stanza e si dis-pone al suo interno “ogni volta” in un certo modo. Perciò ogni uomo è sempre un “essere con”, un singolo che si dis-pone nella simultaneità dello spazio e del tempo con altri singoli e si es-pone ad essi. L’essere con non è semplicemente una possibilità, una caratteristica aggiuntiva (esisto come singolo e poi anche come essere in relazione), ma è la situazione costitutiva dell’uomo nel mondo (singolare plurale, appunto).
 
Francis Cadell, Dall'Hotel Calcina
💥 Contro l’identità fissa.
L’attenzione posta sullo spazio (“spaziatura”) permette a Nancy di evitare:
1. Che si parli di una comunità come “sostanza” statica, entità compiuta che immobilizza l’identità di un noi (popolo, nazione) rispetto alla fluidità di un continuo - discontinuo rapportarsi con.
2. Che si fossilizzi il singolo separandolo dalla molteplicità del suo dis-porsi sempre nuovo e diverso rispetto agli altri.
1.Il primo punto chiarisce in maniera netta l’assurdità di concetti come “purezza della razza” o, ancora, “purificazione etnica”. Quando gli viene richiesto un “Elogio del mescolamento”, in contrapposizione agli orrendi atti di pulizia etnica della guerra in Bosnia Erzegovina (1992-1995, all’interno delle guerre jugoslave), Nancy traccia la sottile differenza tra mescolamento e mescolanza, prediligendo la seconda perché abbandona il semplicistico richiamo ad un fatto già compiuto (mescolamento), e quindi alla retorica dell’unità nella diversità, per indicare invece l’azione viva del mescolarsi che caratterizza il senso della cultura: “il gesto della cultura è esso stesso un gesto di mescolanza: è affrontare, confrontare, trasformare, spostare, sviluppare, ricomporre, combinare, fare bricolage”. Con ciò viene smontata la pretesa di parlare di un’identità statica relativamente ad un popolo. Certo si può pensare ad una “identità francese”, aggiunge Nancy, ma non come si pensa all’identità di una matita sempre uguale a se stessa: essa è un’identità in movimento, “luogo” di incroci, di affluenze e disunioni, di circolazione e irradiazione.
Francis Cadell, Pomeriggio 1913
2.Secondo punto. Lo stesso discorso vale per il singolo. Nancy fa notare come la foto di identità sia il più delle volte la più vuota e la più scialba, la meno “rassomigliante” delle fotografie.
Per restituire davvero l’identità ci vorrebbero molte foto d’identità, specchio di tanti diversi momenti, secondo un processo dinamico di “identificazione”: “il reale è della mescolanza. Una vera foto d’identità sarebbe una mescolanza indefinita di foto e di grafie, che non assomiglierebbe a nulla, e sotto la quale si iscriverebbe la legenda di un nome proprio”.
 
💥 Conclusioni provvisorie. Termino brevemente con una suggestione. E’ un pensiero, quello di Nancy, che libera dalle concezioni di un noi prefabbricato (nazione, stato, classe…) per indicare un tutti-insieme che c’è da sempre – come struttura dell’essere singolare plurale - e, nello stesso tempo, si fa, diviene, nella direzione messa in moto da ciascuno (in termini di prassi e di ethos): la situazione dell’«essere con» “non è una novità – ma occorre, a noi occorre, reinventarlo ogni volta, entrare ogni volta di nuovo in scena”.
 
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Video con gli spazi di Matteo Massagrande
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💥 Note.
1. Jean-Luc Nancy, Essere singolare plurale, Nuova edizione ampliata, Einaudi, Torino 2020.
2.  Ibidem, p. 74.
3.  Ibidem, p. 38.
4. Ibidem, p. 39.
5. Ibidem, p. 159.
6. Cfr. Ibidem, pp. 153 e 160. 
7. Ibidem, p. 163.
8. Ibidem, p. 163.
9. Ibidem, p. 80.

8 commenti:

  1. Ti ringrazio infinitamente, Rossana. Sapete entrambi quanto apprezzo Nancy! Tu hai praticato la migliore arte dell’insegnante per trovare il “ cuore” del pensiero di Nancy e per innestarvi il grande bisogno che, in questo momento, la società avrebbe bisogno del suo pensiero. Eh già, il pensiero cammina perché l’essere che nel nocciolo la carne eleatica, nel sociale è Eraclito : diviene, si trasforma. Questo è il relazionarsi storico, culturale, politico… Così, solo per questa via, fuori del localismo, senza l’apparenza manipolata e manipolante della globalizzazione pilotata da finalità economiche, dimentiche dell’Umano, possiamo pacificarci in una solidarietà sociale che non trascura nessuno, vigile ed evolventesi. GRAZIE 🙏🌹👏

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  2. Scusate alcuni pasticci nel fluire del discorso. Ho scritto come mi è venuto dal cuore.

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    1. Ricordo, Rosario, i tuoi riferimenti a Nancy, ben prima che ci lasciasse. Molto bella la tua notazione sul pensiero del sociale che cammina, si evolve e riprende in modo nuovo tematiche sempre "attuali", come il rapporto tra "io" e "noi". Abbiamo davvero bisogno di attingere continuamente alla fatica del pensiero per ritrovare vie di umanizzazione. Un abbraccio.

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  3. Grazie, molto interessante e suggestivo!

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    1. Sempre lieti della sua preziosa attenzione. Un caro saluto.

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  4. Condivido in toto. Nel mio campo, la psicologia, il mio faro è sempre stato Jung che ha una visione analoga. Noi siamo una relazione col mondo esterno e con quello interiore. Vita è trasformazione. Quando si apre la porta del nostro studio ed entra un paziente, con lui entra tutto il mondo. Non esiste una identità statica, l'identità è sempre dinamica. Qualsiasi gruppi divre be accogliere e favorire le diversità dei singoli. Noi ci modifichiamo ogni giorno. Quindi possiamo pensare che la nostra vita avrà senso fino all'ultimo giorno. Per questo la psicoterapia non può essere scienza ma arte, arte del viceré

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  5. Molto bella l'osservazione: "Quando si apre la porta del nostro studio ed entra un paziente, con lui entra tutto il mondo". In piena consonanza con quanto afferma Jean-Luc Nancy (seppure nella speciale situazione della psicoterapia e del rapporto di aiuto): il mondo del noi è la condivisione sempre nuova - in divenire - di quello spazio, nello stesso tempo.
    Grazie per l'arricchente condivisione di pensieri!

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