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domenica 26 febbraio 2017

L’altro: la sfida del XXI secolo.

🖊 Post di Gian Maria Zavattaro 
🎨 Immagini di sculture e pitture di Amedeo Modigliani (1884 - 1920). Nelle opere del noto scultore e pittore, qui raffigurate, è ben visibile il richiamo all'arte africana che influenzò - oltre lui - molti artisti novecenteschi, da Matisse a Picasso. E' proprio a partire dalle maschere africane che matura lo stile personalissimo di Modigliani, con quei volti allungati ed essenziali nei tratti che lo rendono inequivocabilmente riconoscibile.

Ryszard Kapuscinski, L'altro
“Chi sarà questo nuovo altro? Come si svolgerà il nostro incontro? Che cosa ci diremo? In quale lingua? Riusciremo ad ascoltarci e a capirci a vicenda? Riusciremo insieme a trovare, come dice Conrad, ciò che parla alla nostra capacità di provare meraviglia ed ammirazione, al senso del mistero che circonda la nostra vita, al nostro senso della pietà, del bello e del dolore, alla segreta comunione con il mondo intero e, infine, alla sottile ma insopprimibile certezza della solidarietà che unisce la solitudine di infiniti cuori umani, all’identità di sogni, gioie, dolori, aspirazioni, illusioni, speranze e paure che lega l’uomo all’uomo e accomuna l’intera umanità: i morti ai vivi e i vivi agli ancora non nati?” (Ryszard Kapuscinski, L’altro, U. E. Feltrinelli/Saggi, 2015, 4° ed., pp.76-77).

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Amedeo Modigliani, 
Il busto rosso, 1913,
Olio su cartone, 
Collezione privata
Ho riletto in questi giorni l'agile saggio di R. Kapuscinski,  a dieci anni dalla sua morte (1932-2007), con i suoi riferimenti ai filosofi del dialogo,  in particolare E. Lévinas e J. Tischner (1).
Più di 40 anni fa McLuhan coniò la definizione di “villaggio globale” che a Kapuscinski suona come paradosso: “l’essenza del villaggio consiste nel fatto che  i suoi abitanti si conoscono intimamente, si frequentano e condividono un destino comune.
Cosa impossibile da dirsi della società del nostro pianeta, che fa piuttosto pensare alla folla anonima di un grande aeroporto: una folla di persone frettolose, sconosciute tra loro e perfettamente indifferenti le une alla altre”(2).

martedì 21 febbraio 2017

Suicidi anomici.

🎨 Immagini delle opere di Jan Toorop, pittore olandese vissuto tra il 1858 e il 1928. Fortemente influenzato dal simbolismo (in particolare si avverte la parentela stilistica con Odilon Redon), sviluppa un linguaggio pittorico denso di rimandi e di segrete cifre, adatto a suggerire riflessioni sugli estremi inconoscibili - nascita e morte - del vivere. 
🖊 Post di Rosario Grillo, Montebelluna, 08/02/2017.

Jan Toorop, 
O morte, dov'è la vittoria? (1892)
Lascio la data della prima stesura, onde evidenziare la persistenza di un fenomeno di crisi, legato certamente ad un mutamento “d’epoca”.
Voglio aggiungere al numero e allo “stile” (sic) dei suicidi quello recente del ragazzo friulano (trentenne) che, a causa della esposizione-denuncia dei suoi genitori, sta generando un grosso dibattito.
Dai giornali e dai blog emerge già che è impossibile ridurre al disagio socioeconomico la spinta predisponente al suo suicidio. La lettera, di per sé, segnala molteplici fronti di disagio del giovane, che si possono ascrivere alla “condizione giovanile”, ad un temperamento fragile e melanconico.
Tra tutte le focalizzazioni, mi piace riportare il succo di quella fatta da Gilioli su Espresso. Egli riconduce il movente alla denuncia del “vincismo”: un comportamento, una mentalità, che esaltano il fare gladiatorio”, il trionfo sociale di chi corre per vincere, costi quel che costi, a prescindere.
Jan Toorop, 
Desiderio e soddisfazione
Dopodiché, è necessario soffermarsi... “sospendere la corsa”... riflettere sulla perdita di un sapore irrinunciabile, prezioso, della vita, precedente all’affannosa (e alienante?!) ricerca del posto di lavoro. Si identifica con la rete delle amicizie - il sodalizio di un tempo - , con il tempo della meditazione e del consumo personale della cultura – con tanto gusto! – (teatro, cinema, libri, musica, turismo).
Momenti “magici del riconoscimento di se stesso.
Si conferma, comunque, la “radice amara di tanti, troppi, suicidi della nostra epoca, a cui Durkheim aveva dato il nome di suicidi “anomici”.

venerdì 17 febbraio 2017

Il cammino della gratitudine.

🖊 Post di Gian Maria Zavattaro
🔨 Immagini delle sculture di Michele Carafa (qui il sito), la cui presentazione si può trovare nel post Gratitudine e riconoscenza, premessa del presente articolo.
  
Michele Carafa, Chiesa Santo Spirito, 
Campomarino,
marmo statuario, onice miele, bronzo, 2007.
Ogni giorno la gratitudine può illuminare i nostri quotidiani affetti familiari, relazioni interpersonali e sociali. Ma non solo: ogni giorno in mille eventi anche inaspettati (quelli grandi, che ti segnano la vita; quelli piccoli, che te l'addolciscono) posso ricevere da donatori impensati, spesso ignari del loro donare, i più svariati doni e benefici (nuovi orizzonti o semplicemente un sorriso, uno sguardo, una parola, un’attenzione, una precedenza per strada…); ogni giorno posso sentirmi battere il cuore per una gratuità che non richiede restituzioni ed essere invogliato anch’io a contraccambiare alla prima occasione.
Michele Carafa, Rifugio, 
ceramica, 40×60
La gratitudine ad ognuno di noi si presenta come un possibile stile di vita,  un cammino che si realizza nella durata, memoria del passato, riconoscimento nel presente, promessa per il futuro. Un cammino  in cui io imparo a riconoscere come doni gratuiti che non mi sono dovuti l’esistenza umana ed in essa  soprattutto l’amore e la bellezza. Un percorso che richiede permanenti orizzonti di conversione del cuore e riconoscimento dei propri limiti. Una strada in cui l’esistenza è vissuta come mutualità del dare e ricevere, perché tutti abbiamo  bisogno degli altri e  tutti possiamo liberamente moltiplicare i gesti di reciproca riconoscenza ed inclusione,  divenire donne ed uomini “veramente grati gli uni verso gli altri”.

mercoledì 15 febbraio 2017

Gratitudine e riconoscenza.

🖊 Post di Gian Maria Zavattaro.
🔨 Tutte le immagini riproducono sculture di Michele Carafa, artista italiano specializzato in arte liturgica (qui il sito). Le opere che abbiamo scelto (con il gentile consenso dell'autore) hanno un valore universalmente umano e raccolgono ciascuna, in una sintesi potente di materia e spirito (idea, concetto, ispirazione), un sentimento o una condizione del nostro stare al mondo. 
Per ogni immagine abbiamo inserito, prima del titolo originale, un breve collegamento ai contenuti del post.

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(I gradi della gratitudine)
 Michele Carafa, Rifugio,
ceramica, cm 40×60, 2015
“La gratitudine ha diversi gradi secondo l’ordine degli elementi da lei richiesti. Il primo di essi è che il beneficiato riconosca  il beneficio ricevuto; il secondo è che ringrazi a parole; il terzo  è che ricompensi a tempo secondo le proprie capacità” (T. d’Aquino, Summa theologiae, II-II, nuova ed. ital. online, a cura di P. Tito, S. Centi, P. Angelo, Z. Belloni, 2009, p. 3932: ww.documentacatholicaomnia).
“Solo gli uomini liberi sono veramente grati gli uni verso gli altri” (B. Spinoza, Ethica, Sansoni, Firenze, 1963, p.541). 

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La gratitudine  pare oggi assente, grande misconosciuta in una società dove la “fuga dalla libertà” - come direbbe Fromm sulla scia di Spinoza - rende impossibile essere grati.
Leggo sul Vocabolario Treccani online che la gratitudine è “sentimento e disposizione d’animo che comporta affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare (è sinonimo di riconoscenza, ma può indicare un sentimento più intimo e cordiale)”.   
(Gratitudine e tempo)
Michele Carafa, Meridiana,
ceramica, 50×60× 20, 2015
La gratitudine-riconoscenza comporterebbe tre dimensioni: nel passato, prossimo o remoto, qualcuno mi ha fatto del bene; nel presente riconosco il dono o beneficio ricevuto senza merito; nel futuro, prossimo  o remoto, desidero ricambiare in qualche modo il bene ricevuto (gratias agere, fare grazie, rendere grazie, ringraziare, anche nella forma della lode).                 
Nel 1963 Martin Buber indirizzava poche righe di ringraziamento, riportate da E. Lévinas, a coloro che  gli avevano inviato gli auguri per il suo 85mo compleanno (1). Da quelle righe  di cortesia muovono le mie riflessioni.

domenica 12 febbraio 2017

Pane nostro, P. Matvejevic.

🖊 Post di Rosario Grillo
📷 La fotografia di Predrag Matvejevic è tratta dal Corriere della sera/Cultura. 
🎨 Le altre immagini riproducono illustrazioni di Stefano Nava (qui il sito).

Predrag Matvejevic
I mezzi di informazione non si sono soffermati a sufficienza sulla comunicazione della morte di Pedrag Matvejevic (7 ottobre 1932 - 2 febbraio 2017).
Queste righe vogliono dunque essere innanzitutto un contributo a ricordarne la figura, a passare velocemente in rassegna i suoi decisivi contributi storici.
Dal ricordo tracciato da Vittorio Filippi (cliccare qui) traggo innanzitutto la sua “jugoslavità”, una fede vissuta nel nome dell'unità dei popoli balcanici.
Tanto più significativa dopo la partecipazione al conflitto mondiale, dove, egli di provenienza russa, fece il lavoro di “gazzetta” dei partigiani titoisti.
Assunse, così, attraverso l'esperienza del padre prigioniero nei lager nazisti, un incrollabile fede nell'unità attraverso la pace, sotto lo scudo della Libertà.

venerdì 10 febbraio 2017

Giorno del ricordo... dei ricordi.

🖊 Post di Gian Maria Zavattaro.

Foiba di Basovizza (1)
“Quello ricordato come 'Le Foibe' è uno dei momenti più drammatici della storia italiana del secolo scorso. Il 10 febbraio è il giorno che in Italia si dedica alla memoria di tutte le vittime delle Foibe e dell’esodo dalle loro terre di Istriani,  Fiumani e Dalmati. Con il termine 'foibe' (dialettale di derivazione latina) vengono indicati alcuni 'pozzi' naturali tipici della regione carsica, nei quali vennero occultate molte fra le vittime degli eccidi dei partigiani dell’allora Jugoslavia comunista ai danni di fascisti e simpatizzanti (spesso solo ritenuti tali). Il numero delle vittime non è ben riscontrato, ma gli studiosi parlano di cifre tra i 5.000 e gli 11.000 uccisi, sia militari che civili.  Coloro che furono gettati nelle foibe non sono la maggioranza  (che invece morì di stenti o per malattia nei campi di concentramento slavi), benché ormai si tenda ad indicare come 'foibe' le località dell’eccidio” (da: Agenda della Famiglia 2016, 10 febbraio  – ed. Famiglia Cristiana).

Schema di una foiba 
(illustrazione tratta da una pubblicazione del CNL istriano, 
datata 1946)

martedì 7 febbraio 2017

Ai Weiwei, tutto è arte, tutto è politica.

🖊 📷 Post e fotografie di Rossana Rolando.

L'arte di Ai Weiwei
Abbiamo visitato, nelle vacanze di Natale, presso Palazzo Strozzi a Firenze, la mostra dedicata ad Ai Weiwei (23 settembre 2016 - 22 gennaio 2017), artista cinese nato a Pechino nel 1957 da famiglia di letterati perseguitata ed esiliata a causa delle idee paterne. Trasferitosi negli Usa tra il 1976 e il 1993, egli fa ritorno in Cina e diviene protagonista indiscusso nell'ambito dell’arte contemporanea. 
Utilizzando le sue opere come strumento di contestazione e denuncia nei confronti del governo e del sistema economico cinese, Ai Weiwei ha fatto di sé un personaggio, pagando di persona il proprio impegno: nel 2009, interdetto il suo blog dal governo, viene picchiato dalla polizia e operato per i postumi delle percosse; nel 2011 il suo studio cinese è distrutto ed egli stesso viene sequestrato, rimanendo in carcere per 81 giorni; una volta rilasciato rimane senza passaporto con l'ingiunzione di non pubblicare articoli su internet o tramite stampa; riceve vari riconoscimenti internazionali per la lotta a favore dei diritti umani e vede restituito il passaporto, potendo così trasferirsi in Germania.

venerdì 3 febbraio 2017

L'eco del domani, inedito di Tommaso D'Incalci.

🎨 Poesia e disegno inediti di Tommaso D'Incalci
🖊 Commento di Gian Maria Zavattaro

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L'ECO DEL DOMANI

Tommaso D'Incalci,
L'eco del domani,
particolare
Ho scritto una lettera di soli suoni
ti arriverà quando il mio nome
non sarà più pronunciato da nessuno
Un bagaglio leggero
i momenti che non ho vissuto
Da lontano mi segue la notte
con passi quieti di sposa orientale
Si china per baciarmi
vorrebbe dissolversi con me
nella polvere dell'ultimo respiro
“Non andare”
Ho un posto assegnato tra molecole di idrogeno e ossigeno
Mi rivedrai al sorgere di ogni nuova stella
Eco di un nome nuovo


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Come sarà il  domani “quando il mio nome non sarà più pronunciato da nessuno”? C’è speranza che possa rinascere nella eco di un nome nuovo”? E “i momenti che non ho vissuto” sono oggi per me il mesto rimpianto di “un bagaglio leggero” o trama pesante di un cupio dissolvi? Può essere il presente anelito premonitore di nuove stelle e nuovi nomi, nuove terre e nuovi cieli?
In questa ermetica poesia,  insieme con la  certezza della caducità della vita e del suo svanire “nella polvere dell’ultimo respiro”, persiste la  pacata e lucida consapevolezza  che si perderà il ricordo di ognuno di noi: prima o poi il nostro nome potrà non essere mai più pronunciato da nessuno.