Post di Gian Maria Zavattaro.
“Io non difendo qui la nostra
giovinezza, non quella determinata dall’età della carne, ma quella che trionfa
sulla morte delle abitudini ed alla quale accade che si pervenga se non
lentamente, con gli anni. E’ questa che fa il pregio dell’altra
giovinezza, che ne giustifica, di quando in quando, la sua irruzione un
po’ violenta nei ranghi calmi degli adulti. […] Se a quest’età l’uomo che nasce
non nega con tutte le sue forze, non s’indigna con tutte le sue forze, se si
preoccupa di note critiche e un po’ troppo di armonie intellettuali prima
di aver sofferto il mondo in se stesso, fino al grido, allora è un povero
essere, un’anima bella che già odora di morte”. (E. Mounier, Rivoluzione
personalista e comunitaria, Milano, edizioni di Comunità 1945, pp-8-9).
“Questo è un libro a tesi. La
tesi è questa: sul Sessantotto sono state dette un sacco di bugie. E’ esistito
un Sessantotto Minore che tutti hanno snobbato. […] quel Sessantotto Minore
“che non ha mai avuto l’attenzione che ha meritato, e che invece ha
rappresentato nei confronti delle categorie deboli un modo di stare con di
carattere assolutamente innovativo, e ha anche contribuito a bonificare certe
zone equivoche del volontariato.”” (A. M. Fanucci, IO PADRE
SESSANTOTTINO NON PENTITO il sessantotto minore, Cittadella ed.,
Assisi,1999, p.5).
In questi ultimi mesi, in cui i media
di ogni colore e parte ci bombardano continuamente di rievocazioni,
demonizzazioni ed esaltazioni del ‘68, ero incerto se valesse davvero la
pena aggregarci al coro mediatico. Poi l’amico Rosario (che dopo questo post mi seguirà con la sua “memoria del ‘68”)
mi ha convinto ed ho deciso di narrare della mia partecipazione alla
contestazione 68ina e soprattutto fare riferimento ad un libro provocatorio di
p. Fanucci, edito nel 1999 (citato in epigrafe). Ne condivido innanzitutto la
tesi di fondo: le rievocazioni hanno ignorato“il sessantotto minore, contestazione che da subito si
saldò all’impegno radicale con i poveri, più che per loro. “Minore”: quando il
tempo avrà cancellato del tutto i volti inutilmente pensosi dei capocomici del
Sessantotto che si presume maggiore, allora risplenderà il contributo forte e
discreto che nell’associazionismo, nelle grandi battaglie civili, nel
rinnovamento delle più tradizionali tra le scelte di vita, la militanza di
milioni di persone serie ha dato alla storia di questo paese”(1). Pur con
qualche riserva sull’eccessiva ed a volte liquidatoria semplificazione
delle vicende 68ine, condivido le sue riflessioni graffianti, senza sconti
eufemistici per nessuno, in alcuni casi forse ingenerose, controbilanciate e
temperate dal “controcanto” nella postfazione critica di G. Pinna, al quale
rimando in nota (2).