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mercoledì 29 aprile 2015

Vegliare sulla solitudine dell'altro.


Il testo è di F. L. Sully - Prudhomme , 1839-1907, 
premio Nobel per la Letteratura nel 1901.
La solitudine riguarda tutti.
I volti della solitudine.  
Le sconfinate solitudini ed incomunicabilità tra gli uomini sono realtà consistenti, che affondano le loro radici nel travaglio della nostra società, perché sono gli uomini a crearle. Portano le stigmate della storia ed esprimono  la sofferenza di ogni singola persona. Pur con intensità, implicanze e  costi assai diversi la solitudine  riguarda tutti, ma soprattutto coloro che soffrono la  perdita di contatto sociale e sono abbandonati a se stessi (a causa dell’età, della malattia, della morte dei familiari),  coloro che sono costretti a  condizioni di sfruttamento, di povertà, di miseria,  ed anche di intima disperazione ed abiezione: ferite laceranti, silenziose insopportabili grida che non provengono da qualche misterioso ineluttabile destino, ma da meccanismi di esclusione e di marginalizzazione dovuti a mani umane.

La solitudine ha radici e 
responsabilità umane.
La solitudine come condizione umana.
Solitudine” tuttavia può significare diverse e divergenti realtà. Il pendolo oscilla tra la solitudine contraria al nostro bisogno di rapporti umani (isolamento, abbandono o, peggio, derelizione e dannazione) e la solitudine come dimensione e condizione necessaria del ritrovamento esistenziale del senso, polarità costruttiva della dimensione sociale.
La solitudine dunque è legata alla  struttura della società in cui viviamo, ma è anche volto ineliminabile della condizione umana e, come tale, è soggetta ad una perenne ambivalenza.


L'ambivalenza della solitudine.
I suoi rischi e possibilità sono l’incomunicabilità e l’intimismo oppure il riconoscimento di sé e degli altri nella decifrazione del rapporto con la solidarietà.


I rischi.  L'incomunicabilità e la frattura-lacerazione nei confronti delle altre persone sono una tentazione ed una prova per tutti, un’eventualità che può cogliere ognuno di noi ed invadere il campo della coscienza: ripiegamento su se stessi, amarezza, angoscia repressa perché comunque da soli non ci si sente di  esistere, terrore paralizzante del vuoto, percezione della propria esistenza come inutile ed assurda in un mondo greve di inesorabile minaccia. Può essere solo un momento passeggero della vita, una delle tante notti dell’esistenza; e poi la vita riprende, prorompe il grido, l’invocazione, l’implorazione che la vita torni a dare un senso, che magari un volto amico giunga, perché c’è sempre un margine di comunione e non è mai la disfatta della speranza. 

 

Le possibilità. La solitudine come volto nascosto e tempo dell’interiorità, segno del non esprimibile e del non comunicabile proprio di ogni persona nella sua originalità e singolarità. L’interiorità fa parte dell’uomo e non è fuga dal reale, dall’azione e dalla responsabilità. Ci si apparta per riappropriarsi di se stessi e per interrogarsi sul senso delle proprie scelte  e sulla qualità dei valori che le ispirano.


Si esce dall’esistenza immediata, si pone tra sé ed il tumulto di ogni giorno la distanza della riflessione, ci si libera dalle distrazioni che rubano il nostro tempo libero, dalle nostre paure, dalle ansie, dai miti e dai falsi assoluti con cui si  tenta di accaparrare la nostra coscienza.



Introdurre il silenzio dentro di noi  è condizione per la meditazione, il raccoglimento, l’accoglienza, l’ascolto, il discernimento; è “vertigine della profondità”,  dalla quale emerge lentamente la capacità di capire l’altro, il “tu” come fosse “me” stesso, in un legame senza infingimenti o nascondimenti. Solitudine e comunione sono entrambe protagoniste della nostra tensione verso gli altri, il mondo e la vita, riconoscendo il limite strutturale di ogni comunicazione e mettendo in comune il proprio ed altrui ”incompimento”.

L’altro si rivela mistero inaccessibile per me; pure io sono mistero a me stesso, non mi conosco compiutamente, non so chi sono nei miei abissi inesauribili. Non si tratta di separazione o di  evasione, è ricerca "inconclusiva", impegno ad aprirsi senza riserve agli altri. E così  mi pare sensata e bella l’affermazione di M. Rilke: “Un buon matrimonio è quello in cui ognuno dei coniugi affida all’altro il compito di vegliare sulla sua solitudine”.


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sabato 25 aprile 2015

La resistenza come categoria interpretativa del vivere. Omaggio a Luisito Bianchi.

a cura di Rossana Rolando
(per la presentazione di questo lungo articolo, 
di carattere filosofico,
si rimanda al post precedente: 
La Resistenza di Luisito Bianchi).

« …La Resistenza è un fatto di gratuità. 
La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare un altro potere ma per la libertà dell’uomo. 
Per questo Resistenza è Gratuità, e Partigiano l’uomo gratuito. 
Il Dio gratuito non è forse il Dio Partigiano, 
che prende le parti di chi, in un modo o nell’altro, 
è perseguitato dal potere?»
Luisito Bianchi 
(da Monologo partigiano sulla Gratuità) 
  
Il silenzio di Dio ...
 (Marianne von Werefkin, La preghiera)
 Il XX secolo ha interrogato profondamente la coscienza dell’uomo contemporaneo e per chi, dopo Nietzsche, non ha rinunciato al concetto di Dio, ha posto domande brucianti sul silenzio e l’assenza di Dio, sull’impotenza di Dio nei confronti del male, rendendo problematico il  pensiero secondo cui Dio è il signore della storia, l’eterna Provvidenza che garantisce un senso alle vicende degli uomini.
Per questo le teologie e le filosofie della storia, che tanta parte hanno avuto nella cultura occidentale – da Agostino fino ad Hegel – sono avvertite oggi come insufficienti, “superate”. Altre prospettive, altre vie debbono aprirsi, affinché il discorso possa continuare. E’ questa la lezione di autori provenienti dall’area ebraica, quali Wiesel e Jonas, Adorno e Lévinas, i cui contributi risultano fondamentali per una riproposizione del concetto di Dio “dopo Auschwitz”, simbolicamente considerato come spartiacque ineludibile[1].

... dov'era Dio nella notte del male?  ...
(Marianne von Werefkin, Donna con lanterna)
Ed è in questa ottica che intendiamo riflettere con Luisito Bianchi, a partire da La messa dell’uomo disarmato[2]. E’ difficile definire il genere cui appartiene questo libro. Certo romanzo storico che si svolge nel periodo della seconda guerra mondiale, delle due guerre – di cui fa memoria Nuto Revelli: quella del fascio accanto ai tedeschi e quella partigiana contro fascisti e tedeschi[3] -, ma soprattutto romanzo sulla resistenza, come recita il sottotitolo.
Eppure nell’ambito della ricchissima letteratura della resistenza, da B. Fenoglio a C. Pavese, da I. Calvino ad A. Gobetti, questo libro costituisce anche un unicum[4]. Si riaggancia per certi versi al romanzo popolare, nella linea manzoniana degli umili protagonisti della storia, di una storia vista dal basso, dal popolo, in una coralità che senza sbiadire la fisionomia propria di ogni personaggio, la inserisce in un tessuto di relazioni inclusive, solidali, il cui centro propulsore e aggregatore è rappresentato dalla “Campanella”, una cascina in mezzo alla piana padana[5]. E manzoniana è anche la vena ironica che accompagna alcuni quadretti di vita popolare e alcune figure.

giovedì 23 aprile 2015

La Resistenza di Luisito Bianchi.



"La gratuità prende tutto... 
come un oceano infinito nel quale l'essere vive, respira, si bagna di gratuità... 
è la gratuità che presiede alla vita...” 
(Luisito Bianchi, Dialogo sulla gratuità).


Il romanzo
di don Luisito Bianchi...
Don Luisito Bianchi (per le essenziali note biografiche si può vedere il nostro post del 25.04.14 ”Luisito Bianchi e la Resistenza”) è conosciuto soprattutto per il suo romanzo sulla resistenza “La messa dell’uomo disarmato”. La lettura di questo  libro è stata per noi un incontro casuale (grazie all’amico Gianni Peirano), subito trasformatosi in avvenimento e grazia. E poiché con gli amici  si condividono le cose belle e soprattutto i bei libri, incontrare questo libro bellissimo non poteva non  significare  amarlo  e condividerne i contenuti con tutte le persone desiderose  di  essere responsabili delle  bellezze del mondo.

... un dono da condividere...
Così tempo fa nacque in Rossana Rolando, mia moglie, il gusto di condurre un’appassionata e serrata analisi del libro di don Luisito, che da tempo abbiamo pubblicato in questo blog, nel settore “pagine”, settore particolarmente impegnativo e perciò forse un po’ marginale per chi ci legge,  rispetto alla pubblicazione e frequentazione dei post ordinari.
Siamo a lungo rimasti indecisi, mia moglie ed io, se ripresentare come post quell’analisi:  lunga (più di dieci cartelle!), articolata (ripercorre tutte le 850 pagine!) ed accorata (è lo sguardo di  chi cerca di capire e si interroga, di chi guarda con amore il creato ed ogni creatura, per cogliere la verità che è “a-letheia”, non nascondimento). Dunque un viaggio  che non cede alle lusinghe del “mordi e fuggi”, tipiche del viaggiare in internet. Infine abbiamo deciso di riproporlo proprio il giorno della festa della Liberazione, il 25 aprile: una sfida che gli amici che ci leggono potranno liberamente, ed eroicamente”, raccogliere, se riterranno che  ne valga la pena.

... un testo che si presta a vari livelli 
di lettura e approfondimento...
In ogni caso mi permetto di tracciare un breve quadro del “romanzo sulla resistenza” (così Luisito lo definisce), come premessa alla  lettura diretta della "messa" o come modesto succedaneo all’analisi che verrà pubblicata il 25 aprile.
Il libro non è solo un romanzo sulla resistenza, ma anche un’elegia della vita contadina, un’autobiografia spirituale. Non solo tratta precisi eventi storici, ma descrive volti, persone, gesti. Libro scomodo, disturbante, senza cedimenti al revisionismo: il modo migliore di celebrare il 25 aprile,  dove la potenza della memoria è ricordo ma insieme attualità e responsabilità, è  passato ma nel contempo presente.

... viaggio della memoria 
che conferisce luce al presente...
C’è una convinzione comune in tutti coloro che hanno letto il libro ed in tutte le recensioni che abbiamo  avuto la ventura di scorrere: si tratta di un’opera sulla resistenza diversa da tutte le altre, evento che mancava nella vicenda letteraria nazionale, libro singolare in cui, pur nella manifestazione disumana del male della guerra, c’è un effondersi dell’amore che filtra, pervade, intride di sé personaggi, paesaggi, gesti, dialoghi, pensieri.

... opera che ricostruisce la resistenza 
in modo del tutto singolare...
Molti hanno parlato e parlano  di  capolavoro letterario.  Sicuramente si è trattato di un autentico caso editoriale. Il romanzo circolò  in edizione autoprodotta ed autofinanziata tra il 1989 e il 1995. L’editore Sironi si imbatte casualmente in quest’opera e decide 13 anni fa di ristamparla, rendendola così disponibile al grande pubblico.

... da molti ritenuto 
un capolavoro.
La vicenda narrata comincia nella primavera del 1940. Il protagonista Franco, sulla via di diventare monaco benedettino, se ne torna dai suoi nella campagna cremonese alla cascina Campanella. Il fascismo entra in guerra, alleato dei nazisti. Piero, il fratello, sarà in Grecia a buscarsi un congelamento, mentre altri giovani del paese partono per la campagna di Russia. La svolta storica avviene l’8 settembre del 43: è la scelta tra libertà e schiavitù, tra dignità e servilismo,  bene e male. Sullo sfondo liturgico delle stagioni della terra, tra semine, raccolti, vendemmie e sagre, si innestano i riti cruenti degli  uomini in lotta fratricida.  L’intreccio di invenzione letteraria, ricerca spirituale e ricostruzione storica è articolato in tre tempi, quasi un itinerario liturgico: il gemito della Parola – il silenzio della Parola -  lo svelamento della Parola.

Nel libro si intrecciano 
la ricostruzione storica,  l'invenzione letteraria, 
la vicenda umana e spirituale...
Non so in quale fase oggi don Luisito porrebbe questi nostri giorni. Certo la figura dell’autore e la sua biografia spirituale sono riflessi in molti personaggi del libro: in Franco, che esce dal monastero e torna a fare il contadino nel paese di campagna; nel fratello Piero che non si reputa cristiano ma che spende la vita per gli altri; in don Luca-Benedetto, monaco del monastero che si aggrega ai partigiani sulle montagne; in Giuliano, Rondine, Stalino. il giovane Balilla,  tre figure di umili che non si dimenticano facilmente; nell’arciprete del paese, uomo colto e vicino alla gente; nel Professore, in Cecina e suo marito, nella madre; nell’abate del monastero, figura forse modellata su Aureli Escarrè, l’abate di Montserrat fuggito dal regime franchista e morto proprio a Viboldone, dove don Luisito risiedeva.

... e i personaggi escono vivi 
dalla pagina ...
Perché un prete sente il bisogno di scrivere “un romanzo sulla resistenza” (è il sottotitolo)?  Don Luisito vede una straordinaria connessione tra  la parola dell’Avvenimento, la Parola di Dio, la parola laica della Resistenza. Parola che si fa cultura nella misura in cui ti fa appartenere alla gente; diventa ricerca, poesia,  bellezza, promessa e riconciliazione, amore disarmato e gratuità.  La resistenza allora assume un doppio significato: da una parte racconto della lotta partigiana;  dall’altra categoria spirituale che indica la capacità di riconoscere la presenza di Dio, della Parola, anche in fatti  tragici e violenti.

Se la Parola non era presente anche in quei fatti drammatici, allora era vero che Dio era morto dopo Auschwitz”.“Quegli uomini che lasciarono tutto, casa, famiglia, figli, lavoro e andarono a combattere sulle montagne per liberare  la patria dall’invasore e conquistare la libertà furono l’esempio più bello di gratuità che si potesse pretendere. Fu  la testimonianza di come tanti uomini erano pronti a dare la propria vita per la costruzione di un mondo nuovo. E capii anche che quel sangue, gratuitamente versato, non era stato vano, perché ogni volta che ne facciamo memoria, come ho tentato di fare  ne “La messa dell’uomo disarmato”, lo attualizziamo. Esattamente come accade nella Messa, quando facciamo memoria del sacrificio di Cristo”.


... e immettono in un mare 
di significati...
La conclusione è la predilezione per gli umili, la volontà di costruire un mondo nuovo nella gratuità. Il romanzo è un’aperta contestazione contro ogni forma di svilimento della resistenza, che invece si presenta come radicalità del dono senza contraccambio in un mondo dominato dalla concezione che tutto è negoziabile e tutto ha un prezzo. Se l’uomo partigiano è colui che gratuitamente prende le  parti di chi non ha potere, non per sostituirvi un altro potere ma per essere liberi, allora  la resistenza non è arida né sterile; se essa non viene strumentalmente svilita per instaurare nuovi poteri, allora può  generare figli ogni qual volta si resiste al potere dell’uomo sull’uomo.

... sulle tracce 
di un mondo da rinnovare  ...
Il libro pone ad ognuno di noi impietosi interrogativi. Non si ripropone forse ancora oggi la scelta tra libertà e schiavitù, tra dignità e servilismo, tra bene e male? Non dobbiamo forse con la nostra testimonianza stimolare le nuove generazioni a proseguire una resistenza che oggi appare in parte tradita, monca, incompiuta? Quale resistenza io, tu, noi stiamo combattendo? Di fronte a chi portiamo la responsabilità di combatterla?

...proiettati 
in un orizzonte di libertà.
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martedì 21 aprile 2015

Ora e sempre Resistenza.


ORA E SEMPRE RESISTENZA
(Piero Calamandrei).
                                     
Resistere ai vari poteri ...
“La Resistenza è un fatto di gratuità. La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare un altro potere ma per la libertà dell’uomo. Per questo Resistenza è gratuità, e Partigiano l’uomo gratuito. Il Dio Gratuito non è forse il Dio partigiano, che prende le parti di chi, in un modo o nell’altro, è perseguitato dal potere? La Resistenza del 1944-45, dei morti e di quei vivi che non l’hanno mai svilita ad instaurazione di nuovi poteri, fu la grande parola laica di gratuità, che ha generato e genera ancora figli ogni qualvolta si resiste al potere dell’uomo in nome dell’uomo" 
(Don Luisito Bianchi,  DIALOGO SULLA GRATUITA’).

























... resistere per la libertà.
Tra pochi giorni saremo tutti subissati dalle celebrazioni agiografiche della Resistenza: 70 anni! Celebrazioni doverose, necessarie, se veramente ci si soffermerà  a riflettere sui  suoi valori, per mantenerci fedeli ad essi nella costruzione dell’oggi e del domani.

La Resistenza non è 
un prodotto da vendere.
Per questo, senza mezzi termini, vorrei che coloro che non onorano lo spirito della Resistenza si astenessero da ogni forma di ipocrita retorica, così come già 55 anni fa – era il 24 luglio 1960 -  sollecitava Carlo Arturo Jemolo in un articolo apparso su “La Stampa”.
La Resistenza non sia argomento 
di una retorica ipocrita.
Inviterei a prendere le distanze, con umiltà ma con fermezza, dai facili pensieri, dalle sicurezze classificatorie di tanti benpensanti (non importa se di destra o di sinistra) che, sordi e ciechi alla drammaticità del nostro presente e delle sofferenze cogenti di chi è meno garantito, antepongono i loro interessi e gli intrighi delle loro consorterie alla risoluzione del dramma che il Paese, il Mediterraneo ed il mondo intero stanno vivendo e soffrendo.

La Resistenza è estranea 
a chi gioca con le sofferenze del mondo.
Inviterei a guardarci bene dall’inneggiare alla Resistenza ed ai partigiani, se gli odierni comportamenti  non corrispondono  ai valori  per cui essi s’immolarono, perché “si parla troppo della Resistenza e poco si riflette sui suoi valori”.
La Resistenza interroga 
sui valori.
Forse si assottiglierebbe il numero di coloro che oggi a gara plaudono alla Resistenza, ma rifiorirebbero le speranze in una vera unità europea dei popoli e non solo dei governi, nella collaborazione  tra i diversi partiti per il bene del paese, nella solidarietà e mobilità sociale, nella democrazia sostanziale e non formale, nell’equità fiscale, nel ripudio della guerra, nel dovere da parte di tutti i governanti di vivere una vita limpida, estranea ad ogni forma di corruzione, pravilegio e clientelismo.

La Resistenza non ammette la ricchezza 
che nasce dalla guerra, dalla corruzione, dall'ingiustizia...
Celebrare la Resistenza significa liberarsi una volta per tutte   da certi  modi di fare politica, dalla sottesa  aridità spirituale, dal disincanto che non ammette aneliti, ma solo maschere, simulacri, formule trite, diversivi ed intrighi di consorteria. Significa non dare pace all’idolatria del paganesimo politico,  non scendere a patti con chi crede gli altri per forza somiglianti alla propria mediocrità, non rinunciare all’obbligo di pensare e prendere coscienza del rovinio della futilità; soprattutto significa ristabilire le grandezze, continuando l’impegno pervicace quotidiano di fare crescere la speranza e la fiducia nelle istituzioni politiche, in sé né dannate né prevaricanti.

Resistere vuol dire 
coltivare la speranza ...
Celebrare la Resistenza significa far cadere i veli e le illusioni, precisare i contorni del vecchio e del nuovo, che non sono il passato o il futuro, gli anziani  o i giovani, ma dimensioni spirituali. “Nuovo” significa ritornare a pensare in grande, riappropriarsi degli orizzonti che appartengono a chi  ben conosce la miseria e la grandezza dell’uomo, a chi non aspira ad impossibili purezze, ma esige con ogni sforzo la via della coerenza e della testimonianza  più autentica da parte di tutti, soprattutto di coloro che hanno pubbliche, e non solo politiche, responsabilità.

Resistere vuol dire costruire il tempo 
e non lasciarsi vivere nel tempo...
La Resistenza fu fenomeno europeo, avviamento ad una Europa (di popoli non solo di governi) unita nella libertà, solidale (per la quale sarebbero risultate inconcepibili l’inerzia e l’indifferenza per le ecatombi nel Mediterraneo, senza dimenticare lo stillicidio quotidiano delle morti anonime  dei fuggitivi migranti nelle lande africane, ai confini tra Messico ed Usa, in Australia…).
Resistere vuol dire uscire 
dall'indifferenza verso gli altri, 
bersagliati dalla vita.
La Resistenza, che fu collaborazione fra partiti diversi, è tradita dall’esasperazione di contrasti tra i partiti senza un perché, dove maggioranze e minoranze si demonizzano a vicenda, rifiutando ogni collaborazione perché non sanno e non vogliono guardare alle mete comuni.
La Resistenza fu unione di credenti e di atei, ognuno rispettoso della diversità e dei valori dell’altro.
Resistere significa unire gli sforzi 
nella tensione verso mete comuni.
La Resistenza si espresse nel sacrificio, nella rinuncia ai vantaggi personali, nella generosità e solidarietà che mal si combinano con l’iniquità fiscale, “gli alti redditi ed i munifici stipendi”, l’impudico tenore di vita di troppi politici, i pravilegi, le corruzioni, le mille forme di nepotismo che in troppi bandi o esami o concorsi pubblici impediscono la selezione dei più capaci,  negano  i meriti e frenano la mobilità sociale.
Lo spirito della Resistenza è la democrazia,  ma “sono i democratici -  così scriveva G. Bernanos - che fanno le democrazie, è il cittadino che fa la repubblica. Una democrazia senza democratici, una repubblica senza cittadini, è già una dittatura, la dittatura dell’intrigo e della corruzione” (cfr. La Francia contro la civiltà degli automi, Brescia 1947, pag.25).
Resistere vuol dire 
uscire dal gregge ...
“Se così si fissasse lo spirito della Resistenza - concludeva Carlo Arturo Jemolo -, si vedrebbe quanti realmente lo onorano e quanti lo aborrono. Certo si assottiglierebbe  molto il numero di coloro che oggi inneggiano alla Resistenza,  ma son certo che, “se cosa di qua in ciel  si cura”, quanti caddero per la Resistenza sarebbero ben lieti di vedere dimenticati i loro nomi, senza un fiore le loro lapidi, pur che restassero vivi (fosse pure coltivati da una minoranza) quei valori  per cui essi  s’immolarono”.
Resistere vuol dire 
raccogliere un'eredità.
Tutte le immagini - a nostro avviso potentissime - riportate in questo post sono tratte dalla pagina facebook di Angel Boligán Corbo, un artista cubano che denuncia, attraverso le sue vignette, le storture e le malattie della società contemporanea. 

Resistere significa
denunciare e annunciare.
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