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mercoledì 31 luglio 2013

Aspettando la sentenza della Cassazione...


E’ politicamente e moralmente pesante l’ORA ATTUALE, costellata di inaccettabili intolleranze.
Pare che il destino dell’Italia, ed in qualche modo il destino di ognuno di noi (delle persone a noi prossime e di quelle che mai conosceremo) sia appeso al destino giudiziario di un uomo di strapotere. Dove è la giustizia? Dove la verità? Dove l’accettazione ed il rispetto delle responsabilità personali? Dove l’accettazione ed il rispetto delle prerogative istituzionali e della divisione dei poteri? Dove il senso della misura e del discernimento? Dove la volontà di convivialità e di comunione?
In questo tempo della notte e dell’esodo ognuno di noi è defraudato in quanto uomo o donna e la politica è svuotata e svilita a partito di affari. Ognuno di noi,  vivendo  di ciò che i media decidono e fanno esistere, pare   sacrificato ad una cultura  che nega ogni dimensione di comunione, ogni volontà di solidarietà, ogni speranza di giustizia.
Non si può tacere di fronte a questa vecchia-nuova difesa dei propri privilegi, alla cultura dell’arroganza, agli  egoismi fiscali e corporativi, agli egoismi regionali, agli egoismi etnici e razzisti, al liberismo ad oltranza che maschera ipocrisie e giochi degli affari.
Non è solo un pericolo che opprime la vita, ma un peccato che sterilizza le anime e gli stessi valori cristiani, troppo spesso usati come paravento e giustificazione di un ordine che è un disordine, di una carità che è gioco ozioso, di una libertà che è l’iniziativa lasciata ai potenti di condurre la partita.
Non basta l’indignazione se non si traduce in presenza. Non basta prendere coscienza se non si prende posizione contro un disordine troppo esteso e troppo tenace per essere combattuto senza versare nulla e senza reclamare volti nuovi.
Non basta uscire dal silenzio e dall’indifferenza sulle ingiustizie.
Non bastano le facili denunce il cui principale difetto è quello di fare pesare le responsabilità sugli altri.
Occorre l’impegno che è virtù non dell’istante ma della durata e che è dato dal cambiamento personale, dal sacrificio, dalla fedeltà e dalla testimonianza come servizio permanente alla verità.
Né rassegnati né disperati, viviamo la speranza, amiamo la terra dei viventi, coltiviamo l’utopia che è insieme denuncia ed annuncio, resistenza e proposta, pensiero creativo e realismo pragmatico e propositivo.

Testimoni del diluvio e dell'arcobaleno.







Arcobaleno.
Anch’io sono testimone del diluvio. Quello dell’intolleranza, della prevaricazione, del razzismo contro gli immigrati, della violenza quotidiana contro i minori, le donne, gli zingari, i meridionali, gli irriducibili alla nostra norma di persone perbene.  Come lettore attento di quanto sta accadendo in varie città d’Italia, sono testimone del pregiudizio nei confronti degli altri, quasi che i poveri, i tossici, gli zingari, i terzomondiali non possano mai darci nulla di buono, e a dare possiamo essere solo noi.  Ma sono testimone anche dell’arcobaleno. Soprattutto l’arcobaleno del volontariato. C’è un’incredibile economia sommersa di generosità e di dono. C’è un’inarrestabile volontà di pace che si esprime perfino con la protesta nei confronti dei moduli correnti della logica della guerra. Circola una diffusa richiesta di senso, che interpreta il tempo speso per gli altri come l’unico investimento produttivo nella borsa valori della vita.
(DON TONINO BELLO, Alfabeto della vita, ed. Paoline, 2010, pag. 21)

C. D. Friedrich, L'arcobaleno.

sabato 27 luglio 2013

CIASCUNO CRESCE SOLO SE SOGNATO…








C’è chi insegna 

guidando gli altri come cavalli 

passo per passo. 

Forse c’è chi si sente soddisfatto 

così guidato. 

C’è chi insegna lodando 

quanto trova di buono e divertendo: 

c’è pure chi si sente soddisfatto 

essendo incoraggiato. 

C’è pure chi educa, senza nascondere 

l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni 

sviluppo ma cercando 

d’essere franco all’altro come a sé, 

sognando gli altri come ora non sono. 

Ciascuno cresce solo se sognato. 

(DANILO DOLCI)

mercoledì 24 luglio 2013

la forza di sperare quando gli altri si rassegnano…


 
“L’essenza dell’ottimismo
non è soltanto guardare al di là della situazione presente,
ma è una forza vitale,
la forza di sperare
quando gli altri si rassegnano,
la forza di tenere alta la testa
 quando sembra che tutto fallisca,
la forza di sopportare gli insuccessi,
una forza che non lascia mai il futuro agli avversari,
il futuro lo rivendica a sé”.
(D. BONHOEFFER

)

martedì 16 luglio 2013

Riflettendo sul “caso” Ablyazov (Kazakistan)

Risvegliare le coscienze...
Ci si può chiedere che effetto può avere
Amnesty International
nella lotta in difesa
dei diritti dell’uomo.
La risposta è: una costante educazione
dell’opinione pubblica.
Il risveglio della coscienza del maggior
numero di persone,
che rivendicano per gli altri quei diritti
che giudicano fondamentali per la propria
vita,
è la premessa diretta alla liberazione,
o almeno a un trattamento meno disumano,
del maggior numero possibile di prigionieri
per motivi di coscienza.
La vittoria del diritto e dell’umanità
non è certamente obiettivo a portata di mano
e noi non l’attendiamo subito e dappertutto.
Non arriverà domani.
Ma dopodomani sì,
se oggi avremo fatto, ognuno e tutti insieme,
la nostra parte.
Gli stoici dicevano:
che la giustizia sia fatta e vada pure il mondo
alla rovina.
Ma è ben più vera la correzione apportata da
KANT  al celebre detto:
fa’ quello che devi affinché il mondo non vada
in rovina:
“fiat iustitia ne pereat mundus” “.
(PITER BENENSON, fondatore di A.I.)
***

domenica 14 luglio 2013

Vigilare sulla Costituzione...


Altan.
Venerdì scorso ad Albenga ho ascoltato con molto piacere l’appassionato intervento del sen. NANNI RUSSO sui rischi della riforma della Costituzione, così come voluta da alcune forze parlamentari, e sulla vergognosa sospensione dei lavori del Parlamento, come protesta avverso  una decisione della Cassazione. Condivido pienamente le sue ansie e le sue preoccupazioni, che sono ansie e preoccupazioni di moltissimi Italiani.
Come non prendere le distanze, con umiltà ed ironia,  dai facili pensieri, dalle sicurezze classificatorie di tanti benpensanti (non importa se di destra o di sinistra, se del PDL o del PD)  che antepongono eventuali affrettate riforme costituzionali alla risoluzione del dramma che il Paese sta vivendo e soffrendo, che quindi ritengono la Costituzione un naso di cera facilmente manipolabile a proprio piacimento e secondo i propri interessi, che hanno applaudito la sospensione dei lavori parlamentari come un fatto naturale, che  preconizzano, novelle cassandre,  nella sentenza del prossimo 30 luglio il rischio dell’apocalisse?
Non è forse ora di  burlarsi di questi modi di fare politica, della sottesa  aridità spirituale, del disincanto che non ammette aneliti, ma solo   maschere, simulacri, formule trite, diversivi ed intrighi di consorteria?
Burlarsi dunque per non dare pace all’idolatria del paganesimo politico, per non scendere a patti con chi crede gli altri per forza somiglianti alla propria mediocrità, per non rinunciare all’obbligo di pensare e prendere coscienza del rovinio della futilità, della drammaticità del nostro presente, delle sofferenze cogenti  di chi è meno garantito.
E’ necessario ristabilire le grandezze, è necessario continuare l’impegno pervicace quotidiano di fare crescere la speranza e la fiducia nelle istituzioni politiche, in sé né dannate né prevaricanti.
Cadono i veli e le illusioni e si precisano i contorni del vecchio e del nuovo, che non sono il passato o il futuro, gli anziani  o i giovani, ma dimensioni spirituali, per cui “nuovo” significa una cosa sola: ritornare a pensare in grande, riappropriarsi degli orizzonti che appartengono a chi  ben conosce la miseria e la grandezza dell’uomo, a chi non aspira ad impossibili purezze, ma esige con ogni sforzo la via della coerenza e della testimonianza  più autentica.

venerdì 12 luglio 2013

Ripensando a Lampedusa ….

Mediterraneo.
 
Si chiamava                                Maommed  Sceab.
Discendente                                di  emiri di nomadi
suicida                                        perché non aveva più
patria.                                         Amò la Francia
E mutò nome.                             Fu Marcel
Ma non era Francese                  e non sapeva più
vivere                                          nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena         del Corano
gustando un caffè                       e non sapeva sciogliere
il canto                                        del suo abbandono.
L’ho accompagnato                    insieme alla padrona dell’albergo
dove  abitavamo                         a Parigi
dal numero 5 rue des Carmes      appassito vicolo in discesa.
Riposa                                          nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare                        sempre
in una giornata                             di una decomposta fiera.
E forse io solo                              so ancora  che visse.


(G. UNGARETTI,  Vita di un uomo, Milano 1970, pp.27-28).