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sabato 20 aprile 2024

L'arte del dimenticare.

“Dimenticare al tempo giusto tanto bene quanto si sa, al tempo giusto, ricordare”.
Post di Rossana Rolando.

Hieronymus Bosch, Il giardino delle delizie, uomo con topo
Funes, nel racconto di Borges. In un racconto di Borges, contenuto in Finzioni, si narra di un certo Ireneo Funes che, dopo essere stato travolto da un cavallo selvaggio, è rimasto paralizzato nel corpo e mutato nella mente, in particolare nella facoltà di ricordare. Prima della caduta è uno smemorato che dimentica tutto o quasi tutto.
Dopo, al contrario, la sua percezione del reale diviene quasi intollerabile, tanto è ricca e nitida, così come è particolareggiata la rimembranza degli eventi più antichi e banali. Ireneo ha più ricordi – lui solo – di tutti gli uomini messi insieme, in tutti i tempi. Non può nemmeno dormire, teso com’è a recepire il mondo. Ha imparato facilmente le lingue: l’inglese, il francese, il portoghese, il latino… Ma c’è qualcosa che non funziona in questa sua potentissima facoltà di ricordare. Nel suo mondo sovraccarico di dettagli - inutili come un “deposito di rifiuti” - manca l’attitudine al pensare, perché essa esige processi di selezione, generalizzazione, in una parola richiede la capacità di dimenticare piccole variazioni per unificare sotto un unico concetto: “Non solo gli era difficile comprendere come il simbolo generico «cane» potesse designare un così vasto assortimento di individui diversi per dimensioni e per forma; ma anche l’infastidiva il fatto che il cane delle tre e quattordici (visto di profilo) avesse lo stesso nome del cane delle tre e un quarto (visto di fronte).”¹
 
Hieronymus Bosch, Il giardino delle delizie, figura con pesce che vola
L’arte del dimenticare. Il racconto di Borges mette bene in luce come l’eccesso del ricordare, non accompagnato dalla giusta dose di oblio, possa diventare un impedimento al pensare.
Lo ha detto, in un diverso contesto, Friedrich Nietzsche, nella sua Considerazione Inattuale, dal titolo: Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Essa si apre, quasi subito, con un’osservazione dal sapore leopardiano, che sembra preferire l'esistenza non storica degli animali rispetto all'ineludibile storicità dell’uomo: “Osserva il gregge che pascola davanti a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi: salta intorno, mangia, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piolo dell’istante, e perciò né triste né tediato. […] L’uomo chiese una volta all’animale: perché non mi parli della tua felicità e soltanto mi guardi? L’animale dal canto suo voleva rispondere e dire: ciò deriva dal fatto che dimentico subito quel che volevo dire – ma subito dimenticò anche questa risposta e tacque; sicché l’uomo se ne meravigliò. Ma egli si meravigliò anche di sé stesso, di non poter imparare a dimenticare e di essere sempre legato al passato: per quanto lontano per quanto rapidamente egli corra, corre con lui la catena. […]”.²
 
Hieronymus Bosch, Il giardino delle delizie, Fontana della vita
La giusta dose del dimenticare e del ricordare. Per Nietzsche l’uomo non può non ricordare, come fa l’animale, ma deve poter dimenticare, se vuole vivere. Lo dice con un esempio che precorre la riflessione psicoanalitica e che è tratto dalla comune esperienza esistenziale: vi sono uomini che non sanno dimenticare e rimangono prigionieri del loro passato – di un dolore, di un torto subito – e continuano a sanguinare, senza la forza “di trasformare e incorporare ciò che è passato ed estraneo, di risanare le ferite, di sostituire ciò che si è perduto, di rimodellare da sé forme infrante”.³
Il discorso si allarga poi alla dimensione storica. E’ necessario e salutare saper “dimenticare al tempo giusto tanto bene quanto si sa, al tempo giusto, ricordare”.
A ben vedere, non è l’importanza della memoria - e della conoscenza storica – ad essere messa in discussione, quanto piuttosto l’eccesso di erudizione fine a se stessa, la malattia del dettaglio inutile, la collezione di informazioni che non si traduce in creatività e cultura capace di accrescere la vita.
 
Hieronymus Bosch, Il giardino delle delizie, Grande fiore
Attualizzazione. Dimenticare vuol dire quindi selezionare, saper individuare ciò che conta, scegliere nel passato ciò che va ereditato per farne oggetto di un’autentica conquista. 
Nel tempo dell’informazione diffusa e acritica, nella rivoluzione dell’Intelligenza artificiale, nella grande rete di internet (in cui la foresta delle nozioni ci raggiunge indistinta, senza ordine gerarchico), il richiamo di Nietzsche alla giusta dose del dimenticare e del ricordare – che poi vuol dire esercizio del pensiero critico – appare quanto mai opportuno.
 
Note. 
1. Jorge Luis Borges, Funes, o della memoria, in Finzioni, Opere complete,  Meridiani, Mondadori, Milano 1984, vol. 1, p. 714.
2. Cfr. qui, p. 19.
3. Cfr. qui, p. 20. 
4. Cfr. qui, p. 21.
 
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3 commenti:

  1. Molto interessante e vero! Oltre alla necessità di selezionare oggi la quantità di informazioni che ci arrivano in modo indistinto, ci sono fardelli che, a un certo punto, è bene deporre per poter guardare avanti con maggiore libertà interiore. Ricordo, anni fa, una conferenza di Mario Calabresi proprio su questo argomento, relativo alla necessità di "staccare" anche da vicende dolorose che lo avevano toccato da vicino.
    Grazie mille Rossana e un abbraccio!

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    1. Grazie, cara Annamaria. Hai colto bene i due fulcri del dimenticare. Il piano esistenziale dello "staccare" - rispetto ad un passato doloroso - non ha il carattere inconscio della rimozione, che continua ad agire sotterraneamente, quanto piuttosto quello di un lucido prendere distanza da ciò che costituisce un sicuro tormento per la vita presente e futura. Un caro abbraccio, Rossana.

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  2. Cara Rossana, grazie di queste preziose considerazioni. Abbiamo bisogno di una 'digestione' dei ricordi e della memoria per evitare saturazioni nocive e assimilare quello che ci serve, per nutrire in modo fecondo la nostra esistenza. Un caro abbraccio.

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