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sabato 31 agosto 2013

Risposta al commento del 29.8: le ragioni di questo blog


  
Spero e presumo possa essere  per tutti  un’avventura ed insieme  un’incognita entrare in questo blog, non importa se per caso o per la prima  o per la seconda volta….  Quando lo si  propone da parte mia o lo si  incontra da parte vostra ancora non si sa cosa è o cosa diverrà, si spera che sia come ci si attende che sia e che si possa trovare qualcosa che ci manca e di cui si è privi (e che cosa sia non sempre ci è chiaro).  Magari alla fine il cercare e lo  scoprire si conclude in un ideale ritrovarsi ed insieme riconoscersi.  Si scrive; si legge e leggere è sempre  interpretare;  si sfogliano i post;  ci si accorge che il conoscere si può trasformare in un riconoscere e che la lettura  può diventare un incontro con se stessi, con chi scrive, con idee e valori, con le persone ed i personaggi  descritti o citati.   Ogni buon  blog – come del resto ogni buon libro cartaceo - dovrebbe lasciare un’orma, rimettere in questione qualcosa (un problema, una  presunta sicurezza,  la nostra ubris…, oppure qualcosa  di sopito, di velato, di nascosto che reclama da tempo di emergere alla luce) e finire – chissà - per rimettere ognuno di noi, ognuno in modo diverso, in questione.

Spero che “Persona e comunità” sia un buon blog,  al di là del numero delle visualizzazioni…. 

E, a proposito del nome dato al blog, il riferimento è proprio ad Emmanuel Mounier.  Scoperto negli anni universitari, egli è, infatti, tra i miei ideali maestri. Perciò  la sua  presenza traspare indubbiamente e volutamente in tanti miei interventi.
 

lasciare un'orma ...

martedì 27 agosto 2013

La sfida per una nuova rinascita.


Ottantun anni fa, nell’ottobre 1932, il giovane Emmanuel Mounier pubblicava il primo numero di “Esprit”:  una rivista,  oggi ancora ben presente nel panorama europeo, che soprattutto nel secondo dopoguerra  è stata il punto di riferimento per molti cattolici italiani.  Mounier – chi ne conosce il pensiero e l’opera lo sa bene – è  stato in Italia voce ispiratrice del Vaticano II. Ed ancor oggi, nella sua inattualità,  offre spunti  formidabili di riflessione in questo “tempo di privazione”. 

Di fronte alla crisi generale degli anni ’30 il giovane Mounier  nel primo numero di “Esprit” dell’ottobre 1932 lanciava la sua sfida: “Refaire la Renaissance”.  Non il rinascimento  individualista  ed aristocratico dei libri di storia, ma la rinascita articolata su due poli, persona e comunità. Anche oggi eventi e misfatti di ogni genere, dentro e fuori l’Italia, sembrano segnare la fine di un  mondo: guerre  civili, stragi del terrore, uso spietato e sprezzante delle armi più micidiali contro donne e bambini  innocenti, spirali di corruzione, incubi di apocalittiche migrazioni di massa, vecchi e nuovi partiti asfittici, vecchi e nuovi egoismi che fanno lega, tutti perduti  nell’ “inferno della stupidità”. “La putrefazione  del mondo moderno – scriveva Mounier – è così avanzata e così radicata che è necessario che tutta la massa verminosa crolli affinché nuovi germogli spuntino”.

Il giovane Mounier  riteneva che la ribellione e l’indignazione fossero il primo passo necessario contro il “disordine stabilito”, l’egoismo dei sepolcri imbiancati, l’alibi del disincanto e della rassegnazione, le insulse piccinerie in cui si prostituiscono le cose dello spirito. L’indignazione si  traduceva in un irresistibile bisogno di presenza e di impegno. Per Mounier cristiano ciò significava prima di tutto testimoniare la rottura tra ordine cristiano e disordine stabilito. E chiariva che non si trattava solo di prendere coscienza, ma di prendere posizione contro un disordine troppo esteso  e troppo tenace per essere combattuto senza versare nulla, senza una revisione dei valori, senza una riorganizzazione della classe dirigente, senza reclamare volti nuovi.

 L’impegno per Mounier non era dato dalla scelta del partito, ma dal cambiamento personale, dalla testimonianza come fedeltà permanente alla verità. Le condizioni che intravedeva per una possibile rinascita civile sono, nella loro inattualità, così attuali da poter essere riproposte almeno come provocazione:

- un ideale cenacolo di donne e uomini perfettamente liberi che, al di là delle diversità di parte e di fede, innanzitutto si prefiggono di dire la verità, niente altro che la verità, disposti ad accordarsi su  una visione  della  società  in cui il fondamento siano  i diritti-doveri delle persone   

-  persone disposte anche all’assunzione di responsabilità pubbliche e radicate nell’abitudine a vedere tutti i problemi dal punto di vista del bene della comunità umana e non dei capricci e dei profitti individuali    

-  persone  capaci di  unire forza e generosità, mistica e politica, senza curarsi né di referenze né di deferenze.

Non temeva né l’accusa di utopia né i rischi dello scacco.  Alla “sicurezza degli arrivati” ed “al male di vivere degli anemici della lotta spirituale” opponeva la “plenitudine tragica” della fede cristiana che, pur nell’esperienza quotidiana della notte e del deserto, pur portando “il tragico ai vertici”, rifiuta la disperazione perché trabocca di speranza. Il suo non era un Cristianesimo di gente tranquilla: era di vasto respiro, segnato dalle virtù della fortezza  e della carità, “virtù di fuoco”, che non servono certo da prestanome alla debolezza. E così ritrovava il senso dell’avventura umana e (per lui) cristiana.

Oggi tocca  a noi. Quanti sono pronti?





Luce che filtra nel buio




lunedì 26 agosto 2013

La fattoria degli animali ...


TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI
MA ALCUNI  ANIMALI SONO  PIÙ UGUALI
DEGLI ALTRI
(George Orwell)

“In un antico trattato greco di caccia e di pesca i due animali che fanno particolare sfoggio di metis [astuzia] sono la volpe e il polipo. L’astuzia della volpe consiste soprattutto nel capovolgersi quando l’aquila l’attacca; quella del polipo è di rendersi imprendibile per le molte forme che assume.  Il suo calco umano è l’uomo polútropos, l’uomo dalle mille risorse. In questi anni si è diffuso lo studio delle metafore, specie delle metafore animali, nel linguaggio politico. Se ne fa un uso continuo: si pensi in quanti discorsi politici quotidiani entri per diritto o per traverso il riferimento ai “falchi” e alle “colombe”. La metafora della volpe è arcinota. Meno usuale, se non addirittura dimenticata, quella del polipo. Il polipo è capace di adattarsi alle situazioni più varie, di assumere gli aspetti più diversi, d’inventare mille movimenti imprevedibili che renderanno la sua azione più efficace nelle più varie circostanze. Sembra da questa interpretazione che oggi gli stessi caratteri si attribuiscano piuttosto all’uomo politico che spregiativamente viene chiamato “camaleonte”. Vorrei osservare che nessuna di queste metafore animalesche, serpente, volpe, leone, polipo, camaleonte, potrebbe essere usata per raffigurare l’uomo morale, colui che agisce in vista del bene universale, e non soltanto di quello della città. Una prova di più, se ancora ce ne fosse bisogno, della irriducibilità delle cosiddette virtù politiche nel senso machiavellico della parola alla virtù morale”.
(Norberto Bobbio, Ragion di stato e democrazia, in Elogio della mitezza, Il Saggiatore, Milano 2010, pagg. 96-97)

 

domenica 25 agosto 2013

Chiacchiera odierna e nostalgia del silenzio.

 
 
 Sa parlare secondo verità soltanto chi prima ha imparato bene a tacere.
Custodire il silenzio significa alimentare la parola. […]
poiché non è parlando che dobbiamo imparare a tacere,
ma tacendo dobbiamo imparare a parlare.
(Gregorio Magno)

 
Ascoltando, in questi giorni di tormentate vicende politiche nazionali,   le interviste ad iosa rilasciate da taluni esponenti di partiti politici, mi è ritornata in mente la celebre espressione di Luigi Einaudi: ”Nessuna  cosa è tanto odiata dai politici quanto il parlare chiaro”. Sembra  che per costoro confrontarsi con noi comuni mortali e sostenere  le loro idee   nulla abbiano   a che fare con il rispetto della nostra intelligenza e con il gusto della verità. Usano le parole come gargarismi linguistici per incantare, confondere,  soffocare, prevaricare. Ognuno prepara il suo gioco:  minacce e ricatti  diventano difesa della democrazia;  la giustizia si trasforma nei loro riguardi in ingiustizia; il reo definitivamente giudicato è vittima di carnefici travestiti da giudici; grazia, indulto, amnistia sono merce di scambio camuffata da  ragion di stato;  la “pacificazione”  diventa sinonimo di connivenza e correità;  gli interessi individuali assurgono a fulcro della politica. L’aria fritta  degli  effetti abbaglianti, degli slogan demagogici e  delle formule incantatorie copre  le menzogne  e si ammanta   di apparenza di solidità,  nel volgare e lucido  disprezzo per  il cervello della gente, che deve essere ad ogni costo liberata  dalla fatica di pensare e ragionare.

Rimane la nostalgia del silenzio. Non il silenzio  come fuga o disamore della parola, ma il silenzio di tutte le persone che ogni giorno testimoniano nella concretezza del loro lavoro, nella semplice trasparenza delle loro parole, la possibilità di  ristabilire le grandezze, ritrovare i centri di gravitazione, dar senso e far crescere in chi le incontra  la speranza.

 





La ricerca del silenzio

 
 

domenica 18 agosto 2013

Ferragosto 2

 

Le fotografie – come le precedenti raccolte nel primo post di ferragosto - sono state scattate il 15/08/2013 lungo il sentiero che conduce alla cima del monte Frontè (2153 m), sulle Alpi Marittime. Se si desidera visualizzare meglio le immagini espandendole è sufficiente cliccare il tasto sinistro su una singola immagine e via via sulle altre. Quindi si può uscire dalla serie cliccando il piccolo tasto che compare in alto a destra.

 



































venerdì 16 agosto 2013

Ferragosto


Le fotografie sono state scattate il 15/08/2013 lungo il sentiero che conduce alla cima del monte Frontè (2153 m), sulle Alpi Marittime. Se si desidera visualizzare meglio le immagini espandendole è sufficiente cliccare il tasto sinistro del mouse su una singola immagine e via via sulle altre. Quindi si può uscire dalla serie cliccando il piccolo tasto che compare in alto a destra.