“Il caffè è la casa aperta, al livello
della strada, luogo della socialità facile, senza responsabilità
reciproca. Si entra senza
necessità. Ci si siede senza stanchezza,
si beve senza sete. Pur di non restare nella propria stanza. Voi sapete che tutte le disgrazie provengono
dalla nostra incapacità di restare soli nella nostra stanza. Il caffè non è un
luogo, è un non-luogo per una
non-società, per una società senza solidarietà, senza domani, senza impegni, senza
interessi comuni: società del gioco. Il
caffè, casa di gioco, è il punto attraverso il quale il gioco entra nella vita
e la dissolve. Società senza ieri e
senza domani, senza responsabilità, senza serietà – distrazione, dissipazione.
Al cinema viene
proposto sullo schermo un tema comune, come a teatro sul palcoscenico. Al caffè
non c’è nessun tema. Si sta lì, ciascuno al suo tavolino, davanti alla tazza o
al bicchiere, ci si rilassa completamente al punto di non dover niente a niente
e a nessuno; ed è perché si può andare
al caffè a rilassarsi che si sopportano gli orrori e le ingiustizie di un mondo
senz’anima. Il mondo come gioco, dal quale ognuno può ritirarsi per esistere
solo per se medesimo, luogo di dimenticanza – dell’oblio dell’altro – ecco il
caffè. […] Non costruire il mondo è distruggerlo”.
(E. Lévinas, Dal
sacro al Santo, Città Nuova ed., Roma 1985, pag. 49).
Un passo davvero apprezzabilissimo. Grazie. Un imperativo anche ad una educazione 'altra'(cominciando dalla rieducazione di noi stessi, alla quale questo blog richiama e che insegna) da (e)seguire assolutamente. Quali azioni si è disposti a commettere pur di non restare nella solitudine della propria stanza, dal 'non vidi ergo non est'...
RispondiEliminaGRAZIE.
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