che si schiudono a primavera"
IVAN e l’amore viscerale per la vita: “Se non avessi fede nella vita, se avessi cessato di credere
in una donna amata, se non credessi più nell’ordine delle cose, se mi fossi anzi
convinto che tutto, invece, è un caos
disordinato, maledetto e forse diabolico, se fossi anche colpito da tutti i più
orribili disinganni umani, anche allora vorrei vivere e, poiché mi sono
accostato a questa coppa, non me ne
staccherei finché non l’avessi
vuotata! […] Mi sono domandato molte volte: c’è al mondo
una disperazione capace di vincere in me questa furiosa e forse indiscreta brama di vivere? [...] Questa brama di vita certi
moralisti tisicuzzi e incimurriti,
specialmente i poeti, spesso la dicono
vile. In parte è una caratteristica dei Karamazov, questa brama di vita, è
vero; nonostante tutto, c’è senza dubbio anche in te, ma perché mai sarebbe
vile? Sul nostro pianeta, Aljòša, c’è ancora moltissima forza centripeta. Si
vuol vivere, e io vivo, sia pure a dispetto della logica. Non crederò nell’ordine
delle cose, ma mi sono care le foglioline
attaccaticce che si schiudono a primavera, mi è caro il cielo azzurro, mi sono
care certe persone, che qualche volta,
credimi, non sai nemmeno perché
le ami, mi sono care certe imprese umane, nelle quali forse già da tempo hai cessato di
credere, ma che veneri tuttavia per una vecchia abitudine del cuore. […]le foglioline viscose a primavera,
il cielo azzurro, ecco quello che amo! Qui non c’entra l’intelligenza né la logica, qui
tu ami con le viscere…”
(F. Dostoevskij,
I fratelli Karamazov, libro
quinto, cap. III, ed. Garzanti, 1981,
pag. 245).
La sua anima
piena di estasi aveva sete
di libertà, di spazio, d’immensità.
Aljòša e la venerazione della terra: “La sua anima piena
di estasi aveva sete di libertà, di spazio, d’immensità. Sopra di lui si aprì
vasta, a perdita d’occhio, la volta celeste, piena di placide stelle
scintillanti. Dallo zenit all’orizzonte si sdoppiava, ancora indistinta, la Via
Lattea. Una notte fresca e calma fino all’immobilità avviluppava la terra. Le torri bianche e le cupole dorate della
cattedrale brillavano sopra un cielo di zaffiro. I magnifici fiori autunnali delle aiuole
attorno alla casa si erano addormentati,
in attesa del mattino. Il silenzio della terra pareva fondersi con quello
del cielo, il mistero terrestre si congiungeva
a quello delle stelle. Aljòša stava in piedi e guardava, e a un tratto, come falciato,
si prosternò sulla terra. Non sapeva perché l’abbracciasse, non si dava ragione
del suo desiderio irresistibile di baciarla, di baciarla tutta, ma la baciava
piangendo, singhiozzando e bagnandola delle sue lacrime, e girava, nella sua
esaltazione, di amarla in eterno.” (F. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov, ed. Garzanti, 1981, libro settimo, cap. IV,
pag. 386).
“Che cosa importa
qualche mio guaio e qualche mia disgrazia,
se mi sento la forza di essere felice?"
IL PRINCIPE MYSKIN e la forza di essere comunque felici: “Un giorno sereno, pieno di sole, andò sui monti e vi rimase a lungo a camminare, torturato da un vago pensiero, che non riusciva a dominare. Davanti a sé vedeva il cielo limpidamente azzurro, sotto di sé il lago, intorno l’orizzonte luminoso, senza principio né fine. Ed egli contemplava tutto ciò con l’anima torturata. Ora si ricordò come tendeva le braccia verso quell’azzurro risplendente e lontano e piangeva. Si sentiva estraneo a quella magnificenza, e ne soffriva. Che cos’era quel banchetto, quella continua festa immensa, che durava eternamente e alla quale si sentiva attratto da gran tempo, fin dalla prima infanzia, senza mai potervi prendere parte in alcun modo? Ogni mattina spunta lo stesso sole luminoso; ogni mattina, sulla cascata s’incurva l’arcobaleno; ogni sera, laggiù, all’estremo limite del firmamento, si accende di una fiamma purpurea la cima del monte più alto, coperta di neve; ogni «piccolo moscerino che continua a ronzare intorno a lui in un raggio di sole partecipa a quel coro festoso, vi ha il proprio posto, lo ama ed è felice», ogni fuscello cresce ed ha la sua parte di felicità! Ogni essere, ogni cosa ha il suo sentiero ben tracciato, che percorre tra i canti; egli solo non sa nulla, non capisce nulla, è estraneo agli uomini, estraneo ai suoni, a tutto, è un rinnegato della natura”. (F. Dostoevskij, L’Idiota, parte terza, cap. VII, ed. Garzanti, 1982, pagg. 531-532).
se mi sento la forza di essere felice?"
IL PRINCIPE MYSKIN e la forza di essere comunque felici: “Un giorno sereno, pieno di sole, andò sui monti e vi rimase a lungo a camminare, torturato da un vago pensiero, che non riusciva a dominare. Davanti a sé vedeva il cielo limpidamente azzurro, sotto di sé il lago, intorno l’orizzonte luminoso, senza principio né fine. Ed egli contemplava tutto ciò con l’anima torturata. Ora si ricordò come tendeva le braccia verso quell’azzurro risplendente e lontano e piangeva. Si sentiva estraneo a quella magnificenza, e ne soffriva. Che cos’era quel banchetto, quella continua festa immensa, che durava eternamente e alla quale si sentiva attratto da gran tempo, fin dalla prima infanzia, senza mai potervi prendere parte in alcun modo? Ogni mattina spunta lo stesso sole luminoso; ogni mattina, sulla cascata s’incurva l’arcobaleno; ogni sera, laggiù, all’estremo limite del firmamento, si accende di una fiamma purpurea la cima del monte più alto, coperta di neve; ogni «piccolo moscerino che continua a ronzare intorno a lui in un raggio di sole partecipa a quel coro festoso, vi ha il proprio posto, lo ama ed è felice», ogni fuscello cresce ed ha la sua parte di felicità! Ogni essere, ogni cosa ha il suo sentiero ben tracciato, che percorre tra i canti; egli solo non sa nulla, non capisce nulla, è estraneo agli uomini, estraneo ai suoni, a tutto, è un rinnegato della natura”. (F. Dostoevskij, L’Idiota, parte terza, cap. VII, ed. Garzanti, 1982, pagg. 531-532).
“Che cosa importa qualche mio guaio e qualche mia disgrazia, se mi sento la forza di essere felice? Sapete? Io non so come sia possibile passare accanto a un albero
e non sentirsi felici di vederlo.
Parlare con una persona uomo e non
essere felice di volerle bene! Oh, io non so esprimere bene i miei sentimenti… ma
quante cose belle vediamo ad ogni pie’ sospinto, belle al punto che l’uomo più abbietto non può che vederle
sempre belle? Guardate un bambino,
guardate l’alba divina, guardate come
cresce un fuscello, guardate negli occhi che vi guardano a loro volta e vi vogliono
bene…” (F. Dostoevskij, L’idiota, cit.,
parte quarta, cap. VII, pag. 700).
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