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domenica 1 settembre 2019

Imparare a lasciar andare.

"Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi […].Nessun luogo ti piacerà finché non avrai abbandonato il peso che hai nell’animo” (Seneca).
Post di Rossana Rolando 
Immagini delle illustrazioni di Gianni De Conno.

Gianni De Conno, 
Il buon viaggio
“Imparare a vivere è imparare a lasciar andare”¹: una massima che trovo in un capitolo del bel libro di Adriano Labbucci, Camminare².
Il taglio sapienziale del monito è già contenuto nel termine ripetuto dell’ “imparare”, applicato alla totalità della vita, ben al di là dei singoli rami del sapere. Vivere, in quest’ottica, non coincide con il mero dato di esistenza, ma è piuttosto il risultato di uno sforzo, è un’arte acquisita nel tempo, giorno dopo giorno.
Perciò, a vivere, si impara.
Ma la mia attenzione è attratta dal successivo “lasciar andare” che richiama i sinonimi dell’abbandonare, trascurare, mollare la presa e associa “l’imparare a vivere” con un progressivo esercizio di sottrazione.
Coloro che amano camminare sanno quanto sia importante essere leggeri, non appesantiti da cose inutili, semplicemente ricondotti all’essenziale. In questo contesto, assumendo il cammino alla stregua di una metafora della vita, il senso del “lasciar andare” può riguardare le cose materiali, come afferma Nietzsche: “Chi meno possiede tanto meno è posseduto”³; e come racconta l’apologo su Gesù ripreso da Sabino Chialà:
Gianni De Conno
“Gesù il Messia (su di Lui la pace e la benedizione di Dio!)
non portava con sé che un pettine e una brocca.
Vide un uomo che si pettinava la barba con le dita e gettò il pettine.
Ne vide un altro che beveva con le mani da un ruscello e gettò via anche la brocca”.
Ma il “lasciar andare” può concernere anche la sfera interiore. La letteratura, l’arte, la filosofia da sempre già conoscono la presenza di zone oscure della psiche che convivono con la presunta “normalità”.
Così, nelle sue Lettere a Lucilio, Seneca avverte:
“Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi […]. Nessun luogo ti piacerà finché non avrai abbandonato il peso che hai nell’animo”.
“Il tuo spirito devi mutare […] perché tu fuggi sempre in compagnia di te stesso”⁵.
A ben vedere, dunque, il significato del “lasciar andare”  riguarda soprattutto gli oggetti mentali,  quelli che pesano dentro e generano “passioni tristi” - impasto di impotenza e malinconia - anziché “passioni liete” (come direbbe Spinoza), in grado di accrescere il desiderio e la gioia di vivere.
Chi ha dimestichezza con i mondi interiori e possiede strumenti culturali per decodificarli sa che in ciascuno ci sono regioni di dolore – delusioni, ferite, incomprensioni, solitudini, lutti – che non sempre possono trovare soluzione. E questo è il motivo per cui la psicanalisi non promette guarigione, ma consapevolezza dei propri traumi, nella convinzione che il sapere permetta, in qualche misura, di dominare se stessi e, quindi, di non essere dominati.
Gianni De Conno
E’ qui che si colloca il valore più profondo del “lasciar andare”, da non confondere con il processo inconscio e niente affatto liberatorio della rimozione. Il “lasciare andare” si realizza lucidamente, imparando a non rimestare ossessivamente nei flussi sotterranei del dolore irrisolto, non alimentandone la spinta mortifera, non permettendone il dilagare.
Se non si può fuggire da se stessi, si può almeno imparare a distanziare, a prendere il largo, a lottare “contro i demoni che ci abitano e ci impediscono il viaggio”.
Concludo con questa citazione del poeta greco Kavafis:
Quando esci per intraprendere il viaggio verso Itaca,
prega che sia lunga la via,
colma di avventure colma di conoscenze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
l'irato Poseidone non temere!
Costoro per la tua via mai tu troverai,
se resta il tuo pensiero alto, se nobile
emozione l'avvicina al tuo spirito e al corpo.
I Lestrigoni e i Ciclopi,
il selvaggio Poseidone, non incontrerai,
se non li porti dentro, nella tua anima,
se la tua anima non li rizza davanti a te.

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Elogio dei piedi ↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑↑

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Costantino Kavafis, Itaca
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Note.
1. Motto attribuito al maestro tibetano Soghial Rinpoche, autore di Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire, Astrolabio Ubaldini, Roma 1996.
2. Adriano Labbucci, Camminare, una rivoluzione, Donzelli, Roma 2011, p. 54.
3. Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Mursia, Milano 1965, p. 52.
4. Sabino Chialà, Parole in cammino, Qiqajon, Magnano 2006, p. 63.
5. Seneca, Lettere a Lucilio, Rizzoli, Milano 1992, pp. 209-211.
6. Adriano Labbucci, Camminare, una rivoluzione, cit. p. 42.
7. Konstantinos Kavafis, Poesie, a cura di F.M. Pontani, Mondadori, Milano 1991, pp. 44-6.

33 commenti:

  1. Maria Antonietta la Barbera1 settembre 2019 alle ore 07:50

    Splendida riflessione; ottima la scelta dei testi. Grazie!

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    1. Un giudizio prezioso e gradito! Buona domenica.

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  2. “ E lieve ti sia la vita!”: riassume la condizione di leggerezza, che è squisitamente spirituale, dell’animo. L’aver letto il tuo leggero ma intenso post di mattina, cara Rossana, è stato una vera boccata di aria pura, di ossigeno ! Grazie ed un abbraccio 🤗

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    1. Ciao, caro Rosario. La vera leggerezza mi pare sia una condizione sempre da riconquistare - nella piena consapevolezza del peso - e, quindi, frutto di un lungo esercizio interiore, "squisitamente spirituale", come tu dici. Un grande abbraccio.

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  3. Grazie per questa splendida e puntuale riflessione: un dono gratuito che diventa agire quotidiano... Grazie Rossana per la limpidezza e profondità della parola.

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    1. Una riflessione molto preziosa, saper lasciar andare è una risorsa! Non facile, ma importantissima da acquisire.

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    2. E mi permetto di aggiungere...lasciar andare " con il sorriso"...

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    3. @Fausta. Mentre scrivevo pensavo proprio ad un post che potesse aiutare ad alleggerire il "cuore", per diventare "agire quotidiano". Ti ringrazio per averlo detto. Un grande abbraccio.

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  4. Grazie! Bellissima lettura del mattino!

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    1. Commento molto gradito. Buona domenica!

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  5. "Lasciare andare non é rimuovere". Grazie.

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    1. Grazie a te per la sottolineatura. Buona domenica, Rossana.

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  6. Grazie! Questi temi mi sono cari, sia per frequentazione filosofica, sia per i tentativi, modesti, di metterli in pratica. Buona domenica!

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    1. Cara Paola, il suo commento mi ha fatto sorridere: penso che per tutti, in molte situazioni, i tentativi siano "modesti"... Un caro saluto.

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  7. Questa riflessione mi sembra di grande aiuto per imparare a " lasciar andare", non solo situazioni, persone, consuetudini, che possono aver esaurito il loro compito, ma anche e forse, soprattutto, aspetti di noi stessi che ci incatenano, zavorre che appesantiscono il nostro cammino.
    Sono quegli aspetti che facciamo fatica non tanto a vedere, quanto ad elaborare e da cui non riusciamo a prendere le giuste distanze. Così facendo ce le portiamo dietro- ripenso al bellissimo film " Mission"- e le mettiamo in scena in ogni nuova relazione, in una " coazione a ripetere" da cui non sappiamo liberarci.
    "Lasciar andare" vuol dire accettare le sofferenze, le mancanze, i fallimenti legati a determinati periodi della nostra vita. E anche che la realtà di oggi è diversa e se, da bambini eravamo impotenti difronte a certe situazioni, da adulti abbiamo gli strumenti per affrontarle. Se abbiamo sofferto per una carenza affettiva paterna, non possiamo pretendere che il nostro partner ci dia quell'affetto di cui siamo stati deprivati.
    Lasciar andare, serve a rimarginare le vecchie ferite e a non permettere che vengano continuamente riaperte.
    Però sono proprio gli eventi che ci fanno soffrire, che ci provocano " attrito" per l'anima, che facendo riemergere gli antichi blocchi che ci portiamo dentro, finalmente ci danno la possibilità di liberarcene.
    Ogni evento che la vita ci presenta è "benedizione" di Dio, anche se può sembrare un paradosso. Perché anche o forse soprattutto, attraverso il dolore- la valle oscura- quei pesi che ci eravamo imposti, si sciolgono e siamo liberi di proseguire il nostro cammino.

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    1. Grazie per questa riflessione: in particolare per gli aspetti che aggiunge e declina in esempi concreti, molto convincenti: la proiezione, su altri, delle nostre mancanze e privazioni; la "coazione a ripetere"; il riemergere di "antichi blocchi" in situazioni apparentemente diverse...
      sono tutti elementi che riconosciamo come parte della nostra complessità mentale e fonte di una sofferenza che spesso "incatena".
      "Lasciar andare" credo sia meno di una liberazione, ma è pur sempre una via di alleggerimento.
      Grazie. Buona serata.

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    1. Grazie per l'apprezzamento, molto gradito.

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  9. Grazie per questa stupenda riflessione. Penso che l'unica strada possibile per non farsi paralizzare dalla sofferenza sia proprio quella di cercare di vivere rendendosi quotidianamente consapevoli che pur non essendo possibile far scomparire alcuni dolori particolarmente devastanti decidiamo noi
    e solo noi come gestirli evitando che possano intralciare il cammino o bloccarlo per quanto complicato e faticoso sia fare questo ogni giorno.

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    1. Sì, anche a me pare che - in molti casi - si debba imparare a convivere con i lati oscuri e dolorosi, contenendone i risvolti distruttivi. Grazie per il commento e la condivisione di pensieri. Buona serata.

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  10. Grazie Rossana, del beneficio di codesti spunti, pensa che proprio oggi elaboravo in cuor mio, pensieri che sono nella stessa direzione delle tue riflessioni. L'affinità delle idee che grande beneficio!

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    1. Credo tu sappia quanto gradisco questa affinità e quanto mi è cara. Un grande abbraccio.

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  11. Imparare a lasciare andare è saggezza che s'impara col tempo, se pure ci si riesce. Certo aiuta a non restare ancorati a eventi o sofferenze che ci rendono prigionieri. Ma io lo vedo anche come capacità di non ostinarsi a tenere sempre tutto sotto controllo, come un modo di accettare dalla vita ciò che viene, lasciando andare qualche volta anche la nostra caparbietà.
    Bellissima la poesia di Kavafis, come pure l'Elogio dei piedi di Erri De Luca che mi ha ricordato alcuni versetti di Isaia al cap.52: "Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace...". Mi ha sempre colpito il fatto che il profeta non abbia elogiato lo spirito, la fede, la speranza, la volontà del messaggero, ma molto più umilmente e concretamente...i piedi!
    Grazie, cara Rossana, di questo post interessantissimo e un abbraccio grande!!!

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    1. @ Annamaria. Un sommesso commento da parte mia, partendo dalla citazione di Isaia, molto opportuna, che mi suggerisce una breve riflessione: la corporeità, i piedi in particolare, come dichiarazione di “fedeltà alla terra“ e vera autentica incarnazione dello spirito. Come la lavanda della nudità dei piedi, non solo segno di umiltà ma ancor più segno di trasparente purificazione di un camminare volto ad imparare a vivere che “è imparare a lasciar andare”.

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  12. Molto eloquente la prima immagine. In effetti si fa fatica a lasciare quando si sta vivendo un cambiamento e lasciare rappresenta l’abbandono di una base sicura. Può essere anche una piccola cosa, simbolica, ma lasciarla perchè lo decidi tu o perchè te la strappano via, comporta comunque una grande sofferenza. Certo poi si sarà più liberi e leggeri, ma si cambia....sarà ancora bellissimo, ma diverso. Forse imparare a vivere vuol dire riconoscere i cambiamenti, accettarli e non rinunciare alla bellezza.

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    1. Cara Patrizia, nel tuo commento interpreti il “lasciare andare” secondo un significato che io non ho toccato nel post, ma che è certamente una possibilità: la vita ci pone continuamente di fronte ad abbandoni non scelti. Ogni tappa dell’esistenza è anche un distacco. Mi viene in mente, a questo proposito, la poesia di Caproni “Congedo del viaggiatore cerimonioso”, struggente ed ironica ad un tempo, come è nel suo stile.
      Un caro abbraccio.

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  13. Grazie mille! Condivido in quanto penso che queste interessanti riflessioni possano aiutare altre persone. Ho molto apprezzato la scelta dei testi. GRAZIE.

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  14. I testi citati testimoniano come la letteratura, la filosofia, la poesia siano guide indispensabili per districarsi nei labirinti della mente, per costruire – come direbbe Galimberti – una mappa delle emozioni e dei sentimenti. Grazie per il commento e l’apprezzamento.

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  15. Grazie. Ne farò tesoro!!!

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    1. Bello... ci si prova. Buona serata e grazie del commento.

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  16. Quanto lo sento "mio" questo tuo scritto, cara Rossana ... Così calzante per questa fase della mia vita, in cui 'lascio andare' figli, abitudini, tovaglie ricamate, ruolo sociale, carpette, programmazioni, sicurezze acquisite ...
    Hai centrato verità esistenziali. Grazie di cuore. Un abbraccio.

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  17. "Verità esistenziali" che, in alcuni passaggi della vita, sono colte con maggiore intensità. Trovo spesso citata questa frase del "tuo" e "nostro" Camilleri: "Le parole che dicono la verità hanno una vibrazione diversa da tutte le altre". Un caro abbraccio.

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