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martedì 30 giugno 2015

Il senso della vista e il significato del "vedere".



L'uso del verbo vedere nel linguaggio.
Hai visto? Fammi vedere! Ma guarda dove vai! Ma dove guardi? Guarda in  te stesso! Non guardare, girati dall’altra parte! Non guardarmi storto! Non chiudere gli occhi di fronte alla realtà! Occhio non vede, cuore non duole! Che bel vedere! Visione paradisiaca! Che brutto spettacolo!

Vedere è atto e segno conoscitivo.
Il senso della vista segna in modo irripetibile il nostro stare al mondo e i significati di fondo con cui, consapevoli o passivi, lo abitiamo: è segno conoscitivo centrale per eccellenza. Per Platone è «filosofo» chi ama «lo spettacolo della verità», chi esercita la visione del bene culmine della conoscenza, liberandosi dalla zavorra delle opinioni inautentiche. 


Certo la vista può essere offuscata da una luce eccessiva,  (“troppa luce abbaglia”, ci ricorda Pascal), oppure può essere sedotta dal proprio egotismo, come attesta il mito  di Narciso che nel proprio riflesso nell'acqua rivela tragicamente il cortocircuito del suo ego. E ancora la vista di Medusa, bellissima quanto perversa, è talmente fatale nel suo fascino da trasformare in pietra gli uomini che si voltano a guardarla, mentre la moglie di Lot, che non sa trattenersi dal mirare il  fascino malsano di Sodoma in fiamme, diventa statua di sale. E che dire del mito del  prigioniero nella caverna che Platone fa risalire alla luce o della cecità tragica di  Edipo o di quella di Tiresia che proprio perché cieco ha preveggenza aperta al futuro, mentre gli è negata la visione del presente?



Insomma il primato della vista  si identifica da sempre con il conoscere  sia come apertura prima di tutto a se stessi (intus-legere) sia  alla realtà esterna degli altri e del mondo: conoscere in ogni caso sempre irto di rischi. 

La deformazione dello sguardo. 
Oggi infatti viviamo in un contesto sociale  e culturale dedito alla fobia della vista, alla miopia, dove guardare non è mai vedere.

Vediamo solo quello che vogliamo vedere  - non vidi  ergo non est! -  oppure ci fanno vedere solo quello che vogliono e c’è chi si industria  a non farci vedere e a chiudere gli occhi di fronte  alla realtà, a distrarci, ad impedirci la consapevolezza dei drammi in cui siamo immersi e la meraviglia che muove ed incita lo sguardo. Se chiudere un occhio significa complicità, chiudere gli occhi vuol dire vigliaccheria, codardia, paura, servilismo.


Lo sguardo e l'altro. 
Per strada continuamente mi capita di incrociare persone mai viste prima; per una breve frazione di tempo ci si scambia uno  sguardo esplorativo (Chi sei? Cos'è la tua vita? Ami, speri, soffri?), mentre ognuno prosegue il suo cammino. Fugaci incontri, come infiniti altri, ognuno dei quali lascia un segno, come infiniti altri, e mi sollecita a riflettere che il miglior specchio per il mio sguardo, "il più sicuro rivelatore di me stesso" (E. Mounier), è lo sguardo di un’altra persona quando si posa su di me.


Vi sono sguardi che agiscono lentamente, altri che in un colpo mi rivelano a me stesso. Mediocrità, preoccupazioni, convinzioni, abitudini, pregiudizi che prendevo sul serio ecco che, visti con lo sguardo degli altri, mi appaiono per ciò che sono: sempre relativi, spesso inessenziali, a volte grotteschi.


Lo sguardo degli altri – sia esso rimprovero o appello o promessa - è l’inaudito che mi può rischiarare, mi rivela nelle mie giuste proporzioni, mi scuote dalla mia sufficienza diventata zavorra: molla salutare, “turbamento delizioso di mescolarsi a una vita sconosciuta” che potrebbe essere “l’inizio della saggezza”, del cambiamento, del perdono, dell'accoglienza. 

Il vedere della fede.
La fede come si concilia con il “vedere”? GV 20, 1-9 (Vangelo del giorno di Pasqua) ci attesta, attraverso il lessico greco, che  l’azione del  “vedere” della fede si esprime in un itinerario che comprende un crescendo discontinuo.


Ci si può fermare a guardare: “blepo” (βλέπω), vedo carnalmente con gli occhi, materialmente percepisco un volto, un evento, un oggetto.  Si può procedere oltre, osservare: “theoreo” (θεωρέω), vedo  con la testa, cerco di capire che cosa sta accadendo dentro e fuori di me, vedo le cose, ne ricerco  le spiegazioni, mi interrogo. Infine si può giungere a “vedere”: “orao” (ὁράω), vedo con il cuore, contemplo il significato nascosto in quello che materialmente appare e nel non-nascondimento scorgo la verità (a-letheia).


E così la fede del credente “vede” anche il non-visibile che è venuto nella sua vita, sperimenta come la luce vinca il buio della vita e comprende che l’essere dell’Invisibile è la ragione necessaria dell’esistenza del visibile.


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venerdì 26 giugno 2015

Bellezza e umanizzazione.

"Bellezza  è verità, verità è  bellezza," - questo solo
sulla terra sapete, ed è quanto basta
(John Keats, Ode su un'urna greca).

Inno alla bellezza 
(Enrico Benaglia)
In un mondo senza bellezza
– anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola
e l’hanno  continuamente sulle labbra, equivocandone il senso -, 
in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male.
Anche questo costituisce infatti una possibilità, 
persino molto più eccitante 
(H. U. von Balthasar, Gloria).

Abbiamo perduto la bellezza? 
(Mario Sironi, Periferia urbana)
Non so se noi, uomini e donne di oggi, nel  nostro quotidiano pensare ed agire, viviamo consapevolmente l’armonica conciliazione  tra  la dimensione della ricerca della bellezza e quella della verità e della bontà delle azioni.

Dove cercare la bellezza 
nelle nostre città? 
(Mario Sironi, Paesaggio urbano)
Non so se le nostre vite di corsa in questa nostra società “liquida” consentano quel  dialogo  con il “pulchrum, verum et bonum” (penso soprattutto ad Agostino e Tommaso d’Aquino) che da secoli la filosofia e la teologia non solo occidentale hanno praticato.

... nello squallore... 
nella bruttezza di tante periferie...
(Mario Sironi, Paesaggio urbano)
Bellezza è parola a cui molti attribuiscono un significato evanescente, variabile ed indipendente da riferimenti al vero o al bene. 

... la bellezza non è 
il guscio esteriore delle cose...
(Mario Sironi, Nudo allo specchio)
Una riduttiva visione della bellezza estranea o avulsa da quella della verità e della bontà - limitata al “gradevole”, al “piacevole”, al “carino”, all’”emozionante” – mi pare qualcosa di monco e di mancato, effimero, inconsistente, al limite vuoto. 

... non è un involucro inconsistente e vuoto...  
(Mario Sironi, Solitudine)
Ognuno di noi ha bisogno di nutrirsi di bellezza, ma insieme di respirare il vero e di vivere il bene. E’ un modo di educarci  ad una pienezza di umanità.

... la bellezza è
pienezza di umanità... 
(Marc Chagall, Il violinista)
La bellezza è una realtà tra le più difficili da definire: termine complesso, che si usa quotidianamente a proposito ed a sproposito, che si applica a tutte le realtà, carnali e spirituali, temporali e non, che mette in causa ora l’intelletto  ora i sensi della  vista e dell’udito. E’ forma alta di conoscenza che tocca il cuore delle cose, generando quel  piacere che ci fa dire “è bello”.

... è vita bella 
perché ricca di bene, di valore, 
di gioia ...  
(Marc Chagall, Il violinista sul tetto)
Ed è bello perché in armonia con se stesso ed il contesto nel quale si pone (“integritas” e “proportio” tomiste), perché in esso risplende la verità  (“claritas”),  perché ogni cosa è chiamata al suo specifico compito di essere “buona”, cioè di svolgere al meglio il proprio essere-nel-mondo.
E così bellezza, verità, bontà, nella loro unità, sono lo splendore dell’essere.

... perché la bellezza è lo splendore dell'essere ... 
(Marc Chagall, Il grande sole)
Non ci si arriva per improvvisazioni. L’emozione ed il gusto immediati sono una cosa; la ricerca del vero, la sensibilità per il bello, la capacità verso il bene sono ben altro: non si improvvisano e  vanno educate ed alimentate.

... è il bello che contiene il bene 
(Marc Chagall, Balletto).
Non riconoscere la bellezza, come afferma von Balthasar, vuol dire perdere l'attrazione per il bene e per il vero, non comprendendo che è veramente bello solo ciò che è buono e non il suo contrario.

... abbiamo bisogno di ritrovare la bellezza...
(Mario Sironi, Paesaggio urbano)
A questo punto, non so se quanto Keats afferma (“questo è tutto quel che voi sapete in terra e tutto ciò che vi occorre sapere”), sia l'inizio o la conclusione di un percorso, al termine del quale ognuno di noi, svolgendo al meglio il suo essere-nel-mondo, scopre il valore profondo della vita, comprende il vero significato dell'antico binomio greco kalòs kai agathòs (καλὸς καὶ ἀγαθός).

... dentro le nostre città...
(Marc Chagall, La casa blu)
...dentro le nostre vite 
(Marc Chagall, Il violinista).

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sabato 20 giugno 2015

Carlo Maria Martini e la tradizione ebraica. Gerusalemme eccesso.

Post a cura di Rossana Rolando.
 
Il dialogo invisibile è quello di colui che percepisce l’altro 
senza che questi lo sappia, 
per tenere conto della sua esistenza, della sua vocazione, 
del suo pensiero, delle sue aspirazioni e delle sue sofferenze. 
Questo incontro invisibile, questo dialogo senza discorso, 
comincia nei nostri cuori. 
Prima che il dialogo si concretizzi, esiste 
(F. Lovsky).
Pro veritate adversa diligere
(Il motto di Carlo Maria Martini).


La chiave di lettura. 
Presentazione del libro.
Il libro di Cristiana Dobner, L’eccesso, ed. Dehoniane, Bologna 2014, ricostruisce la biografia intellettuale e spirituale di Carlo Maria Martini attraverso una chiave di lettura originale, interessante, direi anche sorprendente. Almeno su di me ha avuto questo effetto. Provo a dire perché.
La figura del cardinal Martini viene ripercorsa alla luce del suo rapporto con il testo biblico, con l’ebraismo e con Gerusalemme. E questo legame con “i fratelli maggiori” – così Martini definisce gli ebrei – questo dialogo fraterno durato tutta la vita, viene a configurarsi come una sorta di codice o di paradigma che permette di penetrare tutti gli aspetti dialogici di questa grandiosa personalità: il cardinale dell’ecumenismo e del dialogo tra le religioni, tra le culture, tra tutte le persone pensanti, siano esse credenti o  non credenti;  il fine predicatore – novello Ambrogio – della diocesi milanese, capace di entrare in comunicazione con i giovani; l’interlocutore prescelto dai terroristi incarcerati; il  promotore delle scuole di formazione all’impegno sociale e politico.

mercoledì 17 giugno 2015

José "Pepe" Mujica: un Presidente loco?

José Pepe Mujica,  
in una vignetta che lo rappresenta con un'arma 
da cui spunta un fiore.

Pensieri  sul  libro-intervista di José Mujica (La felicità al potere, EIR, 2014).

Tratto da José Pepe Mujica, La felicità al potere, 
a cura di C. Guarnieri e M. Sgroi, 
EIR, Ariccia, 2014, p.10
E continua:
Perché fa scalpore che qualcuno lanci l’allarme contro il crescente discredito che, per mancanza di questo esempio, i politici e la politica stanno soffrendo in molti Paesi? In realtà credo che tutto questo susciti attenzione non tanto per il merito di chi propone questi temi, quanto per l’assenza di altre idee, di altre proposte e di altri esempi” (José Pepe Mujica, La felicità al potere, a cura di C. Guarnieri e M. Sgroi, EIR, Ariccia, 2014, p.10).

José Pepe Mujica 
davanti alla sua modestissima casa di Montevideo 
nel giugno 2013...
Chi è José “Pepe” Mujica Cordano.
Lo chiamavano “il presidente più povero”, ma lui non si sente povero, perché povero è chi vuole sempre di più. E’questione di libertà: non si può passare la vita come uno schiavo per sostenere uno stile di vita costoso e non avere più tempo  per se stessi.

... una figura dalla semplicità 
disarmante...
E’stato Presidente dell’Uruguay dal 1.3.2010 al 1.3.2015: per molti è un mito, per altri un “loco” (matto, strano, scomodo). Ha rifiutato i lussi della residenza ufficiale; tratteneva un decimo circa dello stipendio mensile, il resto andava a programmi di solidarietà. Come ex presidente riceve  260.259 pesos al mese (ca 8300 euro) e ne dona il 90% ad organizzazioni non governative impegnate  ogni giorno contro la povertà. Motivo? Se è la maggioranza che sceglie chi deve governare, bisogna vivere come la maggioranza, con poco, ed avere un bagaglio leggero per affrontare la vita. E’sposato con Lucìa Topolansky sua compagna di lotta; vive alla periferia di Montevideo in una vecchia fattoria senza acqua corrente; è vegetariano; guida un vecchio maggiolino; ha un cane. 

... alla guida di un vecchio maggiolino...
Ha un passato di combattente nei Tupamaros contro la dittatura e la corruzione in Uruguay. Come prigioniero politico ha trascorso in carcere 14 anni durissimi, passati per lo più in isolamento. Finito il mandato presidenziale, con la moglie ha visitato Spagna ed Italia “alla scoperta delle origini”: il padre era originario di un paese basco; la madre di un paese del’entroterra ligure.

... intervistato in Uruguay...
L’incontro con papa Francesco in Vaticano. 
Il 28.5.2015, lui ateo dichiarato, ha incontrato papa Francesco, con il quale a lungo ha discusso della pace internazionale, dei diritti umani, della giustizia: lontani nella fede e così vicini nella virtù della sobrietà, nella denuncia della “cultura dello scarto” e nella scelta degli ultimi e degli oppressi. Dice che Bergoglio è un papa singolare e che parlare con lui è come parlare ad un amico che sa aprire le porte dell’intimità. E' convinto che, se lo lasceranno fare, porterà un cambiamento essenziale nella Chiesa (cfr. op. cit. pp. 76-77).


... durante l'incontro con papa Francesco...
Presentazione de “La felicità al potere”. 
Successivamente ha presentato in un hotel di Roma il libro-intervista curato da Cristina Guarnieri e Massimo Sgroi. Erano presenti la Gabbanelli  e  Saviano, con cui ha discusso  vari temi, tra i quali  mi limito a citare l’immigrazione: se la vecchia Europa - dice – non la  pensa come una ricchezza, allora siamo persi. Siamo tutti immigrati, non dobbiamo avere paura di unirci con gli altri, purché  siano persone che si impegnano. Quello che sta succedendo nel Mediterraneo non è un problema dell’Africa, è un problema dell’umanità, di cui deve farsi carico il mondo.

La presentazione del libro...
Il libro-intervista:  fare politica. 
Per “Pepe” il peggiore  imbroglio e  la  più grande sofferenza del nostro tempo è fare politica perché si ama il denaro. La politica  esiste per servire le persone, è impegno perché  tutti possano vivere meglio, non solo avere  di più, ma soprattutto essere più felici. Fare politica vuol dire amare la pace: se nel passato si riteneva che ci fossero guerre giuste, come le guerre di liberazione nazionale o di indipendenza, oggi  sappiamo che, per quanto la causa possa essere giusta, le guerre puniscono sempre  inevitabilmente gli innocenti ed i più poveri. (cfr. p.82).

...il libro di José Pepe Mujica,  
La felicità al potere.
Il libro-intervista: i giovani.
E’ bello che i giovani vogliano fare politica, è meraviglioso vederli lottare per ciò che pensano e sentono, purché vivano  come pensano. Ai giovani dice di non farsi scippare la vita, di non conformarsi a vivere in ginocchio, di non lasciarsi trasformare in schiavi per correre dietro un mondo di sperperi, di non farsi prendere per il naso dal marketing della moda, perché la moda è essere liberi, è onorare le cose fondamentali dell’esistenza dell’uomo, come l’amore, l’amicizia, la solidarietà (cfr. p. 87, 188).

La dedica scritta da Cristina Guarnieri sul libro di José Pepe Mujica: Al sindaco Marino, perché renda più felice la città di Roma, la più bella del mondo! E legga questo libro!
Il libro-intervista: la felicità.
La felicità è il tesoro più importante che abbiamo. Non ci può essere felicità senza il tempo per viverla e per costruirla per sé e per gli altri. Il tempo non si compra e la vita, che  se ne fugge via, bisogna conquistarla, altrimenti te la rubano e diventa un prodotto ed una causa  di mercato  (cfr. p. 188).

La presentazione del libro.
Il libro-intervista: consumismo, disuguaglianza.
C’è un problema di carattere politico: la nostra civiltà è basata sull’usa  e getta, in una spirale, un circolo infernale, dal quale tutti dobbiamo decidere di uscire. E c’è un problema economico: 85 persone possiedono quasi la stessa ricchezza del 40% dell’umanità; più cresce la ricchezza più aumenta la disuguaglianza. Eliminare indigenza e povertà è una priorità: i soldi ci sarebbero, se pensiamo che nel mondo si spendono milioni di dollari al minuto in bilanci militari… (cfr. pp.189-190).

Roberto Saviano con il libro tra le mani.
Il libro-intervista: sognare e dedicarvi la vita intera.
Guai a cessare di sognare e sognare in grande, ma con i piedi  ben piantati  a terra, perché una cosa è il sogno giovanile, un’altra dedicare la vita intera a servire questo sogno (cfr. p.192). 
Non so fino a che punto possa essere un modello da imitare. Nessuno pretende che noi si viva in catapecchie, seguendo le orme  di S. Francesco d’Assisi o la scelta laica di “Pepe”. Che la politica non sia strumento di arricchimento ma servizio alle persone, passione superiore, esempio di vita sobria e vicina a quella della maggioranza”, questo sì, lo dobbiamo  volere e pretendere da tutti. 
Non so quanta risonanza sui media possa avere il libro-intervista. Il fare, dire ed essere di Mujica mal si concilia  con le azioni dei “grandi” della Terra ed il loro modo di intendere la globalizzazione e lo sviluppo. Ciò che dice è però ciò che da sempre mette  in pratica  e  testimonia ogni giorno della sua vita. Non so perché, il pensiero corre, al film “Il grande dittatore”, al discorso finale di Chaplin: “Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciato nel bisogno. La nostra sapienza ci ha reso cinici e l’intelligenza duri e spietati. Abbiamo bisogno di umanità, abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Altrimenti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto…”.  
Sig. Presidente “Pepe”, il Suo modo di essere “loco”  mi avvince.

Si consiglia di mettere in pausa la musica del blog prima di avviare il video.