Io e la mia faccia... (James Ensor, Autoritratto con maschere, particolare) |
Io ho bisogno di sentirmi esistere agli occhi di qualcuno, di
avere un posto ed un significato in relazione alle posizioni degli altri. Io
preferisco di gran lunga essere contestato piuttosto che essere ignorato e non
considerato. Io ho bisogno di vedere accordata e riconosciuta
la mia autostima in modo tale che mi capita di presentare gli aspetti migliori
capaci di suscitare approvazione e mascherare, spesso inconsapevolmente
soprattutto negli scambi formali, le mie debolezze. “Io” vuol dire “ognuno di
noi”, perché nessuno ama “fare una pessima figura” né “perdere la
faccia”.
...la mia “faccia sociale” (J. Ensor, Autoritratto con maschere, particolare) |
Secondo E. Goffman (Le rites d’interaction, 1974), ognuno di noi ha la sua bella “faccia sociale” da
salvaguardare: “è l’immagine di sé che ogni persona rivendica nelle relazioni
sociali, ricercando una conferma dell’immagine che lui stesso desidera vedere
riconosciuta e ratificata dall’altro”.
A me sembra che questo valga sia nel mondo reale sia in quello virtuale di google o facebook o twitter. Sin dal primo contatto ci si preoccupa di promuovere la propria immagine e richiedere il riconoscimento dell’altro. Un bisogno tanto più cogente quanto più si è insicuri.
A me sembra che questo valga sia nel mondo reale sia in quello virtuale di google o facebook o twitter. Sin dal primo contatto ci si preoccupa di promuovere la propria immagine e richiedere il riconoscimento dell’altro. Un bisogno tanto più cogente quanto più si è insicuri.
Il bisogno di vedersi riconosciuti dagli altri (J. Ensor, Vecchio uomo con maschere) |
Giusto? Sbagliato? Entrambi, dipende. L’identità
che vorremmo fosse riconosciuta (“l’identità sociale”) non può essere
ridotta ad una finzione e ad una maschera: il ruolo sociale non è solo un modo
stereotipato di presentarsi agli altri, ma anche “la faccia interattiva
del soggetto“, l’espressione socializzata della sua personalità. La parola
scambiata nell’interazione sociale offre alla “identità
intima” l’opportunità di confrontarsi e anche scontrarsi con “l’identità
sociale” di sé. Il confronto o lo scontro con le immagini degli
altri consentono una rivalutazione o una realistica
razionalizzazione della propria percezione di sé, un sentimento di
identità più stabile, premessa per una migliore comunicazione con gli altri.
L’identità del soggetto è frutto dello scambio tra
la percezione di sé e lo sguardo degli altri. Quando io ed
un’altra persona parliamo, non solo trasmettiamo emozioni
sentimenti pensieri, ma reciprocamente tendiamo ad adeguarci allo sguardo
dell’altro, a farci riconoscere ed accettare. “Il possesso della parola è
relazione di potere“ e contribuisce a influenzare, trasformare
positivamente o negativamente l’interlocutore.
“L'identità
intima” e “l’identità sociale” di sé (J. Ensor, Autoritratto con maschere) |
Io e lo sguardo dell'altro (J. Ensor, I giudici) |
Quando parlo in pubblico, per esempio, so
benissimo di espormi e di assumere il rischio di essere giudicato e
bocciato oppure di essere apprezzato e riconosciuto. Nel primo caso il
pubblico diventa etereo, quasi invisibile, non trovo su chi fermare lo
sguardo per non cogliere forme di rifiuto che mi spegnerebbero; nel secondo
caso vivo un’interazione rasserenante che non solo mi
gratifica ma mi spinge a dare il meglio di me.
Immagino che ognuno di noi, quando parla in pubblico, a
suo modo controlli l’immagine positiva della propria identità: ogni
parola è in qualche modo la risultante di una costante negoziazione più o
meno consapevole tra ciò che si vuole comunicare e ciò che in quel
contesto conviene dire ed appare accettabile a chi ascolta od
interloquisce. E allora ecco le pause, le esitazioni, le scelte accurate delle
parole, le rettifiche, le integrazioni, i rituali fatti di battute,
di gesti, di suadenti sceneggiate...: autoaggiustamenti correttivi che
si mettono in atto nell’anticipare o cogliere immediatamente
le posizioni dell’altro, le sue reazioni verbali e soprattutto non
verbali che esprime e lascia intendere.
Dunque l’immagine che io ho di me non è indipendente
dall’immagine che gli altri hanno di me: il loro sguardo, il loro
comportamento verbale e non verbale sono una sorta di specchio (anche
deformante) che mi rinvia l’impressione che di me gli altri si
sono costruita.
Goffman attraverso la nozione di “faccia” ha descritto la nozione ritualizzata di questo fenomeno: la presentazione di sé attraverso l'espressione, la parola, i gesti, le posture, il comportamento, il modo di pettinarsi e di vestirsi, i tatuaggi... Tutto mira a produrre un’immagine che ciascuno propone e desidera vedersi confermare dagli altri. Ogni interpretazione dell’interlocutore lontana dal significato che il soggetto intende dare è vissuta come attacco e minaccia per “la faccia” che egli rivendica.
Non è certo anormale che ogni singola presa di posizione sia
accompagnata da paura, insicurezza o ansietà per l’immagine che gli altri
si potrebbero costruire di noi. E’ un’interazione complessa che non
esclude il conflitto tra l’immagine percepita e l’immagine concepita, tra
“l’identità sociale e l’identità intima”.
Il condizionamento del pubblico (J. Ensor, Musica russa) |
Io e la mia immagine... (J. Ensor, Le strane maschere) |
Goffman attraverso la nozione di “faccia” ha descritto la nozione ritualizzata di questo fenomeno: la presentazione di sé attraverso l'espressione, la parola, i gesti, le posture, il comportamento, il modo di pettinarsi e di vestirsi, i tatuaggi... Tutto mira a produrre un’immagine che ciascuno propone e desidera vedersi confermare dagli altri. Ogni interpretazione dell’interlocutore lontana dal significato che il soggetto intende dare è vissuta come attacco e minaccia per “la faccia” che egli rivendica.
La minaccia al proprio io da parte degli altri (J. Ensor, I cattivi dottori) |
Un rapporto complesso con le nostre maschere... (J. Ensor, L'intrigo) |
Eppure ci sarebbe la condizione strategica per
controllare l’immagine positiva della propria identità: basterebbe
serenamente e costantemente (ma anche faticosamente) gestire,
vivere e mostrare il processo di costruzione o ricostruzione della
propria identità senza contraddizioni tra ciò che si è e ciò che si deve e
vuole essere.
... tra ciò che si è e ciò che si vuole essere (J. Ensor, Autoritratto con maschere). |
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