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venerdì 30 luglio 2021

In cerca di un nuovo paradigma.

Post di Rosario Grillo.
Immagini dei dipinti di El Lissitzky, pittore russo vissuto tra il 1890-1941.

El Lissitzky, Proun
Quando le nostre iniziative rimangono invischiate nel corpo, nel linguaggio o in questo mondo smisurato che ci è dato da finire, non è perché un genio maligno ci opponga le sue volontà: si tratta solo di una specie di inerzia, di una resistenza passiva, di un venir meno del senso: di una avversità anonima. Ma anche il bene è contingente. Non si dirige il corpo reprimendolo, né il linguaggio ponendosi nel pensiero, né la storia ricorrendo continuamente a giudizi di valore: si deve sempre sposare ognuna di queste situazioni, e quando esse si superano, lo fanno spontaneamente (L'uomo e l'avversità, pp. 271-272, Merlau-Ponty).

Nel piano della problematica epistemologica quando i neo positivisti da una parte e Popper dall’altra dibattevano il cliché della verità scientifica, Thomas Kuhn chiarì che la loro disputa non avrebbe avuto esito se non si fosse trovato un modello. Solo il modello poteva impegnare tutti i membri della comunità scientifica, della società intera. Vi era intrinseco la comprensione del valore sociale proprio della scienza; venivano messi in luce la cogenza, universalità: vincoli per tutti. Gli diede il nome di paradigma.

sabato 24 luglio 2021

Senso di vuoto.

Post di Rossana Rolando.
 
Léon Spilliaert, Vertigini, 1908
La percezione del vuoto è una profonda esperienza umana che si distingue dall’elaborazione del concetto stesso di vuoto in campo filosofico e fisico (1).
 
💥 Paura del vuoto.
Nell’identità di ciascuno, infatti, la paura del vuoto si presenta in molti modi. Nell’infanzia è il timore del buio, primo rivelatore di un’assenza, non solo di luce, ma di voce e presenza: perciò il bambino chiede di non rimanere al buio o di essere accompagnato per attraversarlo.
Diventa poi la paura di un vuoto interiore che si rivela come mancanza sul piano degli affetti (della mamma del papà dell’amicizia dell’amore) e come terrore del nulla di sé, di “non essere” per gli altri importante, di sentirsi insignificante.
Lo dice splendidamente Emanuele Coccia nel suo ultimo libro La filosofia della casa. In esso la casa non rappresenta solo la dimora nella quale effettivamente abitiamo, ma diventa il modo per pensare i luoghi della mente. E così, a proposito dei corridoi, “spazi scabri, oscuri, senza identità”, si legge: “Per molti anni ho avuto paura di non essere che un lungo corridoio, uno spazio vuoto, dove non c’era nulla di veramente mio, nulla di intimo. Ho avuto paura di essere un posto buio dove c’era sempre molto vento, dove nessuno restava e tutti passavano senza lasciare ricordi e che non lasciava ricordi in chi passava” (2) (p. 91)
La consapevolezza del vuoto, sebbene dolorosa, è tuttavia necessaria, come lo sono i corridoi in una casa: spazi di passaggio che servono a “cambiare luogo” e soprattutto a “cambiare noi stessi”. (3)

domenica 18 luglio 2021

Chi è straniero?

Post di Gian Maria Zavattaro
Fotografie di Oliviero Masseroli (con gentile autorizzazione, qui il sito).
 
Oliviero Masseroli, La vita in dettaglio, Bangladesh
“Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri”. (Documenti del processo di don Milani, L’obbedienza non è più un virtù, LEF,1977, p.12)
 
Forzati o meno, assistiti o meno, impauriti o impaurenti, ci saranno ovunque milioni e milioni di migranti in cammino per tutto il pianeta. Non c'è norma o violenza che li fermerà. E saranno comunque in futuro come già in passato un fattore evolutivo primario per continenti stati popoli ecosistemi”. (V. Calzolaio - T. Pievani, Libertà di migrare. Perché ci spostiamo da sempre ed è bene così, Einaudi, To, 2016, p. 130)
 
Oggi “l’altro” non è solo chi appartiene alla mia nazione razza lingua cultura religione, è soprattutto l'”estraneo”, lontano dal mio modo di vedere e vivere la vita, colui che ha la pelle di colore diverso, che parla una lingua incomprensibile.
La sfida del nostro tempo è incontrare questo altro, avendo chiaro il senso della propria cultura e valori, della propria identità per rispettare quella altrui: “Io è un altro e, per quanto diverso e molteplice, anche l’altro è un Io”.
 

mercoledì 14 luglio 2021

Complessità.

Post di Rosario Grillo.

Piet Mondrian, Terra n. 1, 1913
La percentuale crescente del numero di persone anziane dentro le società ha comportato come risposta immediata la diffusione dei giochi di brain test, tesi a favorire l’allenamento “salva Alzheimer”.
Debbo dire che l’apparente reazione del mercato del consumo, pronto a mutare in profitto di parte le défaillance di una quota importante di cittadini, ha trovato compensazione negli studi di approfondimento su l’oggetto: cervello e reti neuronali. Ne è sortita la scoperta della plasticità del cervello. In essa: la risorsa umana per non soccombere al decadimento fisico più alcuni ponderati consigli per rivisitare potenziando l’educazione permanente.
Uno studio scientifico esplicita: “In passato gli scienziati ritenevano che le diverse aree del cervello umano fossero predefinite e immutabili e che la produzione di neuroni cessasse dopo l’età dello sviluppo, ad eccezione delle strutture dedicate alla memoria, le quali seguitano a produrre neuroni anche in età adulta. Ciò faceva del cervello un organismo che, una volta raggiunto il suo pieno sviluppo, diveniva statico e incapace di crescere ulteriormente ed era perciò condannato a un lento e inesorabile declino. Nella seconda metà del Novecento ha iniziato a diffondersi, suffragata da dati sperimentali, l’idea che il cervello è sufficientemente plastico da potersi riorganizzare in caso di bisogno anche in età adulta. Il cervello umano non è “cablato” con circuiti neurali fissi e immutabili; la rete sinaptica cerebrale e le strutture correlate, compresa la corteccia cerebrale, si riorganizzano attivamente grazie all’esperienza e alla pratica”. [Mahncke et al., 2006; Doidge, 2007] (1)

venerdì 9 luglio 2021

Stupidità.

Post di Rossana Rolando.
 
Pieter Bruegel il Vecchio, Due scimmie incatenate, 1562
L'essenza della stupidità.
Conosciamo la parola “stupido” fin da quando siamo bambini, nella veste del rimprovero (non fare lo stupido) o dell’insulto, anche semplicemente tra coetanei (sei proprio stupido). La portiamo poi nella vita adulta, riconoscendola in noi stessi (ho fatto, detto una stupidaggine) e negli altri (comportarsi in modo stupido).
L’etimologia non rimanda direttamente all’insieme di sentimenti sgradevoli che la parola suscita: essa riconduce alla stessa radice di stupore e stupido indica, infatti, attonito, sbalordito, reso inetto dalla meraviglia. Ma il termine si è caricato di un retaggio negativo che lo associa ad una deficienza del pensare e/o del sentire e/o dell’agire.
Ma che cos’è realmente la stupidità? Bonhoeffer la identifica - in una sua pagina di Resistenza e resa, dedicata al tema, - nella “mancanza di indipendenza” interiore, nell’assenza di pensiero autonomo, sostituito da slogan e luoghi comuni. Aggiunge che solo conoscendone l’essenza si può spuntarla con essa.¹ 
Eppure delimitarne i confini e la natura risulta impresa piuttosto difficile.
Non è il nome di una precisa malattia, studiata con esattezza eziologica e sintomatologica: la stupidità appartiene, infatti, al mondo della “normalità”, non risparmia nessuno, si rileva in situazioni molteplici, dipende molto spesso dal contesto, si accentua in determinate condizioni, per esempio nel panico.
 

domenica 4 luglio 2021

Io sono l'altro.

Post di Gian Maria Zavattaro.

Disegno di Doriano Solinas
L’incontro con l’altro
- oggi soprattutto lo “Straniero” - è la sfida di questo nostro tempo che trascorre tra indifferenza e cinismo di molti, speranza e solidarietà di altrettanti. Anzi, è la sfida del XXI secolo, come dichiarava Kapuscinski (1)
Come premessa vale il riferimento a Bauman, teorico della società “liquida”, del  trascorrere-sciogliersi di ciò che é solido, metafora della nostra "condizione" di vivere e  di essere, dello stato mutevole di un presente fatto di puntiformi istanti e di forme sociali instabili: famiglia- denatalità - lavori precari a chiamata intermittente -  dinamiche consumistiche cangianti - profonde disuguaglianze sociali - crollo delle ideologie - spaesamento degli individui, eterodiretti a loro insaputa, brutalmente esposti alle violenze della società dell'incertezza, alle omologazioni collettive, tutti affaccendati nell’esorcizzare la "solitudine del cittadino globale" (titolo di un suo celebre lavoro).
E poi a Byung-Chul Han(2). Nel suo saggio "L’espulsione dell’altro" afferma che il problema radicale oggi è che "alla crisi dell'amore conduce soprattutto l'erosione dell'Altro”. Il fatto che l'Altro scompaia è la malattia più grave dei nostri giorni: siamo talmente impegnati a parlare a noi, a pensare ai fatti nostri,  da avere perso la capacità di stabilire una vera relazione con gli altri, di vedere l’altro come altro. Viviamo “nell'«inferno dell'Uguale”:  ognuno di noi, immerso nella comunicazione digitale e nei rapporti neoliberistici di produzione, è autoreferenziale, guarda “solo ciò in cui può riconoscere, in qualche modo, se stesso” e tutto ciò non si è certo attenuato in questo tempo di covid. Ma dove è promosso l’Uguale, la vita s’impoverisce e sorgono nuove patologie: l’inflazione dell’io centrato su di sé genera angoscia e autodistruttività; l’esperienza e la conoscenza sono sostituite dalla mera informazione, le relazioni personali cedono il posto alle connessioni telematiche. Solo l’incontro vivificante con l’Altro può conferire a ciascuno la propria identità. Il saggio si chiude invocando l’urgenza della costruzione di una comunità umana fondata sull’ascolto e sull’apertura all’Altro. Il possibile orizzonte oltre la liquidità è l’amore che fiorisce sia nell’intimità sia nel sociale, si apre all’altro, lo riconosce. Può essere eros, può essere filìa ma la sua vera cifra è agape: dono, gratuità pazienza, corresponsabilità capace di far fiorire spazi che siano veri “luoghi di relazione”.