Sogni di un visionario chiariti con sogni della metafisica
di Immanuel Kant*
(1766)
Prefazione.
· Kant inizia il suo scritto sostenendo che “il regno delle ombre è il paradiso dei sognatori”. Su queste province invisibili dell’aldilà, di cui la Chiesa di Roma ha le chiavi per spalancare le porte, si aprono contemporaneamente le casse del mondo presente [si ricordi la posizione luterana, nei confronti della Chiesa cattolica]. Kant, quindi, insinua ironicamente il sospetto che le dottrine sull’aldilà nascano da ben precisi vantaggi di arricchimento da parte dei poteri religiosi. Ma la domanda, posta subito dopo, riguarda gli altri contesti in cui emergono illusioni e chimere, relative ad un presunto mondo di spiriti, anche laddove non si riscontrano vantaggi economici: nei racconti della mentalità comune o nell’atteggiamento filosofico che appare incerto di fronte alle testimonianze di presunte apparizioni di spiriti.
· Kant ritiene, però, che non credere nulla – relativamente alle suddette visioni di spiriti -, senza offrire alcun tipo di confutazione, sia un pregiudizio altrettanto sciocco quanto credere tutto, senza sottoporlo ad esame. Dunque, per evitare il primo pregiudizio, lo stesso Kant dichiara di essersi lasciato trascinare, dalla parte del secondo, mettendosi ad indagare la verità di alcuni racconti.
· Afferma, quindi, di non aver trovato nulla (perché non c’era nulla da cercare) e sostiene che la comunicazione di questo risultato è già un motivo per scrivere il presente saggio. Ma ci sono altre due ragioni per esporre l’esito delle sue indagini: la prima data dalla sollecitazione di amici che hanno chiesto il suo parere, la seconda dalla spesa fatta per comprare il grosso libro del visionario Swedenborg e, anche peggio, dalla fatica impiegata per leggerlo, che non poteva essere semplicemente perduta, senza frutto alcuno.
· Con questa conclusione si è così giustificata la scrittura di un testo di cui – dice ancora Kant, con sorridente arguzia – il lettore non capirà la parte principale [dogmatica], non crederà la parte storica, e il rimanente deriderà.
Parte prima. Dogmatica.
Capitolo 1.
· Intorno agli spiriti, tutti (scolaro, opinione pubblica, filosofi) sembrano sapere.
· Nessuno, però, si ferma per interrogarsi sul significato, su cosa si intende con il termine “spirito”.
· Sarebbe ragionevole rispondere “non so”, ma questa risposta non si sente nelle scuole.
· C’è chi, d’altra parte, sembra sapere cosa indica la parola spirito, identificandola con un essere che possiede la ragione. Di conseguenza: vedere uomini significa vedere spiriti. Proseguendo nella spiegazione, [il presunto sapiente] afferma ancora che questo essere dotato di ragione, non è tutto l’uomo, ma una sua parte, quella che vivifica l’uomo [nella tradizione, l’anima]. Ed è questa ad essere propriamente lo spirito.
· Che cosa si intenda però per spirito non è ancora chiaro (dire che solo un essere spirituale può avere la ragione non spiega ancora che cosa significa “essere spirituale”). L’illusione di saperlo origina da nozioni infantili (facilmente generate nei bambini) che si indeboliscono in età adulta.
· Quindi Kant afferma che, da parte sua, non sa se esistano spiriti e che cosa voglia dire la parola spirito, ma avendo utilizzato questo termine nel parlare e avendolo udito molte volte, vuole iniziare una sua indagine sul tema.
· Comincia quindi la sua analisi ipotizzando uno spazio (un piede cubico) e qualcosa che riempie questo spazio [un insieme di elementi], resistendo alla penetrazione di qualcos’altro. Questo qualcosa che riempie ed è impenetrabile viene chiamato “materiale” e non “spirituale”, poiché la materia ha le caratteristiche di essere estesa, impenetrabile e divisibile. All’opposto, un essere semplice, dotato di ragione – tradizionalmente chiamato anima [come Kant dirà poco dopo] - corrisponderà alla nozione di spirito? Per scoprire questo, Kant immagina di porre questa sostanza semplice (che al suo interno possiede la ragione) in quello spazio di un piede cubico pieno di materia. La domanda che si pone è questa: dovrà un elemento di quella materia [un singolo elemento] essere tolto per lasciare spazio al suddetto essere semplice dotato di ragione [che precedentemente, il presunto sapiente ha definito spirito]? Ed eventualmente altri elementi di quella materia dovranno essere tolti per venire sostituiti da altre sostanze semplici [anime, che il presunto sapiente ha definito spiriti], andando così a costituire un insieme di anime, impenetrabili come la materia precedente? Oppure le sostanze semplici, le anime – per essere definite spirituali - dovranno poter occupare quello spazio pur essendo - esso - pieno di materia? Nel primo caso le sostanze semplici, dotate di ragione internamente, esternamente non saranno diverse dagli elementi materiali, e quindi non potranno dirsi spirituali. Nel secondo caso, invece, si può pensare ad esseri – non impenetrabili e non solidi - che sono presenti in uno spazio pieno di materia e che, in quanto immateriali, potranno essere definiti spirituali.
· Con questa definizione di spirituale – come immateriale – non si è tuttavia stabilito ancora se un essere spirituale possa esistere. Infatti, il problema è sapere se l’anima (sostanza semplice, dotata di ragione) è una realtà materiale, come ipotizzato nel primo caso (cumulo si sostanze semplici, dotate di ragione, che riempiono uno spazio e sono impenetrabili), oppure è una realtà immateriale e quindi spirituale.
· Per procedere oltre, Kant nota che ogni materia si dice impenetrabile perché resiste laddove è presente, esercitando una forza di repulsione. Questa resistenza è constatata con l’esperienza e non è frutto di elaborazione teorica [senza ricorso all’esperienza]. E’ dunque difficile, procedendo in analogia con l’esperienza, immaginare un’attività o una diversa forza – che non sia la forza di repulsione – per una sostanza semplice che non riempia uno spazio. E’ impensabile, perché ci manca un’analogia con l’esperienza, il che vuol dire che non si può stabilire né che sia possibile tale attività, né che sia impossibile. Quindi, anche ammettendo la possibilità dell’esistenza di esseri immateriali e perciò spirituali, non è in nostro potere sapere come agiscono, quale sia la loro attività.
· Inoltre, se si ammette una tale sostanza semplice spirituale, si può anche dire che essa occupa uno spazio (cioè può essere attiva in esso, anche se non sappiamo come) senza riempirlo (perché non è materiale) e aggiungere che tale sostanza semplice spirituale - che occupa uno spazio - non è estesa (in analogia con l’esperienza che ci dice, per es. che non sono estese le unità della materia che vanno a costituire, come parti, una figura a sé stante e quindi estesa).
· Dopo aver ipotizzato che l’anima dell’uomo possa dirsi spirituale – precisando che si è ipotizzato, ma non provato che l’anima dell’uomo sia uno spirito - Kant procede quindi con un secondo interrogativo che riguarda la collocazione dell’anima. La risposta potrebbe essere quella che vede l’anima in tutto il corpo, in ogni suo sentire (fosse anche quello del calcagno o di un callo ecc…). Questo essere in tutto il corpo non significherebbe una sua estensione (l’anima è, infatti, sostanza semplice, senza figura, come si è detto), ma una sua presenza in termini di attività che agisce in tutto il corpo.
· A chi sostiene che l’anima dell’uomo è nel cervello e in una parte piccolissima di esso, Kant risponde che non si capisce come l’anima potrebbe allora essere spirituale e quale rapporto potrebbe avere con il corpo [tutte problematiche affrontate da Cartesio in modo non convincente]. In conseguenza, non si capirebbe neppure perché l’anima – collocata nel cervello – dovrebbe sopravvivere alla distruzione del corpo e, quindi, anche del cervello.
· Al termine del primo capitolo, Kant afferma di essere propenso a considerare vera l’esistenza di nature immateriali nel mondo e a considerare l’anima come tale, ma di ritenere del tutto misteriosa l’unione dell’anima spirituale rispetto al corpo materiale. Stabilire come agisce un supposto principio vivificante interno al corpo e come comunica con il corpo e in quale connessione sta con il corpo (unione indissolubile o possibile disgregazione tra anima e corpo) risulta del tutto problematico.
Capitolo 2.
· Il secondo capitolo si apre dando per buona la distinzione tra una materia morta e inerte ed i principi di vita (pneumatici) che la animano e che non hanno materia. Questi principi possono essere pensati come sostanze a sé stanti, appartenenti ad un mondo spirituale detto intelligibile [dalla tradizione]. L’ipotesi di un mondo di spiriti nasce dal fatto che non si capirebbe perché queste nature spirituali dovrebbero esistere solo in unione ai corpi – rispetto a loro eterogenei – con cui è del tutto misterioso il rapporto. La congiunzione delle nature spirituali con i corpi sarebbe quindi solo contingente, per il resto esse vivrebbero in un mondo separato.
· In che modo questi principi vitali animerebbero gli esseri naturali e corporei, secondo le varie posizioni assunte nel corso della storia del pensiero? L’ilozoismo, osserva Kant, vivifica tutto; il materialismo nega qualsiasi principio di vita.
· Passa, successivamente, a distinguere tra vita animale e vegetale ed espone la classica tripartizione dell’anima in vegetativa, sensitiva e razionale. Aggiunge: quando gli antichi riunivano i tre principi immateriali nell’uomo, potevano forse avere torto, ma quando li ripartivano nelle diverse specie di creature dicevano qualcosa di indimostrabile, ma non di assurdo, in quanto l’incapacità di spiegare un fatto, come quello della vita, non vieta la constatazione empirica del fatto stesso. Se poi il facile ricorso a principi spirituali è indice di una filosofia pigra, è pur vero che il fenomeno della vita è insieme palese e oscuro. Difficile, infatti, è dare ragione del modo in cui l’organizzazione della materia sia in grado di rendere viva quella stessa materia (confronto tra studiosi dell’epoca: l’animista Stahl, da una parte, e i medici Hoffmann e Boerhaave, dall’altra parte).
· In ogni caso, per chi sostiene l’esistenza di principi immateriali e spirituali, essi sono costituiti da tutte le intelligenze create, legate o no alla materia corporea, quindi le anime animali e i principi di vita della natura. Questi principi immateriali, secondo una certa opinione, starebbero in comunione tra loro, indipendentemente dalla contingente unione con corpi, e comunicherebbero con altri spiriti ricevendone le impressioni (anche quando non ne fossero coscienti, essendo uniti ad un corpo). Nello stesso modo, gli spiriti senza corpo non potrebbero rappresentarsi immagini del mondo corporeo, essendo due piani separati, quello sensibile e quello intelligibile.
· Sulla scia di questa supposizione, che ipotizza un legame tra gli spiriti (anime legate ai corpi e spiriti incorporei) - e che sarebbe bello considerare verosimile, come dice lo stesso Kant, - s’inserisce una digressione sulla morale [che sarà molto rilevante nel prosieguo del suo pensiero, in particolare nella Critica della ragion pratica]. Dopo una breve riflessione sull’esigenza umana di trovare conferma del proprio giudizio, nel giudizio altrui, secondo una sorta di “unità razionale”, Kant spiega il movimento della moralità - cui spinge una segreta potenza - che consiste nel dirigere l’intenzione al bene altrui, anche quando questo si opponga alle personali inclinazioni. In nome della legge del dovere, comune alla natura umana, vengono compiuti sacrifici, in contrasto con gli impulsi egoistici. Vi è un dovere universale che unisce le nature pensanti in una unità morale, rispondente a leggi puramente spirituali. Questa costrizione di cui non conosciamo le cause, ma che avvertiamo in noi – come spinta a concordare col volere universale – si può chiamare sentimento morale. Come Newton parla della gravitazione e della attrazione reciproca della materia, così si potrebbe pensare la forza attiva che fa sentire la dipendenza del volere singolo dal volere universale. Se nell’ordine naturale della vita corporea, le inclinazioni, la malizia, gli egoismi ostacolano l’agire morale (leggi meccaniche), nel mondo spirituale (retto da leggi pneumatiche) i principi morali trovano la loro piena applicazione. Vuol dire che l’anima dell’uomo, già in questa vita, nel momento in cui risponde alla legge morale, appartiene al mondo spirituale (occupa il suo posto tra le sostanze spirituali). Quando, dopo la morte, l’anima non avesse più legame con il corpo, la vita nell’altro mondo non farebbe altro che continuare quel nesso che già l’anima aveva con esso [il mondo spirituale] in questa vita. Il presente e il futuro risulterebbero un tutto costante, che prende già avvio in questa vita, senza necessità di un intervento divino straordinario, chiamato in causa per togliere l’inconveniente di una moralità incompleta (che non ha pieno effetto, in questo mondo).
· Dopo questo excursus dedicato alla morale, in cui Kant ha parlato con partecipata convinzione, riprende il discorso critico e ironico, là dove lo ha lasciato, per indagare sulla comunione degli spiriti. Secondo gli intenditori di cose spirituali [come dirà alla fine del secondo capitolo] è lo stesso soggetto che appartiene contemporaneamente al mondo visibile e all’invisibile, ma non è la stessa persona: ciò che pensa come spirito non viene ricordato dall’uomo corporeo e viceversa. Tuttavia questa separazione non toglie che, talvolta, si possa essere consapevoli degli influssi che provengono dal mondo invisibile, tramite suggestioni, associazioni… Si comprende così come determinati concetti spirituali siano tradotti nell’uomo corporeo con immagini sensibili (es. personificazioni delle virtù e dei vizi, oppure il tempo rappresentato con una linea…).
· La comunicazione tra i due mondi avviene in modo anomalo e particolare in uomini sovraeccitabili, comunque rari, non in tutti. Ed è fonte di grandi illusioni e immaginazioni fantastiche.
· Della stessa provenienza potrebbero dirsi le costruzioni metafisiche, che sacrificano qualcosa dell’intelletto, per conoscere intuitivamente l’altro mondo. Kant non invidia questi filosofi che puntano i loro cannocchiali metafisici verso remote regioni e perciò chiude il secondo capitolo con la citazione di quanto disse il suo cocchiere a Tycho Brahe, quando egli credeva di poter regolare il proprio cammino, nella notte, con l’aiuto delle stelle: “Buon signore, voi v’intenderete certo del cielo, ma qui, sulla terra, voi siete un pazzo”.
Capitolo 3.
· Il terzo capitolo riguarda proprio i sogni della metafisica, diversi e non comunicabili e condivisibili (come invece avviene per le nozioni della matematica). I sognatori della ragione (metafisica) sono affini ai sognatori della sensazione (visionari che pretendono di comunicare con il mondo degli spiriti).
· Kant rileva la differenza tra i sognatori veglianti, che distinguono le illusioni immaginate rispetto alle sensazioni vere, e i visionari, che trasportano le loro immaginazioni nella realtà, come fossero sensazioni di oggetti esistenti nella sfera del reale.
· Kant indaga su come sia possibile l’inganno e introduce una serie di considerazioni relative alla sensazione (della vista, del suono e degli altri sensi). Nei disturbi della sensazione il focus imaginarius sarebbe fuori del cervello anziché dentro, inducendo a pensare come reali oggetti illusori.
· Chiusa ironica e sarcastica sulla opportunità di dedicare spazio ai visionari.
Capitolo 4.
· Conclusioni: sui due piatti della bilancia vi sono le ragioni della speranza (che portano a speculare sulle nature spirituali e sulla metafisica) e il rigore della ragione. Quest’ultima ci avverte della impossibilità di cogliere ciò che esorbita dalla esperienza e che può essere indicato solo negativamente, evidenziando i limiti della nostre forze, in campo gnoseologico. Della vita della natura noi possiamo conoscere i fenomeni e le loro leggi; del principio di questa vita - ovvero del principio spirituale – possiamo supporre che esso esista, pur rimanendo per noi inconoscibile.
Parte seconda. Storica.
Capitolo 1.
· Nella seconda parte, nel primo capitolo, Kant esordisce dicendo che ci sono cose a cui molti credono in privato, ma che non osano dichiarare in pubblico, per non essere derisi. Quindi Kant decide di parlare del caso in questione. Si tratta del signor Swedenborg, di Stoccolma, il quale afferma di avere, da più di vent’anni, “commerci” con gli spiriti e le anime dei defunti. Kant espone diversi casi in cui questo signore avrebbe – tramite i suoi contatti con gli spiriti – portato notizie risolutive in situazioni problematiche ed enigmatiche o svelato segreti o anticipato eventi poi effettivamente accaduti. A chi insinuasse che non sono questioni di cui occuparsi, Kant opporrebbe il parallelo con le costruzioni della metafisica, poste sullo stesso piano di queste storie fallaci: le due cose vanno insieme e la credulità riguarda le une e le altre.
Capitolo 2.
· Nel secondo capitolo Kant avverte il lettore relativamente al suo modo di procedere: poiché ha cominciato con la parte razionale (dogmatica), per poi arrivare al caso storico, si potrebbe pensare ad un raggiro. Quasi che Kant, già conoscendo il caso storico di Swedenborg, avesse voluto tracciare la sua teoria per poi darne conferma con ciò che già sapeva (dimostrando teoricamente quello che già sapeva essere dimostrato nell’esperienza). Nello stesso modo, dice Kant, procedono i metafisici che costruiscono le loro teorie e le adattano – per una sorta di clinamen - a qualche esperienza che già hanno in mente come conferma, perché altrimenti le teorie viaggerebbero separate dall’esperienza. Quindi, anche se Kant avesse adottato questo metodo, avrebbe degli illustri predecessori (i metafisici). Ma Kant afferma di non aver utilizzato questo espediente, altrimenti non lo avrebbe rivelato, perdendo così ogni efficacia. Piuttosto è convinto che la testimonianza del caso storico non sia rafforzata dalle sue precedenti elucubrazioni, ma risulti, viceversa, talmente goffa e malnata da destituire tutti i suoi precedenti tentativi di parlare dello spirito.
· Comunque, per quanto convinto della irrazionalità degli scritti di Swedenborg (otto volumi radunati sotto il titolo di Arcana coelestia), Kant trova così insoliti i giochi della sua immaginazione, da volerli riassumere (e il lettore, dirà poco dopo, potrà forse essere grato di questa sua riduzione dell’opera in poche gocce). Anzitutto nota uno stile piano, che non sembrerebbe sospettabile di inganno, mentre espone quelle fantasticherie presentate come una nuova rivelazione. Non si tratta tanto di ragionamenti fallaci, ma di illusioni dei sensi, proprio i sensi che per noi uomini sono tanto affidabili, rispetto agli ingannevoli sofismi intellettuali che potrebbero essere evitati, domando vane curiosità. Quindi, Kant si propone di fare riferimento alle visioni di Swedenborg e non ai deliri della ragione.
· Swedenborg descrive i suoi fenomeni in tre specie: tre o quattro volte ha sperimentato una condizione, tra sonno e veglia, di separazione dal corpo e di contatto diretto con gli spiriti, uditi e toccati; due o tre volte si è come trovato in un altro luogo in spirito, tornando solo dopo ad accorgersi del suo vero luogo; infine, in piena veglia, giornalmente, si trova in uno stato abituale che descrive nei propri racconti, quello di essere in intimo rapporto con gli spiriti. Questa condizione appartiene a tutti gli uomini, ma la differenza tra lui e gli altri è quella di avere un intimo aperto ovvero consapevole delle rappresentazioni che la sua anima riceve dal mondo degli spiriti.
· Swedenborg separa la memoria esterna e la memoria interna. La prima è quella di chiunque appartenga al mondo visibile, la seconda, invece, è da lui posseduta in virtù della sua unione con il mondo degli spiriti. Quindi, Swedenborg distingue tra l’uomo esterno e l’uomo interno che si concepisce come appartenente alla società degli spiriti e da essi è riconosciuto. In questo uomo interno si conserva tutto il libro della vita esterna, anche nelle parti dimenticate dalla stessa persona esterna.
· La presenza degli spiriti riguarda l’uomo interiore. Questi li vede con la sembianza umana, come fossero fuori di lui. Egli li sente parlare nella sua lingua. Ogni spirito legge nella memoria dell’altro, vede le rappresentazioni in essa raccolte. Gli spiriti leggono nella memoria esterna di Swedenborg ed è come se vedessero attraverso di lui le cose di questo mondo. Non attraverso gli altri, ma solo attraverso Swedenborg che ha un intimo aperto e quindi diventa l’oracolo degli spiriti. D’altra parte Swedenborg vede nella loro memoria i prodigi del mondo spirituale.
· Tutti gli uomini sono in unione con gli spiriti e, inconsapevolmente (essendo oscuro il loro uomo interno), ne ricevono gli influssi. Inoltre, tutti gli uomini costituiscono spiritualmente una società morale (in conformità al vero e al buono). Perciò possono essere più vicini uomini fisicamente molto lontani (India ed Europa), rispetto a uomini prossimi nello spazio, ma estranei spiritualmente. Quando l’uomo muore, l’anima non muta il suo posto, semplicemente è consapevole di essere nel mondo degli spiriti in cui già era in questa vita. Le anime non occupano uno spazio, non sono estese, anche se si presentano nella forma immaginaria della figura umana. Swedenborg afferma di parlare con anime dei defunti, di leggere nella loro memoria.
· Concetto chiave della teoria di Swedenborg è quello che considera l’esistenza delle persone corporee non sussistenti di per sé, ma dipendenti dal mondo spirituale (insieme degli spiriti). Quindi, gli esseri spirituali sono le cause delle persone corporee. Perciò i corpi sono sottoposti a leggi meccaniche naturali, per un verso, ma sono retti dallo spirito che vive in loro, per l’altro verso (anche se gli uomini, in genere, non ne sono consapevoli). Tutte le cose materiali, oltre ad essere “cose”, sono anche segni dello spirito. E’ su questi legami con il mondo degli spiriti che deve basarsi la lettura del testo biblico.
· Swedenborg ritiene ancora che gli spiriti si presentino l’un l’altro nella forma di figure, di forme estese e vedano intorno oggetti, come se fossero materiali (anche se non lo sono). Perciò, chi è morto da poco tempo – afferma Swedenborg – stenta a credere di essere morto perché vede con i propri occhi cose (apparenza di cose materiali). Le visioni della pratica spiritica derivano dalla comunicazione tra gli spiriti e le anime degli uomini corporei [qui Kant dice sarcasticamente, a proposito delle visioni: “cumulo di forme selvagge e insulse”]. Come le forze dell’uomo interno vanno a costituire l’anima, così spiriti diversi sono radunati in una sorta di unico uomo spirituale (“corpo” spirituale o uomo massimo). E’ così che si rappresenta la comunione spirituale.
· A questo punto, Kant afferma di non voler impressionare il lettore proseguendo con informazioni tratte dal libro di Swedenborg che risulterebbero inquietanti. Conclude ironicamente di non poter andare oltre: ha tentato di rispondere alle richieste insistenti di chi chiedeva a lui di esprimersi sulle visioni, ma non ha soddisfatto né la curiosità né l’intelligenza dei ricercatori. Tuttavia lo scopo – afferma – non era solo quello: si trattava di tracciare un parallelo tra le visioni di Swedenborg e i sogni della metafisica di cui afferma “ho il destino di essere innamorato”. Questo scopo non confessato è stato raggiunto in due sensi: da una parte, ha dimostrato che la metafisica – che pure vuole indagare l’essenza ultima delle cose – ha a che fare con i limiti della ragione umana e, quindi, richiama l’uomo a rimanere nei limiti dell’esperienza, come unica possibilità di conoscere; dall’altra parte, ha distrutto le false opinioni che tengono occupato l’uomo in cose che non può conoscere (i voli di farfalla della metafisica), anziché in utili ricerche relative a ciò che è a lui accessibile.
Capitolo 3.
· Al termine del discorso Kant distingue tra erudizione, mossa dalla curiosità, e saggezza, consistente nella scelta dei problemi più urgenti per l’uomo. E’ necessario individuare ciò che è superfluo conoscere, anzi impossibile, per scegliere razionalmente. E’ doveroso rintracciare i confini della conoscenza possibile. Il principio di causa, per esempio, può essere applicato solo nell’ambito dell’esperienza. Per quel che riguarda l’uomo, dice Kant, noi siamo consapevoli di pensare e volere (attività non riconducibili alla materia), ma non sappiamo se queste attività permarranno nell’esistenza oltre la morte del corpo (perché non ne abbiamo esperienza). Così noi siamo connessi agli altri esseri viventi attraverso il corpo, ma non sappiamo se vi possa essere un legame tra gli esseri, senza la mediazione della materia, secondo leggi pneumatiche. Non possiamo neppure parlarne per ipotesi, come si fa nel campo delle scienze naturali, relativamente a fenomeni della natura, perché in questo caso è possibile arrivare ad una dimostrazione (secondo nuovi rapporti di causa effetto osservabili), impossibile nel caso di rapporti che sfuggono completamente alla nostra esperienza.
· D’altra parte, l’argomento secondo cui ci sono conoscenze rese necessarie per la vita morale, come l’esistenza di un’anima spirituale e di un mondo spirituale, al di là del mondo sensibile, non regge affatto. L’essere virtuoso non può trovare fondamento in una vita oltre la morte (spavento per le pene eterne o attesa dei premi eterni), piuttosto la virtù va cercata come bene in sé, che potrà essere riconosciuto in un eventuale mondo ulteriore (che nasce nell’uomo morale come speranza ovvero come possibile conseguenza e non come motivazione dell’agire: questo si intende con l’espressione “fede morale”).
· Se dunque dovesse esistere un mondo oltre la morte e in esso la nostra destinazione venisse a dipendere dal modo in cui ci siamo comportati in questo mondo presente – conclude Kant -, sarebbe bene ripetere quel che Voltaire fa dire al suo onesto Candido, al termine di lunghe e oziose dispute scolastiche: “Fateci attendere alla nostra sorte, lasciateci andare in giardino a lavorare” [fuor di metafora: ad agire rettamente].
*Immanuel Kant, Scritti precritici, ed. Laterza, Bari 1990, pp. 347-407.
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