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domenica 28 febbraio 2016

I pregiudizi della nostra mente. Immagini di Ottorino Stefanini.

Sugli idoli-idòla
post
Secondo Francesco BaconeI pregiudizi di cui siamo prigionieri hanno quattro radici: la limitatezza umana, la storia individuale, il linguaggio, la cultura dominante.


Ottorino Stefanini, 
Labirinto Mentale 2 
Rosso e Grigio, 2015
I pregiudizi portati dalla natura limitata dell’uomo.
Idòla tribus: sono gli idoli fondati sulla limitatezza della natura umana. Bacone porta l’esempio dei sensi (ci fidiamo dei sensi e questi ci portano a sbagliare). Ma potremmo dire che essi sono gli errori in cui cadiamo ogniqualvolta non riflettiamo abbastanza sulla nostra costitutiva ignoranza e pensiamo di sapere, di conoscere, assolutizzando la nostra piccola prospettiva sul Mistero dell’universo.

I pregiudizi che provengono dalla storia individuale.
Ottorino Stefanini, 
Labirinto mentale 3
Nero, 2015
Idòla specus: sono i pregiudizi che vanno a caratterizzare ogni individuo. La nostra mente è paragonabile ad una caverna oscura in cui la luce filtra deformata e umbratile. Tutto può diventare gabbia senza che noi ce ne accorgiamo: Bacone porta l’esempio di un libro letto in maniera acritica, di una persona ammirata e seguita ciecamente… Ciascuno di noi è un impasto di tante esperienze: nasciamo all’interno di una famiglia, con una determinata lingua, una cultura, una religione… tutto questo struttura la nostra psiche in un certo modo, va a costituire le nostre convinzioni. Se non ci rendiamo conto di questa genesi delle nostre idee rischiamo di assolutizzarle, pensando che siano le uniche possibili e vere.

giovedì 25 febbraio 2016

Idoli e gabbie mentali. Immagini di Ottorino Stefanini.

Ottorino Stefanini, 
Tramonto meccanico 4, 
2012
Gli idoli: oggetti divinizzati. 
C’è un passaggio fondamentale nella riflessione sugli idoli che si colloca nello snodo filosofico di inizio dell’età moderna. 
Nel pensiero biblico, religioso e teologico gli idoli sono feticci, simulacri di Dio che vengono adorati al posto di Dio. 
In una accezione più larga, essi vanno poi ad indicare tutti quei surrogati di Dio che possono diventare così importanti nella scala dei nostri valori da costituire di fatto il senso ultimo della vita: il denaro, il potere, il successo… 
In termini politici l’idolatria si realizza nel momento in cui un’ideologia o un capo carismatico assumono un significato salvifico (com’è accaduto in modo eclatante nel Novecento). Comunque, in tutti questi casi, si tratta sempre di idoli identificabili con oggetti esterni a noi – materiali o immateriali - assolutizzati e divinizzati.

Ottorino Stefanini, 
La Gabbia 2014
(Stucchi)
Gli idoli: idee che imprigionano la nostra mente. 
Il passaggio cruciale che porta ad una riflessione ulteriore, ricca di prospettive per la contemporaneità è dato dalla teoria degli idòla di Francesco Bacone (1561-1626).


domenica 21 febbraio 2016

Il credente e il silenzio. Illustrazioni di Tommaso D'Incalci.

 Sul tema del silenzio/parola
post 

Il mistero della creazione
(Tommaso D'Incalci,
Il primo respiro)
Per  il credente il silenzio è atteggiamento che riconosce la finitezza umana, è annuncio del mistero di fronte al mondo creato, è luogo privilegiato per entrare in contatto con Dio e con il  Sacro.
Qualche anno fa papa Benedetto XVI annotava: “La grande tradizione patristica ci insegna che i misteri di Cristo sono legati al silenzio e solo in esso la Parola può trovare dimora in noi, come è accaduto in Maria, inseparabilmente donna della Parola e del silenzio”.

sabato 20 febbraio 2016

Le parole del silenzio. Illustrazioni di Anna Forlati

Il prodigio del silenzio...
La perla nascosta
(Anna Forlati)
“Il prodigio del silenzio è giungere a parlare tacendo, a essere espressivi senza usare le parole, ad avere una vita silenziosamente eloquente. Il silenzio è un modo diverso di comunicare e, più in profondità, un modo diverso di essere… e di vivere”
S. Chialà, Silenzi - Ombre e luci del tacere, ed. Qiqajon, Com. di Bose, Magnano (Bi) 2010.

La geenna del rumore.
La conquista del silenzio 
(Anna Forlati)
Perché non provare nel bel mezzo di ogni giornata a sedersi in silenzio almeno per qualche minuto? So bene che non è semplice, presi come siamo da mille cose: famiglia, lavoro, spese, scadenze di ogni sorta, lezioni da preparare, libri da leggere, progetti e relazioni sociali da coltivare, problemi a non finire, casa da accudire, radio e  tv, internet, sms, mail, cellulare!!!... Insomma anneghiamo la giornata in tante cose (nessuna delle quali in sé negativa), nella frenesia di un attivismo o viceversa nell’inerzia di un’abulia che esigono come sottofondo la “geenna del rumore”, scudo di protezione dalla fatica di fermarci, o viceversa destarci, a pensare le questioni fondamentali: “Dove sono nella vita? Davanti ad ogni dramma dove mi colloco io? Dov’è il mio posto rispetto a mia moglie, alle persone che incontro ogni giorno, ai morti, ai vivi?”(1). 

Rumori 
(Anna Forlati)
Siamo immersi in un oceano verbale segnato da nebbie semantiche non casuali: frasi fatte, enunciati oscuri, vocaboli diventati ambigui come solidarietà, pace, ambiente, accoglienza, destra, sinistra…
E così la nostra vita quotidiana trascorre nella “galleria del vento di pettegolezzi e di chiacchiere”: baconiani “idòla fori” finzioni della nostra mente, pubblici dibattiti di gargarismi linguistici, parole fantasma consumate ed usurate dai media che ogni giorno ci confermano di vivere “nell’era della menzogna organizzata” (2).
Ma che cosa è il silenzio?

martedì 16 febbraio 2016

Profeti oggi, con Péguy. Illustrazioni di Stefano Nava.

Stefano Nava, 
Annunciazione
Charles Péguy“… Come avviene  che tanti buoni cristiani non facciano una buona cristianità? Ci deve essere qualcosa che non va… Se  ci mandassi, se soltanto volessi mandarci una delle tue sante. Ce n’è ancora: dicono che ce n’è, se ne vedono, se ne ha sentore, c’è chi ne conosce qualcuna … Ma non so come accada. Santi ce ne sono, santità ce n’è, e mai il regno del reame della perdizione aveva tanto dominato sulla faccia della terra. […] Ci vorrebbe forse qualche cosa di nuovo, qualche cosa che non si fosse mai vista, qualche cosa che non si fosse mai fatta ancora. Ma chi oserebbe dire, mio Dio, che ci possa essere ancora una cosa nuova, dopo quattordici secoli di cristianità, dopo tanti santi, dopo i tuoi martiri, dopo la passione e la morte di tuo Figlio! Eppoi bisognerebbe, mio Dio, bisognerebbe mandarci una santa… che riesca.” (Charles Péguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco, ed. Ave minima 26, Roma 1966, pag.16).

Stefano Nava, 
Mosè guarda la terra promessa 
dal monte Nebo
In questi giorni  ho riletto alcuni libri degli anni della mia prima e tarda giovinezza editi da AVE (es.: C. Carozzo - Gruppo del Gallo di Genova - Due profeti l’amore il potere, minima 65, 1971) e da Cittadella di Assisi (es.: E. Schùngel-Strauman, Sofonia-Naum-Abacuc-Abdia-Giona, Israele e gli altri?,1989). E mi sono chiesto: questo nostro tempo,  come ogni altro tempo, ha un forte bisogno di profeti. Ma chi sono, dove sono? Sappiamo riconoscerli? Distinguerli  dai falsi profeti?
Stefano Nava, 
Elia sul monte Oreb
Non sono che un esperto di nulla, di professione sono un inquieto ricercatore, ma da quel poco che ho capito dei profeti dell’AT, da quel tanto e poco che la mia vita mi ha  insegnato, ho solo griglie di interpretazione mutevolmente flessibili, che pretendono un ascolto il più possibile in profondità degli avvenimenti che ogni giorno viviamo.
So bene che profeta non è colui o colei che si rivolge agli uomini e donne del futuro, prevedendone e predicendone fatti e situazioni. Profeta, ieri come oggi, è colui che si situa nel proprio presente e si  rivolge agli uomini e donne del suo tempo, al suo  mondo, al divenire quotidiano della nostra vita ed alla storia  dei nostri giorni. Avverso ad ogni idolatria, tanto intransigente quanto tenero e misericordioso, rifiuta ogni  dualismo tra il gusto per la vita in tutte le sue manifestazioni e la fede che si nutre di tutti i frutti della terra. Vive nella passione per l’uomo e nell’adorazione  di Dio, inscindibili.

venerdì 12 febbraio 2016

Indifferenza e misericordia, con Caravaggio.

Caravaggio (il pittore del buio),
Vocazione di San Matteo,
particolare
Che significa indifferenza? Chiudere volutamente gli occhi, “non volere avere fastidi”, “non-volerne-sapere”, rifiutare la responsabilità di essere donne ed uomini cui sta a cuore non solo la propria integrità psicofisica ma anche il diritto dell’altro a sviluppare le sue possibilità personali e sociali.
Ogni giorno siamo chiamati a resistere all’escalation dell’indifferenza, che estinguerebbe in ognuno di noi ogni istanza di coinvolgimento, di partecipazione, di presa di posizione sulle mille realtà di ingiustizia sociale che ci attorniano.
Caravaggio (il pittore della luce), 
Vocazione di San Matteo,
particolare
E’ la malattia mortale dell’accidia (akedeia, come la definisce il monachesimo antico ed odierno), disfatta davanti al mistero dell’esistenza, rifiuto di condividere la sofferenza e la responsabilità del vivere con gli altri, rinuncia  ad ogni anelito comunitario, “tristezza per i beni divini”, come  la definiva S. Tommaso d’Aquino. La tradizione cattolica la considera uno dei sette vizi capitali, perché fuga  di fronte alle domande essenziali, atteggiamento negativo fondamentale di fronte alla vita, in quanto ne viola la dimensione sia profana sia religiosa, riducendola a "perenne agonia dell’umano".

martedì 9 febbraio 2016

Amore e creatività. Simposio e Vermeer.

Post di Rossana Rolando

J. Vermeer, Lettera d'amore, 
particolare (una donna riceve 
una lettera d'amore )
Ci sono alcune pagine del Simposio platonico che contengono il fuoco di una verità entusiasmante: l’atto d’amare – nelle sue molteplici forme  – è espansivo, generativo, procreativo. Come nel dipinto di Vermeer - Lettera d'amore - la tensione amorosa trasfigura la quotidianità e diventa musica, così in Platone l'amore del bello genera nuova vita.  
Al di là delle pur profonde, ma talora riduttive, letture psicoanalitiche, Platone ci racconta l’origine della creatività, non solo fisica, ma anche e soprattutto spirituale.
Dal Simposio
amare, sia per il corpo che per l’anima, significa creare nella bellezza […]. Per questo chi ha dentro di sé qualcosa di creativo, quando si avvicina a ciò che è bello prova gioia nel suo cuore, si apre al fascino della bellezza. E’ il momento della generazione: egli crea. Ma quando si avvicina a ciò che è brutto, allora si chiude in se stesso scuro in volto e triste, cerca di allontanarsi, e così non crea affatto, anche se porta ancora dentro il suo seme fecondo, e ne soffre. […] Desidera creare e far nascere nuova vita nella bellezza. […] Ma perché creare nuova vita? Perché per qualsiasi essere mortale l’eternità e l’immortalità possono consistere solo in questo: nel creare nuova vita  (Platone, Simposio, Armando ed. pp. 107-109).

Questi in sintesi i passaggi fondamentali delle pagine del Simposio cui le citazioni fanno riferimento: 
Amore non è possesso ma mancanza, desiderio
di ciò che è bello
e che può rendere felici
Quindi ciò che è bello è anche ciò che è bene per chi lo desidera.
Perciò “l’amore è desiderio di possedere il bene per sempre”.
Siamo soliti restringere il significato dell’amore all’attrazione verso una persona,
ma la passione può rivolgersi ad altre realtà: l’arte, la poesia, la musica, la politica, l’economia, lo sport…
Quindi vi sono tante forme di amore e tanti modi di essere amanti, in rapporto all’oggetto che desideriamo.
E se siamo “gravidi” ovvero se c’è in noi una qualche creatività,
il bello suscita la capacità di generare,
perché vicino al bello l’animo diventa gaio ed è spinto a procreare, mentre accostandosi al brutto lo spirito si intristisce e si contrae.
E allora è quell’atto creativo che cerchiamo quando amiamo e che ci rende felici più di ogni altra cosa,
poiché creare vuol dire lasciare una parte di sé oltre la morte
e quindi è gesto immortale - divino - di un essere mortale.
Perciò amore è desiderio di immortalità.
E l’immortalità può essere cercata fisicamente nei figli,
spiritualmente nelle opere dell’arte, della poesia, della musica… della politica…

venerdì 5 febbraio 2016

La forza attiva e creativa della non violenza.

El Lissitzky, 
Spezza i Bianchi col cuneo rosso.
La tolleranza non rinnega se stessa neppure di fronte all’intolleranza responsabile di massacri e profanazioni, senza mai concederle “sigle di legittimazione”. Non c’è tolleranza senza il corrispondente concreto impegno ad evitare “con ogni mezzo ed ogni sforzo” ogni forma di violenza.
Sicuramente attesa paziente, ma non illimitata né senza difese, essa conosce bene il “fino a qua e non oltre”, perché “con ogni mezzo ed ogni sforzo” non è affatto da confondere con “ad ogni costo ed a qualsiasi prezzo”, ovvero con l’oltre. 
El Lissitzky, 
Proun 19D
Impegnarsi “con ogni mezzo ed ogni sforzo” significa primariamente la rimozione politica ed economica delle cause dell’intolleranza attraverso gli interventi di pressione ed esclusione economica, gli strumenti di isolamento ed azione politica, il coinvolgimento e l'impegno comune, nel contesto delle relazioni tra Stati, ad allontanare il male dal proprio ambito di realtà. E’ insieme lotta contro gli armamenti insensati, le guerre regionalmente “allevate”, la sindrome ricattatoria di un terrore e di una distruttività che minaccia il bene comune.

martedì 2 febbraio 2016

Il diritto alla pienezza di vita di chi è "diverso".

Allen Ginsberg, Il peso del mondo...
Lesser Ury, Il tappeto rosso
 “Il peso del mondo 
- è amore.
Sotto il fardello 
- della solitudine,
sotto il fardello - dell’insoddisfazione.
Il peso, 
- il peso che trasportiamo - 
è amore”


Lesser Ury, 
Scene nel caffè.
Tolleranza non è una brutta parola, non significa supina accettazione e sopportazione dell’altro, non ha neppure nulla in comune con l’indifferenza o il permissivismo o la pavida debolezza: alla faccia delle distorsioni di qualche postnietzschiano per il quale rimane una “subdola malattia moderna”.
Lesser Ury, 
Serata al caffè Bauer
E’ semplicemente un principio dell’esistenza personale e sociale. Si fonda sul valore e la libertà di ogni singola persona, di cui non è possibile disporre, e riconosce senza riserve il diritto alla pienezza di vita di chi è “diverso” nella religione, nella cultura, nell’ideologia, nei comportamenti. Conseguentemente si manifesta e si realizza nella prassi che rinuncia ad assolutizzare il proprio punto di vista ed a costringere con violenza, non importa se manifesta o subdola, altri alla perdita della propria identità.
Tolleranza - dal latino “tollere”, ovvero  assumere su di sé oneri e responsabilità, portare il peso dell’altro – è segno di solidarietà tra tutti gli uomini, è coscienza che i problemi della società plurale possono essere affrontati e superati solo se tutti (persone, stati, religioni, ideologie) si rispettano  reciprocamente e si curano gli uni degli altri.