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domenica 4 luglio 2021

Io sono l'altro.

Chi è l'altro nel villaggio globale multiculturale?
Post di Gian Maria Zavattaro.

Disegno di Doriano Solinas
L’incontro con l’altro
- oggi soprattutto lo “Straniero” - è la sfida di questo nostro tempo che trascorre tra indifferenza e cinismo di molti, speranza e solidarietà di altrettanti. Anzi, è la sfida del XXI secolo, come dichiarava Kapuscinski (1)
Come premessa vale il riferimento a Bauman, teorico della società “liquida”, del  trascorrere-sciogliersi di ciò che é solido, metafora della nostra "condizione" di vivere e  di essere, dello stato mutevole di un presente fatto di puntiformi istanti e di forme sociali instabili: famiglia- denatalità - lavori precari a chiamata intermittente -  dinamiche consumistiche cangianti - profonde disuguaglianze sociali - crollo delle ideologie - spaesamento degli individui, eterodiretti a loro insaputa, brutalmente esposti alle violenze della società dell'incertezza, alle omologazioni collettive, tutti affaccendati nell’esorcizzare la "solitudine del cittadino globale" (titolo di un suo celebre lavoro).
E poi a Byung-Chul Han(2). Nel suo saggio "L’espulsione dell’altro" afferma che il problema radicale oggi è che "alla crisi dell'amore conduce soprattutto l'erosione dell'Altro”. Il fatto che l'Altro scompaia è la malattia più grave dei nostri giorni: siamo talmente impegnati a parlare a noi, a pensare ai fatti nostri,  da avere perso la capacità di stabilire una vera relazione con gli altri, di vedere l’altro come altro. Viviamo “nell'«inferno dell'Uguale”:  ognuno di noi, immerso nella comunicazione digitale e nei rapporti neoliberistici di produzione, è autoreferenziale, guarda “solo ciò in cui può riconoscere, in qualche modo, se stesso” e tutto ciò non si è certo attenuato in questo tempo di covid. Ma dove è promosso l’Uguale, la vita s’impoverisce e sorgono nuove patologie: l’inflazione dell’io centrato su di sé genera angoscia e autodistruttività; l’esperienza e la conoscenza sono sostituite dalla mera informazione, le relazioni personali cedono il posto alle connessioni telematiche. Solo l’incontro vivificante con l’Altro può conferire a ciascuno la propria identità. Il saggio si chiude invocando l’urgenza della costruzione di una comunità umana fondata sull’ascolto e sull’apertura all’Altro. Il possibile orizzonte oltre la liquidità è l’amore che fiorisce sia nell’intimità sia nel sociale, si apre all’altro, lo riconosce. Può essere eros, può essere filìa ma la sua vera cifra è agape: dono, gratuità pazienza, corresponsabilità capace di far fiorire spazi che siano veri “luoghi di relazione”.
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È Marc Augè ad avvertirci che nel nostro vivere sociale ai “luoghi” (relazioni spazio-temporali dove la nostra identità si costruisce a contatto e a confronto con gli altri, fonti di senso in cui si sfugge alla spersonalizzazione delle relazioni ed alle nuove forme di isolamento) stanno subentrando i “nonluoghi” (privi di relazioni sociali simbolizzate e leggibili), sempre più pervasivi, il cui fattore comune è oggi il consumo. “Ciò che ci inquieta è che non sappiamo più dove stiamo andando. Di fronte allo scandalo della profonda disuguaglianza, come reggere l'immagine penosa di coloro che so bene, in fondo, essere uomini come me? - Come trovare il proprio luogo?- Qual è il fine dell'esistenza umana? Cosa bisogna fare per compierlo? - La globalizzazione è un bene o un male? Dove ci sta portando? Verso un mondo migliore? O più doloroso e ingiusto? - Per cosa viviamo?” (3). Disuguaglianze che ritroviamo in ogni settore della nostra vita sociale. “Lo scandalo della profonda disuguaglianza nell'accesso ai beni materiali e alla conoscenza è, al di là di qualunque considerazione morale, uno scandalo esistenziale ed essenziale […] Rifiutare l'umanità ad alcuni vuol dire ucciderla in tutti: è questo il rischio che il progresso obiettivo del sapere dovrà combattere, di fronte tanto alle follie omicide degli uni quanto alla miopia egoista degli altri. (3)
L’agape dunque - sia come dimensione intima sia pubblica nei “luoghi” - è la cifra della relazione con l’altro. In effetti la nostra quotidianità, nella famiglia e nella società, è costellata di azioni, interazioni e relazioni che hanno come caratteristica fondante la gratuità asimmetrica che non esige scambio o restituzione, l’amicizia disinteressata, l’incondizionalità, la non contabilizzazione, il dono, l’empatia come riconoscimento della centralità dell’altro e della sua non fungibilità. Agape, come categoria interpretativa che rovescia lo stereotipo pessimista di una società vista soltanto come luogo del consumismo e dell’incertezza e che può farsi progetto e stimolo al rinnovamento delle persone e delle istituzioni.
Allora: nel villaggio globale multiculturale chi è l’altro?
La filosofia del dialogo (Levinas, Buber, Tischner…) (4) aveva analizzato la relazione io-altro nell’ambito della stessa cultura. Ma oggi - nell’approfondirsi delle disuguaglianze e nell’espandersi dell’onda migratoria planetaria dei più poveri che cercano di infiltrarsi nei paesi più benestanti - l’altro non è solo colui che appartiene alla mia nazione-razza-lingua-cultura-religione, è soprattutto colui che “ha la pelle di colore diverso, crede in altra fede e parla una lingua incomprensibile”. L’Altro nella sua differenza di razza-cultura-lingua-religione contiene una carica emotiva talmente forte da diventare dirompente, tanto che i nazionalisti ed i razzisti lo vedono come colui che “possiede una sola e unica caratteristica: l’appartenenza nazionale. Il fatto che sia giovane o vecchio, intelligente o stupido, buono o cattivo non ha alcun peso: conta solo se sia armeno, turco, inglese, irlandese, marocchino o algerino” (5).
La filosofia del dialogo è oggi chiamata ad esprimersi nell’ambito delle diverse razze, religioni e culture. Chi è allora l’altro e chi sono io per gli altri? 
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L’altro è ogni singolo volto, ogni persona irripetibile che incontro per strada, al supermercato, sul metrò, in ospedale, che vedo con il tablet o la tv in ogni parte del mondo. Non è astratto e generico, è il mio-nostro altro che ogni giorno incontriamo, è chi oggi rappresenta l’80% nel mondo e che fra 30 anni rappresenterà almeno la metà della popolazione europea.
Non c’è scampo: lo svolgimento e qualità dei nostri rapporti con il nuovo altro definiranno il clima del mondo nel quale viviamo e vivremo. Ad ognuno di noi è rivolta l’esortazione di Lèvinas: “Fermati. Accanto a te c’è un altro uomo. Incontralo: l’incontro è la più grande, la più importante delle esperienze. Guarda il volto che l’altro ti offre. Attraverso di esso non solo ti trasmette te stesso, ma ti avvicina a Dio”. Anzi per il cristiano “accogliere l'altro è come accogliere Dio in persona!”(6).
Cosa vuol dire incontrare l’altro? Ogni volta che incontro l’altro ho sempre davanti a me tre possibilità di scelta: rifiuto/guerra – indifferenza/isolamento – ascolto/dialogo. Ogni incontro rischia di essere un enigma soggetto ad alti e bassi, a seconda del contesto esterno, del mio stato d’animo, delle mie convinzioni, dei miei vissuti e delle reciproche aspettative. Non si improvvisa: “occorre prepararsi interiormente perché sia il contrario del nostro quotidiano ed indifferente incrociarsi in mezzo alla folla” (7), tanto più in questo momento in cui l’Europa disgregata non rinuncia a chiudersi nei propri muri.
L’incontro con l’altro è in ogni caso “l’evento fondamentale” nella nostra vita e nella nostra storia anche spirituale. Ogni giorno sperimentiamo che cosa significhi scegliere il rifiuto o i muri o l’ascolto. Scegliere il dialogo significa attivare reciproca comprensione ed avvicinamento, desiderio di conoscere, di intendersi, andare incontro, “parlarsi” (come ci esorta Tischner), stare insieme, renderci consapevoli della sua prossimità, della sua presenza, del suo diritto a esistere, intervenire in sua difesa, addossarsene la responsabilità, sopportare le conseguenze di tale gesto.
E se mi domando “qual è la loro visione del mondo? In che modo vedono gli altri? In che modo vedono me?” allora è bene che io capisca che “anch’io sono l’altro”, perché se è vero che per me gli altri sono gli altri, altrettanto vero è che per loro l’altro sono io” (8).
Gli altri sono lo specchio per capire chi sono io, chi siamo noi: tutti siamo “io” tutti siamo “gli altri”. Se la sfida del nostro tempo è incontrare l'altro  e se l’altro sono anch’io, l’altro è la condizione per ritrovare ed aver chiaro il senso della propria identità, cultura e valore,  vivendo l’avventura della globalizzazione come una possibile reciproca inclusione, insieme conservando ognuno la sua diversità, unicità ed irripetibilità. Incontrare l’altro è riscoprire il valore ecumenico del “cortile dei gentili” e l'apertura interculturale dell'agorà: ci si incontra, ci si parla, si confrontano opinioni, si scambiano anche merci e si combinano affari, ma soprattutto si scoprono finalità e valori comuni, si creano amicizie e ci si sente “fratelli e sorelle”. 
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Più di 40 anni fa McLuhan coniò la definizione di “villaggio globale” che oggi suona come paradosso: “l’essenza del villaggio consiste nel fatto che i suoi abitanti si conoscono intimamente, si frequentano e condividono un destino comune. Cosa impossibile da dirsi della società del nostro pianeta, che fa piuttosto pensare alla folla anonima di un grande aeroporto: una folla di persone frettolose, sconosciute tra loro e perfettamente indifferenti le une alla altre” (9). Se l'Europa saprà sedere intorno alla "tavola rotonda degli uguali diritti" (tavola del “noi", io e tu), forse potrebbe rivelarsi profetico il paradosso del villaggio globale in cui “i suoi abitanti si conoscono intimamente, si frequentano e condividono un destino comune”. (10)
 
Note.
1. “Chi sarà questo nuovo altro? Come si svolgerà il nostro incontro? Che cosa ci diremo? In quale lingua? Riusciremo ad ascoltarci e a capirci a vicenda? Riusciremo insieme a trovare, come dice Conrad, ciò che parla alla nostra capacità di provare meraviglia ed ammirazione, al senso del mistero che circonda la nostra vita, al nostro senso della pietà, del bello e del dolore, alla segreta comunione con il mondo intero e, infine, alla sottile ma insopprimibile certezza della solidarietà che unisce la solitudine di infiniti cuori umani, all’identità di sogni, gioie, dolori, aspirazioni, illusioni, speranze e paure che lega l’uomo all’uomo e accomuna l’intera umanità: i morti ai vivi e i vivi agli ancora non nati?” Ryszard Kapuscinski, L’altro, U.E. Feltrinelli/Saggi, 2015,4° ed., pp.76-77 "L'incontro con l'altro come la sfida del XXI secolo" (pp.63-77) è il titolo dell'ultimo capitolo.
2. Coreano, insegna a Berlino ed è uno dei più influenti filosofi contemporanei: Cfr. La società della stanchezza, 2012 – Eros in agonia, 2013 – L’espulsione dell’altro, 2017: tutte edite da Nottetempo. Tre mesi fa è uscito il suo ultimo saggio La società senza dolore, Einaudi, Torino 2021.
3 .cfr. Marc Augé, Un altro mondo è possibile, codice ed., To, 201, pp. 25-26.
4. J. Tischner, 1931-2000, fenomenologo polacco, rappresentante della filosofia del dialogo e propugnatore di una originale "filosofia del dramma" (su: la verità, il bello, il bene, il male, la libertà, la speranza, la fedeltà, il tradimento…), sacerdote cattolico, molto vicino a papa Woitila anche nella passione per la montagna.
5. L’altro, o.c.,¸p.45.
6 .La citazione, che fa riferimento a Mt 25,31-46., è di papa Francesco in un tweet del 18.12.2016, pubblicato in occasione della Giornata Mondiale dei Migranti.
7. Kapuscinski, o.c., p.59.
8. o.c. p .29 e pp. 43-44.
9. Kapuscinski, L’altro,o.c., p.61.
10. Meriterebbe un post a parte il saggio di P. RICOEUR, Sé come altro, Mi, Jaca Book, 2002. Mi limito ad un cenno. Ricoeur afferma il primato dell’etica della reciprocità come principio regolatore obbligatorio “all’interno di istituzioni giuste”. E’ centrata sull’identità del sé in rapporto costitutivo con l’altro, a cui offrire riconoscimento e rispetto. L’io in relazione con l’alterità si riconosce autonomo ma non autosufficiente: non si lascia fagocitare da essa e la accoglie in sé; la sua autonomia è solidale con le richieste che provengono dall’altro che sta di fronte al sé e chiede di essere riconosciuto come fine, nella sua singolare irriducibile umana diversità. Riconosco l’altro come un altro io che si aspetta quello che io mi aspetterei nella sua stessa situazione, mentre l’altro analogamente si aspetta - “promessa” reciproca - che io mantenga i miei impegni così come egli farebbe se si trovasse al mio posto. Il poter “contare sull’altro” è la forma che viene ad assumere il dovere morale come reciproca promessa, chiamato al mantenimento di questa promessa, cioè a mantenere sé in una relazione di fiducia reciproca. “Mantenersi” è l’annuncio della responsabilità dell’io (il ) nei riguardi dell’altro: io sono responsabile delle mie azioni davanti ad un altro, che può contare su di me. L’io è soggetto responsabile che vive ed agisce con gli altri per il perseguimento della “vita buona” condotta secondo gli ideali di uguaglianza.

8 commenti:

  1. Annamaria Pagliusano4 luglio 2021 alle ore 10:12

    Tutte le teorizzazioni intorno all' Eros e all' Agape non saranno mai sufficienti al convincimento, se manca a ciascuno l'esperienza concreta dell' incontro che è, ogni volta, esposizione, indugio, ascolto, attraversamento della distanza, coraggio di chi ne sa di più e può investirne nella differenza.
    I nomi dell' amore sono tanti, ma sempre nascono da una lontanza da attraversare a passi diversi, ma insieme..

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    1. Le parole dell'alterità sono bipolari: distanza vicinanza, esposizione intimità, ascolto indifferenza, indugio coraggio, lontananza prossimità... Grazie.

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  2. Grazie di queste riflessioni lungimiranti. Con l'auspicio di essere capaci di ascolto autentico ed empatico dell'altro, col quale costruire relazioni e non solo fuggevoli connessioni.

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    1. Buongirno Maria. E' vero, costruire relazioni richiede tempo ed ascolto, presuppone un orientamento di vita che non si improvvisa, ma si impara e si elabora ogni giorno. Grazie.

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  3. Eccomi! Il tuo post è meraviglioso, Gian Maria : si beve a sorsi, come un bel bicchiere di vino. Ci fa entrare nel clima del Simposio. Sfaccettature positive e negative della Alterita’ si inseguono per compenetrarsi, perché - diciamolo - non è un pacifico incontro, quello con l’altro. Ma è un incontro che ci completa, soprattutto per l’essenza autentica , che, dell’uomo, è il donarsi, il senso della cura.
    Ho voluto consultare, questa volta, i testi di alcune canzoni ( quella di Niccolò Fabi è eccezionale!), anche perché spesso nei testi delle canzoni vere si trova il “ pensiero dell’uomo d’oggi” ed ho trovato pieghe di solitudine ( Vasco Rossi : Siamo soli ) chiaroscuri di eros e - pensa un po’ - lontano nel tempo, un Rino Gaetano super preveggente che ritrae la vera natura della solitudine nella società dei consumi : “ guardarsi allo specchio “.
    Come scrivi tu, se lo specchio riflette la nostra immagine, è un fallimento continuo, è una egolatria immensa ( stucchevole anche). Solo dove lo specchio riflette la varietà, la diversità, è inclinazione giusta per vivere la Vita. Grazie ☺️

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  4. Generoso e ricco il tuo commento. Molto veri i passaggi "non è un pacifico incontro" eppure "ci completa"... "il senso della cura" è la nostra vocazione.
    Le canzoni d'autore sono sempre un terreno di provocanti riflessioni: l'aspetto che tu aggiungi - quello della solitudine nella società liquida "gravida di covid" - è quanto mai appropriato.
    Ciao caro Rosario e buona giornata.

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